2
aprile 1947.
Gesù
entra nel Tempio ancor più affollato che nei giorni precedenti. È
tutto bianco oggi, nella sua veste di lino. È una giornata afosa. Va
ad adorare nell'atrio degli Israeliti e poi va ai portici, seguito
da un codazzo di gente, mentre altra ha già preso le migliori
posizioni sotto i porticati, e la maggioranza sono gentili che, non
potendo andare oltre il primo cortile, oltre il portico dei Pagani,
hanno approfittato del fatto che gli ebrei hanno seguito il
Cristo per prendere posizioni di favore.
Ma
un gruppo ben numeroso di farisei li scompagina: sono sempre
arroganti ad un modo, e si fanno largo con prepotenza per accostarsi
a Gesù curvo su di un malato. Attendono
che lo abbia guarito, poi gli mandano vicino uno scriba perché lo
interroghi.
Veramente fra loro c'era stata prima una breve disputa, perché
Gioele detto Alamot voleva andare lui ad interrogare il Maestro. Ma
un fariseo si oppone e gli altri lo sostengono dicendo:
«No.
Ci è noto che tu parteggi per il Rabbi, benché tu lo faccia
segretamente. Lascia andare Uria».
«Uria
no», dice un altro giovane scriba che non conosco affatto.
«Uria è troppo aspro nel suo parlare. Ecciterebbe la folla.
Vado io».
E,
senza ascoltare più le proteste degli altri, va vicino al Maestro
proprio nel momento che Gesù congeda il malato dicendogli:
«Abbi fede. Sei guarito. La febbre e il dolore non torneranno mai
più».
«Maestro,
quale è il maggiore dei comandamenti della Legge?».
Gesù,
che lo aveva alle spalle, si volta e lo guarda. Una luce tenue di
sorriso gli illumina il volto, e poi alza il capo, essendo a capo
chino perché lo scriba è di bassa statura e per di più sta curvo
in atto di ossequio, e gira lo sguardo sulla folla, lo appunta
sul gruppo dei farisei e dottori e scorge il viso pallido di Gioele
seminascosto dietro un grosso e impaludato fariseo. Il suo sorriso si
accentua. È come una luce che vada a carezzare lo scriba onesto. Poi
riabbassa il capo guardando il suo interlocutore e gli risponde:
«Il
primo di tutti i comandamenti è: "Ascolta, o Israele: il
Signore Dio nostro è l'unico Signore. Tu amerai il Signore Dio tuo
con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue
forze". Questo è il primo e supremo comandamento. Il secondo
poi è simile a questo: "Amerai il tuo prossimo come te stesso".
Non vi sono comandamenti maggiori di questi. Essi rinchiudono tutta
la Legge e i Profeti».
«Maestro,
Tu hai risposto con sapienza e con verità. Così è. Dio è Unico e
non vi è altro dio fuori che Lui. Amarlo con tutto il proprio cuore,
con tutta la propria intelligenza, con tutta l'anima e tutte le
forze, e amare il prossimo come se stesso, vale molto più di ogni
olocausto e sacrificio. Molto lo penso quando medito le parole
davidiche: "A Te non piacciono gli olocausti; il sacrificio a
Dio è
lo
spirito compunto"».
«Tu
non sei lontano dal Regno di Dio, perché hai compreso quale sia
l'olocausto che è gradito a Dio».
«Ma
quale è l'olocausto maggiormente perfetto?», chiede svelto, a bassa
voce, lo scriba, come se dicesse un segreto.
Gesù
raggia d'amore lasciando cadere questa perla nel cuore di costui
che si apre alla sua dottrina, alla dottrina del Regno di Dio, e
dice, curvo su lui:
«L'olocausto
perfetto è amare come noi stessi coloro che ci perseguitano e non
avere rancori. Chi fa questo possederà la pace. È detto: i mansueti
possederanno la terra e godranno dell'abbondanza della pace. In
verità ti dico che colui che sa amare i suoi nemici raggiunge
la perfezione e possiede Dio».
Lo
scriba lo saluta con deferenza e se ne torna al suo gruppo, che lo
rimprovera sottovoce di aver lodato il Maestro, e con ira gli dicono:
«Che
gli hai chiesto in segreto? Sei anche tu, forse, sedotto da Lui?».
«Ho
sentito lo Spirito di Dio parlare sulle sue labbra».
«Sei
uno stolto. Lo credi forse tu il Cristo?».
«Lo
credo».
«In
verità fra poco vedremo vuote le nostre scuole dei nostri scribi ed
essi andar raminghi dietro quell'Uomo! Ma dove vedi, in Lui, il
Cristo?».
«Dove
non so. So che sento che è Lui».
«Pazzo!»,
gli voltano inquieti le spalle.
Gesù
ha osservato il dialogo e, quando i farisei gli passano davanti in
gruppo serrato per andarsene inquieti, li chiama dicendo:
«Ascoltatemi.
Voglio chiedervi una cosa. Secondo
voi, che ve ne pare del Cristo? Di chi è figlio?».
«Sarà
figlio
di Davide»,
gli rispondono marcando il "sarà", perché vogliono fargli
capire che, per loro, Egli non
è
il Cristo.
«E
come dunque Davide, ispirato da Dio, lo chiama "Signore"
dicendo:
"Il
Signore ha detto al mio Signore: 'Siedi alla mia destra fino a che
non avrò messo i tuoi nemici a sgabello ai tuoi piedi"'? [1]
Se
dunque Davide chiama il Cristo "Signore", come il
Cristo può essergli figlio?».
Non
sapendo cosa rispondergli, si allontanano ruminando il loro veleno.
Gesù si sposta dal luogo dove era, tutto invaso dal sole, per andare
più oltre, dove sono le bocche del tesoro, presso la sala del
gazofilacio. Questo lato, ancora in ombra, è occupato da rabbi che
concionano con grandi gesti rivolti ai loro ascoltatori ebrei,
che aumentano sempre più come, col passar delle ore, aumenta di
continuo la gente che affluisce al Tempio. I rabbi si sforzano di
demolire coi loro discorsi gli insegnamenti che il Cristo ha
dato nei giorni precedenti o quella stessa mattina. E sempre più
alzano la voce più vedono aumentare la folla dei fedeli. Il luogo,
infatti, benché vasto tanto, formicola di persone che vanno e
vengono in ogni senso...
19
giugno 1944.
L'obolo
della vedova.
…OMISSIS..
Qui avviene la visione sul fatto molto conosciuto nei Vangeli
riguardo all’obolo della vedova, che lascio alla vostra personale
lettura.
L'invettiva
contro scribi e farisei.
(2
aprile 1947)
Apostoli,
discepoli e folla lo seguono compatti, mentre Egli torna di nuovo nel
luogo della prima cinta che è quasi al riparo del muraglione di
cinta del Tempio, là dove è un poco di frescura perché la giornata
è molto afosa. Là, essendo il terreno sconvolto dagli zoccoli
degli animali, sparso delle pietre che i mercanti e i cambiavalute
usavano per tenere fermi i loro recinti e le loro tende, là non
ci sono i rabbi di Israele, i quali permettevano che nel Tempio si
facesse un mercato, ma che hanno ribrezzo a portare le suole dei loro
sandali là dove malamente sono cancellate le orme dei
quadrupedi che solo da pochi giorni sono stati sfrattati di
là...
Gesù
non ne ha ribrezzo e si rifugia là, in un cerchio folto di
ascoltatori. Però, prima di parlare, chiama vicino i suoi apostoli,
ai quali dice:
«Venite
e ascoltate bene. Ieri volevate sapere molte delle cose che ora
dirò e che ieri accennai vagamente, quando riposavamo nell'orto
di Giuseppe. State dunque bene attenti, perché sono grandi lezioni
per tutti e soprattutto per voi, miei ministri e continuatori.
Udite.
Sulla
cattedra di Mosè si assisero al tempo giusto scribi e farisei.
Ore tristi, quelle, per la Patria. Finito l'esilio in Babilonia e
ricostruita la nazione per magnanimità di Ciro, i reggitori del
popolo sentirono la necessità di ricostruire anche il culto e la
conoscenza della Legge. Perché guai a quel popolo che non li ha a
sua difesa, guida e sostegno, contro
i più potenti nemici di una nazione, che sono l'immoralità dei
cittadini, la ribellione ai capi, la disunione fra le diverse classi
e partiti, i peccati contro Dio e contro il prossimo,
l'irreligiosità, tutti elementi disgregatori per se stessi e
per le punizioni celesti che provocano!
Sorsero
dunque gli scribi, o dottori della Legge, per poter ammaestrare il
popolo che, parlante il linguaggio caldeo, retaggio del duro
esilio,
non comprendeva più le scritture scritte in ebraico puro.
Sorsero in aiuto dei sacerdoti, insufficienti per numero ad assolvere
il compito di ammaestrare le folle. Laicato dotto e dedicato ad
onorare il Signore, portando la conoscenza di Lui negli uomini e
portando a Lui gli uomini, ebbe la sua ragione di essere e fece anche
del bene.
Perché,
ricordate-velo tutti, anche le cose che per debolezza umana poi
degenerano, come fu questa che si corruppe nell'andare dei
secoli, hanno sempre qualche parte
di buono e una ragione, almeno iniziale, di essere,
per le quali cose l'Altissimo permette
che sorgano e durino
sinché, la misura della degenerazione essendo colma,
l'Altissimo non le disperde.
Venne
poi l'altra setta dei farisei, dalla trasformazione di quella degli
Assidei, sorta per sostenere con la più rigida morale e la più
intransigente, ubbidienza la Legge di Mosè e lo spirito di
indipendenza nel nostro popolo, quando il partito ellenista,
formatosi per le pressioni e le seduzioni iniziatesi al tempo di
Antioco Epifàne e presto mutatesi in persecuzioni su chi non cedeva
alle pressioni dell'astuto, che più che sulle sue armi contava sulla
disgregazione della fede nei cuori per regnare nella nostra Patria,
tentava di farci servi.
Ricordate
anche questo: temete piuttosto le facili alleanze e le blandizie di
uno straniero che le sue legioni.
Perché,
mentre se sarete fedeli alle leggi di Dio e della Patria
vincerete anche se accerchiati da eserciti poderosi, quando
sarete corrotti dal veleno sottile, dato come un miele inebbriante
dallo straniero che ha fatto disegni su voi, Dio vi abbandonerà
per i vostri peccati, e sarete vinti e soggetti, anche senza che
il falso alleato dia battaglia cruenta contro il vostro suolo.
Guai
a chi non sta all'erta come vigile scolta e non respinge l'insidia
sottile di un astuto e falso vicino, o alleato, o dominatore che
inizia la sua dominazione sui singoli, illanguidendo il loro cuore e
corrompendolo con usi e costumi che nostri non sono, che santi non
sono e che perciò ci rendono sgraditi al Signore!
Guai! Ricordate
tutti le conseguenze portate alla Patria dall'avere alcuni dei
suoi figli adottato usi e costumi dello straniero per ingraziarsi
lo stesso e godere.
Buona
cosa è la carità con tutti, anche con i popoli che non sono della
nostra fede, che non hanno i nostri usi, che ci hanno nuociuto nei
secoli. Ma l'amore a questi popoli, che sono sempre nostro prossimo,
non ci deve mai
far
rinnegare la Legge di Dio e della Patria per il calcolo di qualche
utile carpito così ai vicini.
No. Gli stranieri disprezzano coloro che sono servili sino al
ripudio delle cose più sante della Patria. Non è col rinnegare il
Padre e la Madre - Dio e la Patria - che si ottiene rispetto e
libertà.
Bene
dunque fu che al tempo giusto sorgessero anche i farisei a fare diga
contro lo straripamento fangoso di usi e costumi stranieri. Lo
ripeto: ogni cosa che sorge e che dura ha la sua ragione d'essere. E
bisogna rispettarla per ciò che fece, se non per ciò che fa. Ché,
se essa è colpevole, ormai, non sta agli uomini insultarla e
meno ancora colpirla. C'è chi sa farlo: Dio e Colui che Egli ha
mandato e che ha il diritto e il dovere di aprire la sua bocca e di
aprire i vostri occhi, perché voi e loro sappiate il pensiero
dell'Altissimo e agiate con giustizia. Io
e nessun altro. Io perché parlo per mandato divino. Io perché posso
parlare non avendo in Me nessuno
dei
peccati che vi scandalizzano quando li vedete fatti da scribi e
farisei, ma che, se potete, fate voi pure».
Gesù,
che aveva iniziato pianamente il suo discorso, ha alzato gradatamente
la voce, e in queste ultime parole essa è potente come uno
squillo di tromba. Ebrei e gentili sono intenti ed attenti ad
ascoltarlo. E se i primi applaudono quando Gesù ricorda la Patria e
chiama apertamente coi loro nomi coloro che, stranieri, li hanno
assoggettati e fatti soffrire, i secondi ammirano la forma
oratoria del discorso e si felicitano di essere presenti a questa
orazione degna di un grande oratore, dicono fra loro. Gesù abbassa
di nuovo la voce riprendendo a parlare:
«Questo
vi ho detto per ricordarvi la ragione d'essere di scribi e farisei, e
come e perché si sono seduti sulla cattedra di Mosè, e come e
perché parlano e non vane sono le loro parole.
Fate dunque ciò che essi dicono. Ma non imitateli nelle loro azioni.
Perché essi dicono di fare in una data maniera, ma poi non fanno ciò
che dicono che si deve fare. Infatti essi insegnano le leggi di
umanità del Pentateuco, ma poi caricano di pesi grandi,
insopportabili, inumani, gli altri, mentre
per loro stessi non stendono neppur un dito, non a portare quei pesi,
ma neppure a toccarli.
Loro regola di vita è l'esser visti e notati e applauditi per le
loro opere, che fanno in maniera atta a esser viste, per averne lode.
E contravvengono alla legge dell'amore, perché amano definirsi
separati e hanno sprezzo per coloro che non sono della loro
setta, ed esigono il titolo di maestri e un culto dai loro discepoli
quali essi non dànno a Dio. Dèi si credono per sapienza e
potenza, superiori al padre e alla madre vogliono essere nel
cuore dei loro discepoli, e pretendono che la loro
dottrina
superi quella di Dio ed esigono che sia praticata alla lettera,
anche se è manipolazione della vera Legge, inferiore alla stessa
come più non lo è questo monte rispetto all'altezza del Grande
Ermon che tutta la Palestina sovrasta; ed eretici sono, credendo,
come i pagani, alla metempsicosi e alla fatalità alcuni,
negando gli altri ciò che i primi ammettono e, di fatto se non di
effetto, ciò che Dio stesso ha dato per fede, definendosi unico Dio
al quale va dato culto e dicendo il padre e la madre secondi a Dio
soltanto, e come tali in diritto di essere ubbiditi più di un
maestro che non sia divino. Ché se ora Io vi dico:
"Colui
che ama il padre e la madre più di Me non è atto al Regno di Dio",
non
è già per inculcarvi il disamore ai parenti, ai quali dovete
rispetto ed aiuto,
né è lecito levare un soccorso ad essi dicendo: "É
denaro del Tempio", o ospitalità dicendo: "La mia carica
me lo vieta", o la vita dicendo: "Ti uccido perché tu
ami il Maestro", ma
è perché abbiate l'amore giusto ai parenti, ossia un amore
paziente e forte nella sua mansuetudine, il quale sa - senza giungere
all'odio verso il parente che pecca e dà dolore non seguendovi sulla
via della Vita: la mia - il quale sa saper scegliere tra la legge mia
e l'egoismo famigliare e la sopraffazione famigliare.
Amate i parenti, ubbiditeli in tutto ciò che è santo. Ma
siate pronti a morire, non già a dar morte ma a morire, dico, se
essi vogliono indurvi a tradire la vocazione che Dio ha messa in voi
di essere i cittadini del Regno di Dio che Io sono venuto a formare.
Non
imitate scribi e farisei, divisi fra loro sebbene affettino di
essere uniti. Voi,
discepoli del Cristo, siate veramente uniti, uni per gli altri, i
capi dolci ai soggetti, i soggetti dolci coi capi, uni nell'amore e
nel fine della vostra unione: conquistare il mio Regno ed essere
alla mia destra nell'eterno Giudizio.
Ricordate che un regno diviso non è più un regno e non può
sussistere. Siate
dunque uniti fra voi nell'amore per Me e per la mia dottrina. Assisa
del cristiano, ché tale sarà il nome dei sudditi miei ((G
Notate che qui per la prima volta Gesù rivela ai suoi discepoli il
nome col quale saranno chiamati nei secoli i suoi sudditi.)),
sia
l'amore e l'unione, l'uguaglianza fra voi nelle vesti, la comunanza
negli averi, la fratellanza dei cuori. Tutti
per uno, uno per tutti.
Chi
ha, dia umilmente. Chi non ha, accetti umilmente e umilmente esponga
i suoi bisogni ai fratelli, sapendoli tali;
e
i fratelli ascoltino amorosamente i bisogni dei fratelli,
sentendosi ad essi veramente tali.
Ricordate
che
il Maestro vostro ebbe spesso fame, freddo e altri mille bisogni e
disagi, e umilmente li espose agli uomini, Egli, Verbo di Dio.
Ricordate
che è dato un premio a chi è misericorde anche di un sol sorso
d'acqua.
Ricordate
che dare è meglio che ricevere.
In
questi tre ricordi il povero trovi la forza di chiedere senza
sentirsi umiliato, pensando che Io l'ho fatto prima di lui, e di
perdonare se sarà respinto, pensando che molte volte al Figlio
dell'uomo fu negato il posto e il cibo che
si
dànno ai cani di guardia al gregge.
E
Il ricco trovi la generosità di dare le sue ricchezze, pensando
che la moneta vile, l'odioso denaro suggerito da Satana, causa dei
nove decimi delle rovine del mondo, se
dato per amore si muta in gemma immortale e paradisiaca.
Siate
vestiti delle vostre virtù. Esse siano ampie ma note a Dio solo. Non
fate come i farisei che portano le filatterie più larghe e le frange
più lunghe e amano i primi seggi nelle sinagoghe e gli ossequi
nelle piazze, e vogliono essere chiamati dal popolo: "Rabbi".
Uno
solo è il Maestro: il Cristo.
Voi
che in futuro sarete i nuovi dottori, parlo a voi, miei apostoli
e discepoli, ricordate che Io
solo sono il vostro Maestro.
E lo sarò anche quando non sarò più fra voi. Perché
solo la Sapienza è colei che ammaestra.
Non fatevi perciò chiamare maestri, perché siete voi stessi
discepoli. E
non esigete e non date il nome di padre ad alcuno sulla Terra, perché
uno solo è il Padre di tutti: il Padre vostro che è nei Cieli.
Questa verità vi faccia saggi nel sentirvi veramente tutti
fratelli
fra voi, sia quelli che dirigono come quelli che sono diretti, e
amatevi perciò da buoni fratelli.
Né
alcuno di quelli che dirigeranno si faccia chiamare guida, perché
una sola è la vostra guida comune: il Cristo.
Il
più grande fra voi sia vostro servo.
((G
Il Santo Padre si fa infatti chiamare: “Il Servo dei Servi di
Dio”))
Non è umiliarsi esser servo
dei servi di Dio,
ma è imitare Me che fui mite e umile, sempre pronto ad avere amore
ai fratelli miei nella carne di Adamo e ad aiutarli con la potenza
che ho in Me come Dio. Né ho umiliato il divino, servendo gli
uomini. Perché
il vero re è colui che sa signoreggiare non tanto gli uomini quanto
le passioni dell'uomo, prima fra tutte la stolta superbia.
Ricordate:
chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato.
La Donna di cui ha parlato nel II della Genesi il Signore, la Vergine
di cui è parola in Isaia, la Madre-Vergine dell'Emmanuele, ha
profetato questa verità del tempo nuovo cantando:
"Il Signore ha rovesciato i potenti dal loro trono ed ha
innalzato gli umili".
La Sapienza di Dio parlava sul labbro di Colei che era Madre della
Grazia e Trono della Sapienza. E Io ripeto le ispirate parole che mi
lodarono unito al Padre e allo Spirito Santo, nelle nostre opere
mirabili, quando,
senza offesa per la Vergine ,
Io, l'Uomo, mi formavo nel suo seno senza cessare di essere Dio.
Siano norma a quelli che vogliono partorire il Cristo nei loro cuori
e venire al Regno di Cristo.
Non
vi sarà Gesù: il Salvatore; Cristo: il Signore; e non vi sarà
Regno dei Cieli per coloro che sono superbi, fornicatori, idolatri,
adorando se stessi e la loro volontà.
Perciò
guai a voi, scribi e farisei ipocriti,
che credete di poter chiudere con le vostre impraticabili sentenze -
e realmente, se fossero avallate da Dio, sarebbero serrame
infrangibile alla maggioranza degli uomini - che credete di poter
chiudere il Regno dei Cieli in faccia agli uomini che alzano lo
spirito ad esso per trovare forza nella loro penosa giornata
terrena!
Guai
a voi che
non ci entrate, non ci volete entrare perché non accogliete la
Legge del celeste Regno, e non ci lasciate entrare gli altri che sono
davanti a quella porta che voi, intransigenti, rinforzate di
chiusure che Dio non ha messe.
Guai
a voi, scribi e farisei ipocriti, che
divorate le case delle vedove col pretesto di fare lunghe orazioni.
Per questo subirete un giudizio severo!
Guai
a voi, scribi e farisei ipocriti,
che andate per mare e per terra, consumando gli averi non
vostri, per
fare un solo proselite e, fatto che sia tale, lo rendete figlio
dell'inferno il doppio di voi!
Guai
a voi, guide cieche,
che dite: "Se uno giura per il Tempio non è niente il suo
giuramento, ma se giura per l'oro del Tempio allora resta obbligato
al suo giuramento". Stolti e ciechi! E chi è di più?
L'oro, o il Tempio che santifica l'oro? E che dite: "Se uno
giura per l'altare non ha valore il suo giuramento, ma se giura
per l'offerta che è sull'altare allora è valido il suo giurare e
resta obbligato al suo giuramento". Ciechi! Che cosa è più
grande? L'offerta, o l'altare che santifica l'offerta? Chi dunque
giura per l'altare giura per esso e per tutte le cose che sono sopra
di esso, e chi giura per il Tempio giura per esso e per Colui che lo
abita, e chi giura per il Cielo giura per il trono di Dio e per
Colui che vi sta assiso.
Guai
a voi, scribi e farisei ipocriti,
che pagate le decime della menta e della ruta, dell'anice e del
cimino, e poi trascurate i precetti più gravi della Legge: la
giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste sono le virtù che
bisognava avere, senza tralasciare le altre cose minori! Guide
cieche, che filtrate le bevande per paura di contaminarvi
inghiottendo un moscerino affogato, e poi trangugiate un cammello
senza sentirvi immondi per questo.
Guai
a voi, scribi e farisei ipocriti,
che lavate l'esterno del calice e del piatto, ma dentro siete ricolmi
di rapina e d'immondezza. Fariseo cieco, lava prima il di dentro del
tuo calice e del tuo piatto, di modo che anche il di fuori divenga
pulito.
Guai
a voi, scribi e farisei ipocriti,
che volate come nottole nelle tenebre per le vostre opere di peccato
e patteggiate nella notte coi pagani, i ladroni e i traditori, e poi,
al mattino, cancellati i segni dei vostri occulti mercati,
salite al Tempio in bella veste.
Guai
a voi,
che insegnate le leggi della carità e della giustizia contenute
nel Levitico, e poi siete avidi, ladri, falsi, calunniatori,
oppressori, ingiusti, vendicativi, odiatori, e giungete ad abbattere
colui che vi dà noia, anche se è vostro sangue, e a ripudiare la
vergine che vi è divenuta moglie, e ripudiare i figli avuti da lei
perché sono infelici, e ad accusare di adulterio la vostra donna che
più non vi piace, o di malattia immonda, per esser liberi di essa,
voi che immondi siete nel vostro cuore libidinoso, anche se non
parete tali agli occhi della gente che non sa le vostre azioni. Siete
simili a sepolcri imbiancati, che di fuori sembrano belli mentre
dentro sono pieni d'ossa di morti e di marciume. Così anche voi. Sì.
Così!
Di fuori sembrate giusti, ma dentro siete ricolmi di ipocrisia e
d'iniquità.
Guai
a voi, scribi e farisei ipocriti, che
innalzate sontuosi sepolcri ai profeti e abbellite le tombe dei
giusti dicendo: "Se noi fossimo vissuti ai tempi dei nostri
padri non saremmo stati complici e partecipi di coloro che sparsero
il sangue dei profeti". E così testimoniate contro di voi
di essere i discendenti di coloro che uccisero i vostri profeti. E
voi, del
resto, colmate
la misura dei padri vostri... O serpenti, razza di vipere, come
scamperete alla condanna della Geenna?
Per
questo, ecco, Io, Parola di Dio, vi dico: Io, Dio, manderò
a
voi profeti e sapienti e scribi novelli. E, di questi, voi parte ne
ucciderete, parte ne crocifiggerete, parte ne flagellerete nei
vostri tribunali, nelle vostre sinagoghe, fuori delle vostre mura, e
parte li perseguiterete di città in città, finché
non ricada su voi tutti il sangue giusto sparso sulla Terra,
dal sangue del giusto Abele a quello di Zaccaria figlio di Barachia,
che voi uccideste fra l'atrio e l'altare perché vi aveva, per amore
di voi, ricordato il vostro peccato acciò ve ne pentiste tornando al
Signore. Così è.
Voi
odiate coloro che vogliono il vostro bene e amorosamente vi
richiamano sui sentieri di Dio. In verità vi dico che tutto ciò sta
per avvenire, e il delitto e le conseguenze. In verità vi dico che
tutto ciò si compirà su questa generazione.
Oh!
Gerusalemme! Gerusalemme! Gerusalemme, che lapidi quelli che ti sono
inviati e uccidi i suoi profeti! Quante volte Io ho voluto radunare i
tuoi figli come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le sue ali, e
tu non hai voluto! Or ecco, ascolta, o Gerusalemme! Or ecco,
ascoltate voi tutti che mi odiate e odiate tutto ciò che viene
da Dio. Or
ecco, ascoltate voi che mi amate e che sarete travolti nel castigo
serbato per i persecutori dei Messi di Dio.
E ascoltate anche voi, che non siete di questo popolo ma che mi
ascoltate ugualmente, ascoltate per sapere chi è Colui che vi parla
e che predice senza bisogno di studiare il volo, il canto degli
uccelli, né i fenomeni celesti e le viscere degli animali
sacrificati, né la fiamma e il fumo degli olocausti, perché
tutto il futuro è il presente per Colui che vi parla.
"Questa
vostra Casa vi sarà lasciata deserta. Io vi dico, dice il Signore,
che non mi vedrete più finché voi pure non diciate: 'Benedetto
Colui che viene nel nome del Signore'"».
Gesù
è visibilmente stanco e accaldato. E per la fatica del lungo e
tonante discorso e per l'afa della giornata senza vento. Premuto
contro al muro da una moltitudine, dardeggiato da mille e mille
pupille, sentendo tutto l'odio che da sotto i portici del cortile dei
Pagani lo ascolta, e tutto l'amore o almeno l'ammirazione che lo
circonda, incurante del sole che picchia sulle schiene e sui volti
arrossati e sudati, appare veramente spossato e bisognoso di
ristoro.
E
lo cerca dicendo ai suoi apostoli e ai settantadue, che come tanti
cunei si sono aperti lentamente un passaggio nella folla e che sono
ora in prima linea, barriera d'amore fedele intorno a Lui:
«Usciamo
dal Tempio e andiamo all'aperto, fra gli alberi. Ho bisogno di ombra,
silenzio e frescura. In verità questo luogo sembra già ardere
del fuoco dell'ira celeste».
Gli
fanno largo a fatica e possono così uscire dalla porta più vicina,
dove Gesù si sforza di congedare molti, ma inutilmente. Lo vogliono
seguire a tutti i costi. I discepoli, intanto, osservano il cubo del
Tempio sfavillante al sole quasi meridiano, e Giovanni d'Efeso
fa osservare al Maestro la potenza della costruzione:
«Guarda
che pietre e che costruzioni!».
«Eppure
di esse non resterà pietra su pietra», risponde Gesù.
«No!
Quando? Come?», chiedono molti.
Ma
Gesù non dice. Scende il Moria ed esce svelto dalla città, passando
per Ofel e per la porta di Efraim o del Letame e rifugiandosi nel
folto dei Giardini del Re dapprima, ossia sinché coloro che,
non apostoli e non discepoli, si sono ostinati a seguirlo se ne vanno
lentamente quando Mannaen, che ha fatto aprire i pesanti cancelli, si
fa avanti, imponente, per dire a tutti:
«Andate.
Qui non entrano che coloro che io voglio».
....mercoledì santo...
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