mercoledì 4 aprile 2012

Mercoledì Santo rivelato da Gesù alla Valtorta


2 aprile 1947.

Gesù entra nel Tempio ancor più affollato che nei giorni precedenti. È tutto bianco oggi, nella sua veste di lino. È una giornata afosa. Va ad adorare nell'atrio degli Israeliti e poi va ai portici, se­guito da un codazzo di gente, mentre altra ha già preso le mi­gliori posizioni sotto i porticati, e la maggioranza sono gentili che, non potendo andare oltre il primo cortile, oltre il portico dei Pagani, hanno approfittato del fatto che gli ebrei hanno se­guito il Cristo per prendere posizioni di favore.
Ma un gruppo ben numeroso di farisei li scompagina: sono sempre arroganti ad un modo, e si fanno largo con prepotenza per accostarsi a Gesù curvo su di un malato. Attendono che lo abbia guarito, poi gli mandano vicino uno scriba perché lo in­terroghi. Veramente fra loro c'era stata prima una breve disputa, per­ché Gioele detto Alamot voleva andare lui ad interrogare il Maestro. Ma un fariseo si oppone e gli altri lo sostengono di­cendo:
«No. Ci è noto che tu parteggi per il Rabbi, benché tu lo faccia segretamente. Lascia andare Uria».
«Uria no», dice un altro giovane scriba che non conosco af­fatto. «Uria è troppo aspro nel suo parlare. Ecciterebbe la fol­la. Vado io».
E, senza ascoltare più le proteste degli altri, va vicino al Maestro proprio nel momento che Gesù congeda il malato di­cendogli: «Abbi fede. Sei guarito. La febbre e il dolore non torneranno mai più».
«Maestro, quale è il maggiore dei comandamenti della Leg­ge?».
Gesù, che lo aveva alle spalle, si volta e lo guarda. Una luce tenue di sorriso gli illumina il volto, e poi alza il capo, essendo a capo chino perché lo scriba è di bassa statura e per di più sta curvo in atto di ossequio, e gira lo sguardo sulla folla, lo ap­punta sul gruppo dei farisei e dottori e scorge il viso pallido di Gioele seminascosto dietro un grosso e impaludato fariseo. Il suo sorriso si accentua. È come una luce che vada a carezzare lo scriba onesto. Poi riabbassa il capo guardando il suo interlocutore e gli ri­sponde:
«Il primo di tutti i comandamenti è: "Ascolta, o Israele: il Signore Dio nostro è l'unico Signore. Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze". Questo è il primo e supremo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Non vi sono comandamenti maggiori di questi. Essi rinchiudono tutta la Legge e i Profeti».
«Maestro, Tu hai risposto con sapienza e con verità. Così è. Dio è Unico e non vi è altro dio fuori che Lui. Amarlo con tutto il proprio cuore, con tutta la propria intelligenza, con tutta l'anima e tutte le forze, e amare il prossimo come se stesso, vale molto più di ogni olocausto e sacrificio. Molto lo penso quando medito le parole davidiche: "A Te non piacciono gli olocausti; il sacrificio a Dio è lo spirito compunto"».
«Tu non sei lontano dal Regno di Dio, perché hai compreso quale sia l'olocausto che è gradito a Dio».
«Ma quale è l'olocausto maggiormente perfetto?», chiede svelto, a bassa voce, lo scriba, come se dicesse un segreto.
Gesù raggia d'amore lasciando cadere questa perla nel cuo­re di costui che si apre alla sua dottrina, alla dottrina del Re­gno di Dio, e dice, curvo su lui:
«L'olocausto perfetto è amare come noi stessi coloro che ci perseguitano e non avere rancori. Chi fa questo possederà la pace. È detto: i mansueti possede­ranno la terra e godranno dell'abbondanza della pace. In ve­rità ti dico che colui che sa amare i suoi nemici raggiunge la perfezione e possiede Dio».
Lo scriba lo saluta con deferenza e se ne torna al suo gruppo, che lo rimprovera sottovoce di aver lodato il Maestro, e con ira gli dicono:
«Che gli hai chiesto in segreto? Sei anche tu, forse, sedotto da Lui?».
«Ho sentito lo Spirito di Dio parlare sulle sue labbra».
«Sei uno stolto. Lo credi forse tu il Cristo?».
«Lo credo».
«In verità fra poco vedremo vuote le nostre scuole dei nostri scribi ed essi andar raminghi dietro quell'Uomo! Ma dove ve­di, in Lui, il Cristo?».
«Dove non so. So che sento che è Lui».
«Pazzo!», gli voltano inquieti le spalle.
Gesù ha osservato il dialogo e, quando i farisei gli passano davanti in gruppo serrato per andarsene inquieti, li chiama di­cendo:
«Ascoltatemi. Voglio chiedervi una cosa. Secondo voi, che ve ne pare del Cristo? Di chi è figlio?».
«Sarà figlio di Davide», gli rispondono marcando il "sarà", perché vogliono fargli capire che, per loro, Egli non è il Cristo.
«E come dunque Davide, ispirato da Dio, lo chiama "Signore" dicendo:
"Il Signore ha detto al mio Signore: 'Siedi alla mia destra fino a che non avrò messo i tuoi nemici a sgabello ai tuoi piedi"'? [1]
Se dunque Davide chiama il Cristo "Signore", co­me il Cristo può essergli figlio?».
Non sapendo cosa rispondergli, si allontanano ruminando il loro veleno. Gesù si sposta dal luogo dove era, tutto invaso dal sole, per andare più oltre, dove sono le bocche del tesoro, presso la sala del gazofilacio. Questo lato, ancora in ombra, è occupato da rabbi che concionano con grandi gesti rivolti ai loro ascoltato­ri ebrei, che aumentano sempre più come, col passar delle ore, aumenta di continuo la gente che affluisce al Tempio. I rabbi si sforzano di demolire coi loro discorsi gli insegna­menti che il Cristo ha dato nei giorni precedenti o quella stessa mattina. E sempre più alzano la voce più vedono aumentare la folla dei fedeli. Il luogo, infatti, benché vasto tanto, formicola di persone che vanno e vengono in ogni senso...
19 giugno 1944.
L'obolo della vedova.
…OMISSIS.. Qui avviene la visione sul fatto molto conosciuto nei Vangeli riguardo all’obolo della vedova, che lascio alla vostra personale lettura.
L'invettiva contro scribi e farisei.
(2 aprile 1947)
Apostoli, discepoli e folla lo seguono compatti, mentre Egli torna di nuovo nel luogo della prima cinta che è quasi al riparo del muraglione di cinta del Tempio, là dove è un poco di frescura perché la giornata è molto afosa. Là, essendo il terre­no sconvolto dagli zoccoli degli animali, sparso delle pietre che i mercanti e i cambiavalute usavano per tenere fermi i loro re­cinti e le loro tende, là non ci sono i rabbi di Israele, i quali permettevano che nel Tempio si facesse un mercato, ma che hanno ribrezzo a portare le suole dei loro sandali là dove mala­mente sono cancellate le orme dei quadrupedi che solo da po­chi giorni sono stati sfrattati di là...
Gesù non ne ha ribrezzo e si rifugia là, in un cerchio folto di ascoltatori. Però, prima di parlare, chiama vicino i suoi apo­stoli, ai quali dice:
«Venite e ascoltate bene. Ieri volevate sapere molte delle co­se che ora dirò e che ieri accennai vagamente, quando riposa­vamo nell'orto di Giuseppe. State dunque bene attenti, perché sono grandi lezioni per tutti e soprattutto per voi, miei mini­stri e continuatori. Udite.
Sulla cattedra di Mosè si assisero al tempo giusto scribi e farisei. Ore tristi, quelle, per la Patria. Finito l'esilio in Babilonia e ricostruita la nazione per magnanimità di Ciro, i reggitori del popolo sentirono la necessità di ricostruire anche il culto e la conoscenza della Legge. Perché guai a quel popolo che non li ha a sua difesa, guida e sostegno, contro i più poten­ti nemici di una nazione, che sono l'immoralità dei cittadini, la ribellione ai capi, la disunione fra le diverse classi e partiti, i peccati contro Dio e contro il prossimo, l'irreligiosità, tutti ele­menti disgregatori per se stessi e per le punizioni celesti che provocano!
Sorsero dunque gli scribi, o dottori della Legge, per poter ammaestrare il popolo che, parlante il linguaggio caldeo, re­taggio del duro esilio, non comprendeva più le scritture scritte in ebraico puro. Sorsero in aiuto dei sacerdoti, insufficienti per numero ad assolvere il compito di ammaestrare le folle. Laica­to dotto e dedicato ad onorare il Signore, portando la cono­scenza di Lui negli uomini e portando a Lui gli uomini, ebbe la sua ragione di essere e fece anche del bene.
Perché, ricordate-velo tutti, anche le cose che per debolezza umana poi degene­rano, come fu questa che si corruppe nell'andare dei secoli, hanno sempre qualche parte di buono e una ragione, almeno iniziale, di essere, per le quali cose l'Altissimo permette che sorgano e durino sinché, la misura della degenerazione essen­do colma, l'Altissimo non le disperde.
Venne poi l'altra setta dei farisei, dalla trasformazione di quella degli Assidei, sorta per sostenere con la più rigida mo­rale e la più intransigente, ubbidienza la Legge di Mosè e lo spirito di indipendenza nel nostro popolo, quando il partito el­lenista, formatosi per le pressioni e le seduzioni iniziatesi al tempo di Antioco Epifàne e presto mutatesi in persecuzioni su chi non cedeva alle pressioni dell'astuto, che più che sulle sue armi contava sulla disgregazione della fede nei cuori per regnare nella nostra Patria, tentava di farci servi.
Ricordate anche questo: temete piuttosto le facili alleanze e le blandizie di uno straniero che le sue legioni.
Perché, men­tre se sarete fedeli alle leggi di Dio e della Patria vincerete an­che se accerchiati da eserciti poderosi, quando sarete corrotti dal veleno sottile, dato come un miele inebbriante dallo stra­niero che ha fatto disegni su voi, Dio vi abbandonerà per i vo­stri peccati, e sarete vinti e soggetti, anche senza che il falso alleato dia battaglia cruenta contro il vostro suolo.
Guai a chi non sta all'erta come vigile scolta e non respinge l'insidia sottile di un astuto e falso vicino, o alleato, o dominatore che inizia la sua dominazione sui singoli, illanguidendo il loro cuore e corrompendolo con usi e costumi che nostri non sono, che santi non sono e che perciò ci rendono sgraditi al Signore! Guai! Ri­cordate tutti le conseguenze portate alla Patria dall'avere al­cuni dei suoi figli adottato usi e costumi dello straniero per in­graziarsi lo stesso e godere. Buona cosa è la carità con tutti, anche con i popoli che non sono della nostra fede, che non hanno i nostri usi, che ci hanno nuociuto nei secoli. Ma l'amore a questi popoli, che sono sempre nostro prossimo, non ci deve mai far rinnegare la Legge di Dio e della Patria per il calcolo di qualche utile carpito così ai vicini. No. Gli stranieri disprez­zano coloro che sono servili sino al ripudio delle cose più sante della Patria. Non è col rinnegare il Padre e la Madre - Dio e la Patria - che si ottiene rispetto e libertà.
Bene dunque fu che al tempo giusto sorgessero anche i farisei a fare diga contro lo straripamento fangoso di usi e costumi stranieri. Lo ripeto: ogni cosa che sorge e che dura ha la sua ragione d'essere. E bisogna rispettarla per ciò che fece, se non per ciò che fa. Ché, se essa è colpevole, ormai, non sta agli uo­mini insultarla e meno ancora colpirla. C'è chi sa farlo: Dio e Colui che Egli ha mandato e che ha il diritto e il dovere di aprire la sua bocca e di aprire i vostri occhi, perché voi e loro sappiate il pensiero dell'Altissimo e agiate con giustizia. Io e nessun altro. Io perché parlo per mandato divino. Io perché posso parlare non avendo in Me nessuno dei peccati che vi scandalizzano quando li vedete fatti da scribi e farisei, ma che, se potete, fate voi pure».
Gesù, che aveva iniziato pianamente il suo discorso, ha alzato gradatamente la voce, e in queste ultime parole essa è po­tente come uno squillo di tromba. Ebrei e gentili sono intenti ed attenti ad ascoltarlo. E se i primi applaudono quando Gesù ricorda la Patria e chiama apertamente coi loro nomi coloro che, stranieri, li hanno as­soggettati e fatti soffrire, i secondi ammirano la forma oratoria del discorso e si felicitano di essere presenti a questa orazione degna di un grande oratore, dicono fra loro. Gesù abbassa di nuovo la voce riprendendo a parlare:
«Questo vi ho detto per ricordarvi la ragione d'essere di scribi e farisei, e come e perché si sono seduti sulla cattedra di Mosè, e come e perché parlano e non vane sono le loro parole. Fate dunque ciò che essi dicono. Ma non imitateli nelle loro azioni. Perché essi dicono di fare in una data maniera, ma poi non fanno ciò che dicono che si deve fare. Infatti essi insegna­no le leggi di umanità del Pentateuco, ma poi caricano di pesi grandi, insopportabili, inumani, gli altri, mentre per loro stessi non stendono neppur un dito, non a portare quei pesi, ma nep­pure a toccarli. Loro regola di vita è l'esser visti e notati e applauditi per le loro opere, che fanno in maniera atta a esser viste, per averne lode. E contravvengono alla legge dell'amore, perché amano definirsi separati e hanno sprezzo per coloro che non sono del­la loro setta, ed esigono il titolo di maestri e un culto dai loro discepoli quali essi non dànno a Dio. Dèi si credono per sa­pienza e potenza, superiori al padre e alla madre vogliono es­sere nel cuore dei loro discepoli, e pretendono che la loro dot­trina superi quella di Dio ed esigono che sia praticata alla let­tera, anche se è manipolazione della vera Legge, inferiore alla stessa come più non lo è questo monte rispetto all'altezza del Grande Ermon che tutta la Palestina sovrasta; ed eretici sono, credendo, come i pagani, alla metempsicosi e alla fatalità alcu­ni, negando gli altri ciò che i primi ammettono e, di fatto se non di effetto, ciò che Dio stesso ha dato per fede, definendosi unico Dio al quale va dato culto e dicendo il padre e la madre secondi a Dio soltanto, e come tali in diritto di essere ubbiditi più di un maestro che non sia divino. Ché se ora Io vi dico:
"Colui che ama il padre e la madre più di Me non è atto al Regno di Dio",
non è già per inculcarvi il disamore ai parenti, ai quali dovete rispetto ed aiuto, né è leci­to levare un soccorso ad essi dicendo: "É denaro del Tempio", o ospitalità dicendo: "La mia carica me lo vieta", o la vita di­cendo: "Ti uccido perché tu ami il Maestro", ma è perché ab­biate l'amore giusto ai parenti, ossia un amore paziente e forte nella sua mansuetudine, il quale sa - senza giungere all'odio verso il parente che pecca e dà dolore non seguendovi sulla via della Vita: la mia - il quale sa saper scegliere tra la legge mia e l'egoismo famigliare e la sopraffazione famigliare. Amate i parenti, ubbiditeli in tutto ciò che è santo. Ma siate pronti a morire, non già a dar morte ma a morire, dico, se essi vogliono indurvi a tradire la vocazione che Dio ha messa in voi di essere i cittadini del Regno di Dio che Io sono venuto a formare.
Non imitate scribi e farisei, divisi fra loro sebbene affetti­no di essere uniti. Voi, discepoli del Cristo, siate veramente uniti, uni per gli altri, i capi dolci ai soggetti, i soggetti dolci coi capi, uni nell'amore e nel fine della vostra unione: conqui­stare il mio Regno ed essere alla mia destra nell'eterno Giudi­zio. Ricordate che un regno diviso non è più un regno e non può sussistere. Siate dunque uniti fra voi nell'amore per Me e per la mia dottrina. Assisa del cristiano, ché tale sarà il nome dei sudditi miei ((G Notate che qui per la prima volta Gesù rivela ai suoi discepoli il nome col quale saranno chiamati nei secoli i suoi sudditi.)), sia l'amore e l'unione, l'uguaglianza fra voi nelle vesti, la comunanza negli averi, la fratellanza dei cuori. Tutti per uno, uno per tutti. Chi ha, dia umilmente. Chi non ha, accetti umilmente e umilmente esponga i suoi bisogni ai fratelli, sapendoli tali; e i fratelli ascoltino amorosamente i bi­sogni dei fratelli, sentendosi ad essi veramente tali. Ricordate che il Maestro vostro ebbe spesso fame, freddo e altri mille bisogni e disagi, e umilmente li espose agli uomini, Egli, Verbo di Dio. Ricordate che è dato un premio a chi è mi­sericorde anche di un sol sorso d'acqua. Ricordate che dare è meglio che ricevere.
In questi tre ricordi il povero trovi la forza di chiedere senza sentirsi umiliato, pensando che Io l'ho fatto prima di lui, e di perdonare se sarà respinto, pensando che molte volte al Figlio dell'uomo fu negato il posto e il cibo che si dànno ai cani di guardia al gregge.
E Il ricco trovi la genero­sità di dare le sue ricchezze, pensando che la moneta vile, l'odioso denaro suggerito da Satana, causa dei nove decimi delle rovine del mondo, se dato per amore si muta in gemma immortale e paradisiaca.
Siate vestiti delle vostre virtù. Esse siano ampie ma note a Dio solo. Non fate come i farisei che portano le filatterie più larghe e le frange più lunghe e amano i primi seggi nelle sina­goghe e gli ossequi nelle piazze, e vogliono essere chiamati dal popolo: "Rabbi". Uno solo è il Maestro: il Cristo.
Voi che in fu­turo sarete i nuovi dottori, parlo a voi, miei apostoli e discepo­li, ricordate che Io solo sono il vostro Maestro. E lo sarò anche quando non sarò più fra voi. Perché solo la Sapienza è colei che ammaestra. Non fatevi perciò chiamare maestri, perché siete voi stessi discepoli. E non esigete e non date il nome di padre ad alcuno sulla Terra, perché uno solo è il Padre di tutti: il Padre vostro che è nei Cieli. Questa verità vi faccia saggi nel sentirvi veramente tutti fratelli fra voi, sia quelli che dirigono come quelli che sono diretti, e amatevi perciò da buoni fratelli.
Né alcuno di quelli che dirigeranno si faccia chiamare guida, perché una sola è la vostra guida comune: il Cristo.
Il più grande fra voi sia vostro servo. ((G Il Santo Padre si fa infatti chiamare: “Il Servo dei Servi di Dio”)) Non è umiliarsi esser servo dei servi di Dio, ma è imitare Me che fui mite e umile, sempre pronto ad avere amore ai fratelli miei nella carne di Adamo e ad aiutarli con la potenza che ho in Me come Dio. Né ho umiliato il divino, servendo gli uomini. Perché il vero re è colui che sa signoreggiare non tanto gli uomini quanto le pas­sioni dell'uomo, prima fra tutte la stolta superbia.
Ricordate: chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato. La Donna di cui ha parlato nel II della Genesi il Signore, la Vergine di cui è parola in Isaia, la Madre-Vergine dell'Em­manuele, ha profetato questa verità del tempo nuovo cantan­do: "Il Signore ha rovesciato i potenti dal loro trono ed ha in­nalzato gli umili". La Sapienza di Dio parlava sul labbro di Colei che era Madre della Grazia e Trono della Sapienza. E Io ripeto le ispirate parole che mi lodarono unito al Padre e allo Spirito Santo, nelle nostre opere mirabili, quando, senza offesa per la Vergine , Io, l'Uomo, mi formavo nel suo seno senza ces­sare di essere Dio. Siano norma a quelli che vogliono partorire il Cristo nei loro cuori e venire al Regno di Cristo.
Non vi sarà Gesù: il Salvatore; Cristo: il Signore; e non vi sarà Regno dei Cieli per coloro che sono superbi, fornicatori, idolatri, adoran­do se stessi e la loro volontà.
Perciò guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che credete di poter chiudere con le vostre impraticabili sentenze - e real­mente, se fossero avallate da Dio, sarebbero serrame infrangibile alla maggioranza degli uomini - che credete di poter chiudere il Regno dei Cieli in faccia agli uomini che alzano lo spirito ad esso per trovare forza nella loro penosa giornata ter­rena!
Guai a voi che non ci entrate, non ci volete entrare per­ché non accogliete la Legge del celeste Regno, e non ci lasciate entrare gli altri che sono davanti a quella porta che voi, in­transigenti, rinforzate di chiusure che Dio non ha messe.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che divorate le case delle vedove col pretesto di fare lunghe orazioni. Per questo subirete un giudizio severo!
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che andate per mare e per terra, consumando gli averi non vostri, per fare un solo proselite e, fatto che sia tale, lo rendete figlio dell'inferno il doppio di voi!
Guai a voi, guide cieche, che dite: "Se uno giura per il Tem­pio non è niente il suo giuramento, ma se giura per l'oro del Tempio allora resta obbligato al suo giuramento". Stolti e cie­chi! E chi è di più? L'oro, o il Tempio che santifica l'oro? E che dite: "Se uno giura per l'altare non ha valore il suo giuramen­to, ma se giura per l'offerta che è sull'altare allora è valido il suo giurare e resta obbligato al suo giuramento". Ciechi! Che cosa è più grande? L'offerta, o l'altare che santifica l'offerta? Chi dunque giura per l'altare giura per esso e per tutte le cose che sono sopra di esso, e chi giura per il Tempio giura per esso e per Colui che lo abita, e chi giura per il Cielo giura per il tro­no di Dio e per Colui che vi sta assiso.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate le decime del­la menta e della ruta, dell'anice e del cimino, e poi trascurate i precetti più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste sono le virtù che bisognava avere, senza trala­sciare le altre cose minori! Guide cieche, che filtrate le bevande per paura di contami­narvi inghiottendo un moscerino affogato, e poi trangugiate un cammello senza sentirvi immondi per questo.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che lavate l'esterno del calice e del piatto, ma dentro siete ricolmi di rapina e d'immondezza. Fariseo cieco, lava prima il di dentro del tuo calice e del tuo piatto, di modo che anche il di fuori divenga pulito.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che volate come nottole nelle tenebre per le vostre opere di peccato e patteggiate nella notte coi pagani, i ladroni e i traditori, e poi, al mattino, can­cellati i segni dei vostri occulti mercati, salite al Tempio in bel­la veste.
Guai a voi, che insegnate le leggi della carità e della giusti­zia contenute nel Levitico, e poi siete avidi, ladri, falsi, calun­niatori, oppressori, ingiusti, vendicativi, odiatori, e giungete ad abbattere colui che vi dà noia, anche se è vostro sangue, e a ripudiare la vergine che vi è divenuta moglie, e ripudiare i figli avuti da lei perché sono infelici, e ad accusare di adulterio la vostra donna che più non vi piace, o di malattia immonda, per esser liberi di essa, voi che immondi siete nel vostro cuore libi­dinoso, anche se non parete tali agli occhi della gente che non sa le vostre azioni. Siete simili a sepolcri imbiancati, che di fuori sembrano belli mentre dentro sono pieni d'ossa di morti e di marciume. Così anche voi. Sì. Così! Di fuori sembrate giusti, ma dentro siete ricolmi di ipocrisia e d'iniquità.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate sontuosi sepolcri ai profeti e abbellite le tombe dei giusti dicendo: "Se noi fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri non saremmo stati complici e partecipi di coloro che sparsero il sangue dei profe­ti". E così testimoniate contro di voi di essere i discendenti di coloro che uccisero i vostri profeti. E voi, del resto, colmate la misura dei padri vostri... O serpenti, razza di vipere, come scamperete alla condanna della Geenna?
Per questo, ecco, Io, Parola di Dio, vi dico: Io, Dio, manderò a voi profeti e sapienti e scribi novelli. E, di questi, voi parte ne ucciderete, parte ne crocifiggerete, parte ne flagellere­te nei vostri tribunali, nelle vostre sinagoghe, fuori delle vostre mura, e parte li perseguiterete di città in città, finché non rica­da su voi tutti il sangue giusto sparso sulla Terra, dal sangue del giusto Abele a quello di Zaccaria figlio di Barachia, che voi uccideste fra l'atrio e l'altare perché vi aveva, per amore di voi, ricordato il vostro peccato acciò ve ne pentiste tornando al Si­gnore. Così è.
Voi odiate coloro che vogliono il vostro bene e amorosamente vi richiamano sui sentieri di Dio. In verità vi dico che tutto ciò sta per avvenire, e il delitto e le conseguenze. In verità vi dico che tutto ciò si compirà su questa generazione.
Oh! Gerusalemme! Gerusalemme! Gerusalemme, che lapidi quelli che ti sono inviati e uccidi i suoi profeti! Quante volte Io ho voluto radunare i tuoi figli come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le sue ali, e tu non hai voluto! Or ecco, ascolta, o Gerusalemme! Or ecco, ascoltate voi tutti che mi odiate e odia­te tutto ciò che viene da Dio. Or ecco, ascoltate voi che mi amate e che sarete travolti nel castigo serbato per i persecutori dei Messi di Dio. E ascoltate anche voi, che non siete di questo popolo ma che mi ascoltate ugualmente, ascoltate per sapere chi è Colui che vi parla e che predice senza bisogno di studiare il volo, il canto degli uccelli, né i fenomeni celesti e le viscere degli animali sacrificati, né la fiamma e il fumo degli olocau­sti, perché tutto il futuro è il presente per Colui che vi parla.
"Questa vostra Casa vi sarà lasciata deserta. Io vi dico, dice il Signore, che non mi vedrete più finché voi pure non diciate: 'Benedetto Colui che viene nel nome del Signore'"».
Gesù è visibilmente stanco e accaldato. E per la fatica del lungo e tonante discorso e per l'afa della giornata senza vento. Premuto contro al muro da una moltitudine, dardeggiato da mille e mille pupille, sentendo tutto l'odio che da sotto i portici del cortile dei Pagani lo ascolta, e tutto l'amore o almeno l'am­mirazione che lo circonda, incurante del sole che picchia sulle schiene e sui volti arrossati e sudati, appare veramente spossa­to e bisognoso di ristoro.
E lo cerca dicendo ai suoi apostoli e ai settantadue, che come tanti cunei si sono aperti lentamente un passaggio nella folla e che sono ora in prima linea, barriera d'amore fedele intorno a Lui:
«Usciamo dal Tempio e andiamo all'aperto, fra gli alberi. Ho bisogno di ombra, silenzio e fre­scura. In verità questo luogo sembra già ardere del fuoco dell'ira celeste».
Gli fanno largo a fatica e possono così uscire dalla porta più vicina, dove Gesù si sforza di congedare molti, ma inutilmente. Lo vogliono seguire a tutti i costi. I discepoli, intanto, osservano il cubo del Tempio sfavil­lante al sole quasi meridiano, e Giovanni d'Efeso fa osservare al Maestro la potenza della costruzione:
«Guarda che pietre e che costruzioni!».
«Eppure di esse non resterà pietra su pietra», risponde Gesù.
«No! Quando? Come?», chiedono molti.
Ma Gesù non dice. Scende il Moria ed esce svelto dalla città, passando per Ofel e per la porta di Efraim o del Letame e rifugiandosi nel folto dei Giardini del Re dapprima, ossia sin­ché coloro che, non apostoli e non discepoli, si sono ostinati a seguirlo se ne vanno lentamente quando Mannaen, che ha fatto aprire i pesanti cancelli, si fa avanti, imponente, per dire a tut­ti:
«Andate. Qui non entrano che coloro che io voglio».

....mercoledì santo... 

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