Vedo
il cenacolo dove deve consumarsi la Pasqua. Lo vedo distintamente.
Potrei enumerare tutte le rugosità del muro e le crepe del
pavimento.
È
uno stanzone non perfettamente quadrato, ma anche poco rettangolare.
Vi sarà la differenza di un metro o poco più, al massimo, fra il
lato più lungo e quello più corto. È basso di soffitto. Forse
appare tale anche per la sua grandezza, alla quale non corrisponde
l'altezza. È lievemente a volta, ossia i due lati più corti non
finiscono ad angolo retto col soffitto, ma con un angolo smusso.
In
questi due lati più corti vi sono due larghe finestre, larghe e
basse, prospicienti. Non vedo dove guardano, se su un cortile o su
una via, perché ora hanno le impannate, che le chiudono, chiuse. Ho
detto: impannate. Non so se sia giusto il termine. Sono delle imposte
di tavoloni ben serrate in grazia di una sbarra di ferro che
le
traversa.
Il
pavimento è a larghi mattoni di terra-cotta, che il tempo ha reso
pallida, quadrati.
Dal
centro del soffitto pende un lume ad olio a più becchi.
Nelle
due pareti più lunghe, una è tutta senza aperture. Nell'altra,
invece, vi è una porticina in un angolo, alla quale si accede per
una scaletta senza ringhiera di sei scalini, terminanti in un ripiano
di un metro quadro. Su questo vi è, contro la parete, un altro
gradino, sul quale si apre la porta a filo del gradino. Non so se mi
sono spiegata.
Le
pareti sono semplicemente imbiancate, senza fregi o righe. Al centro
della stanza, un tavolone rettangolare, molto lungo rispetto alla
larghezza, messo parallelo alla parete più lunga, di legno
semplicissimo. Contro le pareti lunghe, quelli che saranno i sedili.
Alle pareti corte, sotto la finestra di un lato, una specie di
cassapanca con su dei bacili e delle anfore, e sotto l'altra finestra
una credenza bassa e lunga, sul cui piano per ora non c'è nulla.
E
questa è la descrizione della stanza dove si consumerà la Pasqua. È
tutt'oggi che la vedo distintamente, tanto che ho potuto contare i
gradini ed osservare tutti i particolari. Ora, poi, che viene la
notte, il mio Gesù mi conduce al resto della contemplazione.
Vedo
che lo stanzone conduce, per la scaletta dai sei gradini, in un
andito scuro che a sinistra, rispetto a me, si apre sulla via con una
porta larga, bassa e molto massiccia, rinforzata di borchie e strisce
di ferro. Di fronte alla porticina, che dal cenacolo conduce
nell'andito, vi è un'altra porta che conduce ad un'altra stanza,
meno vasta. Direi che il cenacolo è stato ricavato da un dislivello
del suolo rispetto al resto della casa e della via, è come un
seminterrato, una mezza cantina ripulita od aggiustata, ma sempre
infossata per un buon metro nel suolo, forse per farlo più alto e
proporzionato alla sua vastità.
Nella
stanza che vedo ora vi è Maria con altre donne. Riconosco Maddalena
e Maria madre di Giacomo, Giuda e Simone. Sembra che siano appena
arrivate, condotte da Giovanni, perché si levano i manti e li
posa-no piegati sugli sgabelli sparsi per la stanza, mentre salutano
l'apostolo che se ne va e una donna e un uomo accorsi al loro arrivo,
che ho l'impressione siano i padroni di casa e discepoli o
simpatizzanti per il Nazareno, perché sono pieni di premure e di
rispettosa confidenza per Maria. Questa è vestita di celeste cupo,
un azzurro di indaco scurissimo. Ha sul capo il velo bianco, che
appare quando si leva il manto che le copre anche il capo. È molto
sciupata in volto. Pare invecchiata. Molto triste, per quanto sorrida
con dolcezza. Molto pallida. Anche i movimenti sono stanchi e
incerti, come quelli di persona assorta in un suo pensiero.
Dalla
porta socchiusa vedo che il proprietario va e viene nell'andito e nel
cenacolo, che illumina completamente accendendo i restanti becchi
della lumiera. Poi va alla porta di strada e la apre, ed entra Gesù
con gli apostoli. Vedo che è sera, perché le ombre della notte
scendono già nella via stretta fra case alte.
È
con tutti gli apostoli. Saluta il proprietario col suo abituale
saluto: «La pace sia a questa casa», e poi, mentre gli apostoli
scendono nel cenacolo, Egli entra nella stanza dove è Maria. Le pie
donne salutano con profondo rispetto c sa, ne vanno, chiudendo la
porta e lasciando liberi la Madre o il Figlio.
Gesù
abbraccia sua Madre o la bacia in Fronte. Maria bacia prima la mano
al Figlio e poi la guancia destra. Gesù fa sedere Maria e si siede
al suo fianco, su due sgabelli vicini. La fa sedere, accompagnandola
ad essi per la mano, e continua a tenere la mano anche quando Ella è
seduta.
Anche
Gesù è assorto, pensieroso, triste, per quanto si sforzi a
sorridere. Maria ne studia con ansia l'espressione. Povera Mamma, che
per la grazia e per l'amore comprende che ora sia questa! Delle
contrazioni di dolore scorrono sul viso di Maria, ed i suoi occhi si
dilatano ad un'interna visione di spasimo. Ma non fa scene. È
maestosa come il Figlio.
Egli
le parla. La saluta e si raccomanda alle sue preghiere.
«Mamma,
sono venuto per prendere forza e conforto da te. Sono come un piccolo
bambino, Mamma, che ha bisogno del cuore della madre per il suo
dolore e del seno della madre per sua forza. Sono tornato, in
quest'ora, il tuo piccolo Gesù di un tempo. Non sono il Maestro,
Mamma. Sono unicamente il Figlio tuo, come a Nazareth quando ero
piccino, come a Nazareth prima di lasciare la vita privata. Non ho
che te. Gli uomini, in questo momento, non sono amici, e leali, del
tuo Gesù. Non sono neppure coraggiosi nel bene. Solo i malvagi sanno
essere costanti e forti nell'operare il male. Ma tu mi sei fedele e
sei la mia forza, Mamma, in quest'ora. Sostienimi col tuo amore e col
tuo orare. Non ci sei che tu che in quest'ora sai pregare, fra chi
più o meno mi ama. Pregare e comprendere. Gli altri sono in festa,
assorbiti da pensieri di festa o da pensieri di delitto, mentre Io
soffro di tante cose. Molte cose moriranno dopo quest'ora. E fra
queste la loro umanità, e sapranno essere degni di Me, tutti meno
colui che s'è perduto e che nessuna forza vale a ricondurre almeno
al pentimento. Ma per ora sono ancora uomini tardi che non mi sentono
morire, mentre essi giubilano credendo più che mai prossimo il mio
trionfo. Gli osanna di pochi giorni or sono li hanno ubriacati.
Mamma, sono venuto per quest'ora e soprannaturalmente la vedo
giungere con gioia. Ma il mio Io anche la teme, perché questo calice
ha nome tradimento, rinnegamento, ferocia, bestemmia, abbandono.
Sostienimi, Mamma. Come quando col tuo pregare hai attirato su te lo
Spirito di Dio, dando per Esso al mondo l'Aspettato delle genti,
attira ora sul Figlio tuo la forza che m'aiuti a compiere l'opera per
cui venni. Mamma, addio. Benedicimi, Mamma; anche per il Padre. E
perdona a tutti. Perdoniamo insieme, da ora perdoniamo a chi ci
tortura».
Gesù
è scivolato, parlando, ai piedi della Madre, in ginocchio, e la
guarda tenendola abbracciata alla vita.
Maria
piange senza gemiti, col volto lievemente alzato per una interna
preghiera a Dio. Le lacrime rotolano sulle guance pallide e cadono
sul suo grembo e sul capo che Gesù le appoggia alla fine sul cuore.
Poi Maria mette la sua mano sul capo di Gesù come per benedirlo e
poi si china, lo bacia fra i capelli, glieli carezza, gli carezza le
spalle, le braccia, gli prende il volto fra le mani e lo volge verso
di Lei, se lo serra al cuore. Lo bacia ancora fra le lacrime, sulla
fronte, sulle guance, sugli occhi dolorosi, se lo ninna, quel povero
capo stanco, come fosse un bambino, come l'ho vista ninnare nella
Grotta il Neonato divino. Ma non canta, ora. Dice solo: «Figlio!
Figlio! Gesù! Gesù mio!». Ma con una tal voce che mi strazia.
Poi
Gesù si rialza. Si aggiusta il manto, resta in piedi di fronte alla
Madre, che piange ancora, e a sua volta la benedice. Poi si dirige
alla porta. Prima di uscire le dice: «Mamma, verrò ancora prima di
consumare la mia Pasqua. Prega attendendomi». Ed esce.
Comincia
la sofferenza del Giovedì Santo.
Gli apostoli, e sono dieci, si dànno un gran da fare a preparare il Cenacolo.
Giuda, arrampicato sul tavolo, osserva se l'olio è in tutti i palloncini del grande lampadario, che pare una corolla di fucsia doppia, perché ha uno stelo circondato da cinque lumi in ampolle simili a petali, poi un secondo giro, più in basso, che è tutta una coroncina di fiammelle, poi ha, per ultimo, tre esili lampadine sospese a catenelle che sembrano i pistilli del luminoso fiore. Poi scende con un salto e aiuta Andrea a disporre con arte le stoviglie sulla tavola, su cui viene stesa una finissima tovaglia.
Sento Andrea che dice: «Che splendido lino !».
E l'Iscariota: «Uno dei migliori di Lazzaro. Marta l'ha voluta portare per forza».
«E questi calici? e queste anfore, allora?», osserva Tommaso che ha messo il vino nelle anfore preziose e le rimira, specchiandosi nelle loro pance snelle, e ne carezza i manici a cesello con occhio d'intenditore.
«Chissà che valore, eh?», chiede Giuda Iscariota.
«È lavorato a martello. Mio padre ne andrebbe pazzo. L'argento e l'oro in foglia si piega, quando è caldo, con facilità. Ma trattato così... È un momento rovinare tutto. Basta un colpo mal dato. Ci vuole forza e leggerezza insieme. Vedi i manici? Tratti dal blocco. Non saldati. Cose da ricchi... Pensa che tutta la limatura e lo sbozzato si perdono. Non so se mi capisci».
«Eh! se capisco! Insomma è come uno che fa scoltura».
«Proprio
così».
Tutti ammirano. Poi tornano al loro lavoro. Chi dispone i sedili e chi fa pronte le credenze.
Entrano insieme Pietro e Simone.
«Oh! siete venuti finalmente! Dove siete andati di nuovo? Dopo essere giunti col Maestro e noi, siete da capo fuggiti», dice l'Iscariota.
«Ancora un'incombenza prima dell'ora», risponde breve Simone.
«Hai delle malinconie?».
«Credo che, con quello che si è udito in questi giorni, e da quelle labbra che mai trovammo menzognere, ce ne sia ben ragione».
«E con quel puzzo di... Bene, sta' zitto, Pietro», borbotta Pietro fra i denti.
«Anche tu! ... Mi sembri folle da qualche giorno. Hai la faccia di un coniglio selvatico che si sente dietro lo sciacallo», risponde Giuda Iscariota.
Tutti ammirano. Poi tornano al loro lavoro. Chi dispone i sedili e chi fa pronte le credenze.
Entrano insieme Pietro e Simone.
«Oh! siete venuti finalmente! Dove siete andati di nuovo? Dopo essere giunti col Maestro e noi, siete da capo fuggiti», dice l'Iscariota.
«Ancora un'incombenza prima dell'ora», risponde breve Simone.
«Hai delle malinconie?».
«Credo che, con quello che si è udito in questi giorni, e da quelle labbra che mai trovammo menzognere, ce ne sia ben ragione».
«E con quel puzzo di... Bene, sta' zitto, Pietro», borbotta Pietro fra i denti.
«Anche tu! ... Mi sembri folle da qualche giorno. Hai la faccia di un coniglio selvatico che si sente dietro lo sciacallo», risponde Giuda Iscariota.
«E tu hai il muso della faina. Anche tu non sei molto bello da qualche giorno. Guardi in un modo... Hai persino l'occhio storto... Chi aspetti, o che speri vedere? Sembri sicuro, vuoi farlo parere, ma assomigli a chi ha paura», rimbecca Pietro.
«Oh! Quanto a paura!... Non sei certo un eroe neppure tu!».
«Nessuno lo siamo, Giuda. Tu porti il nome del Maccabeo, ma non lo sei. Io dico, col mio, "Dio fa grazie", ma ti giuro che ho in me il tremito di chi sa di portare disgrazia e di essere soprattutto in disgrazia di Dio. Simone di Giona, ribattezzato "la pietra", è ora molle come cera al fuoco. Non si agguanta più col suo volere. E sì che mai lo vidi pauroso nelle più fiere tempeste! Matteo, Bartolmai e Filippo sembrano sonnambuli. Mio fratello e Andrea non fanno che sospirare. I due cugini, in cui è il dolore del sangue con quello dell'amore al Maestro, guardali. Sembrano uomini già vecchi. Tommaso ha perduto la sua giocondità. E Simone sembra tornato il lebbroso sfinito di or sono tre anni, tanto è scavato da un dolore, direi corroso, livido, avvilito», gli risponde Giovanni. (Dio fa grazie, di alcune righe più sopra, è, il significalo del nome Giovanni in ebraico: come al Vol 1 Capp 22 e 24 riferito a Giovanni Battista, al Vol 3 Cap 188 e Vol 6 Cap 366 riferito a Giovanni di Endor, al Vol 4 Cap 275 riferito a costoro e ad altri dello stesso nome, al Vol 6 Cap 400 riferito a Giovanna di Cusa, al Vol 10 Cap 638 riferito al piccolo Giovanni, che è la scrittrice).
«Sì. Ci ha suggestionati tutti con la sua melanconia», osserva l'Iscariota.
«Mio cugino Gesù, il mio e vostro Maestro e Signore, è e non è melanconico. Se vuoi dire, con questo nome, che è triste per il troppo dolore che tutto Israele gli sta dando, e che noi vediamo, e per l'altro occulto dolore che Egli solo vede, ti dico: "Hai ragione". Ma se usi quel termine per dirlo folle, te lo proibisco», dice Giacomo di Alfeo.
«E non è follia un'idea fissa di malinconia? Io ho studiato anche il profano. E so. Egli troppo ha dato di Sé.
Ora è uno stanco di mente».
«Il che significa demente. Non è vero?», chiede l'altro cugino Giuda, in apparenza calmo.
«Proprio così! Aveva visto bene tuo padre (in una sua invettiva contro Gesù al Vol 2 Cap 100 che l'Iscariota aveva accolto con perfidia alcune righe più avanti), giusto di santa memoria, al quale tanto tu somigli in giustizia e sapienza! Gesù, triste destino di una illustre casa troppo vecchia e colpita da senilità psichica, ha sempre avuto una tendenza a questa malattia. Dolce dapprima, poi sempre più aggressiva. Tu hai visto come ha attaccato farisei e scribi, sadducei ed erodiani. Si è resa impossibile la vita come un cammino sparso di schegge di quarzo. E da Sé se le è sparse. Noi... lo amammo tanto che l'amore ci fu velo. Ma quelli che l'amarono non idolatramente - tuo padre, tuo fratello Giuseppe, e Simone dapprima - videro giusto... Dovevamo aprire gli occhi alle loro parole. Invece siamo stati tutti sedotti dal suo dolce fascino di malato. Ed ora... Mah! ».
Giuda Taddeo, che, alto come l'Iscariota, gli è proprio di fronte e pare udirlo con pace, ha uno scatto violento e, con un manrovescio potente, getta Giuda supino su uno dei sedili, e con una collera contenuta nella voce gli fischia, curvandosi sul volto del vigliacco, che non reagisce forse temendo che il Taddeo sia a conoscenza del suo crimine: «Questo per la demenza, rettile! E solo perché Egli è di là, ed è sera di Pasqua, non ti strozzo. Ma pensa, pensalo bene! Se gli avviene del male, e non c'è più Lui a fermare la mia forza, nessuno ti salva. È come tu già avessi il capestro al collo, e saranno queste mie mani oneste e forti, di artiere galileo e di discendente del frombolatore di Golia, che te lo faranno. Alzati, smidollato libertino! E regolati!».
Giuda si alza, livido, senza la minima reazione. E, ciò che mi stupisce, nessuno ha una reazione al gesto nuovo del Taddeo. Anzi! ... È chiaro che tutti approvano.
È appena ricomposto l'ambiente che entra Gesù. Si affaccia sulla soglia della porticina, dalla quale la sua alta persona appena passa, mette piede sul ballatoio di così poco spazio e col suo mite, mesto sorriso dice, aprendo le braccia: «La pace sia con voi». La sua voce è stanca, come quella di uno che languisce nel fisico o nel morale.
Scende. Carezza sul capo biondo Giovanni che gli è corso vicino. Sorride, come ignaro, al cugino Giuda e dice all'altro cugino: «Tua madre ti prega di essere dolce con Giuseppe. Ha chiesto di Me e di te poco fa alle donne. Mi spiace non averlo salutato».
«Lo farai domani».
«Domani?... Ma avrò sempre tempo di vederlo... Oh! Pietro! Staremo un poco insieme, finalmente! Da ieri mi sembri un fuoco fatuo. Ti vedo, poi non ti vedo più. Oggi quasi posso dire che ti ho perso. Anche tu, Simone».
«I nostri capelli più bianchi che neri ti possono fare sicuro che non fummo assenti per fame di carne», dice serio Simone.
«Per quanto... a tutte le età si possa avere quella fame... I vecchi! Peggio dei giovani...», dice l'Iscariota offensivo.
Simone lo guarda e sta per ribattere. Ma lo guarda anche Gesù e dice: «Ti duole un dente? Hai la guancia destra gonfia e rossa».
«Sì. Ho male. Ma non merita occuparsene».
Gli altri non dicono nulla e la cosa muore così.
«Avete fatto tutto quanto era da fare? Tu, Matteo? Andrea? E tu, Giuda, hai pensato all'offerta al Tempio?».
Tanto i due primi come l'Iscariota dicono: «Tutto fatto di quello che avevi detto da farsi per oggi. Sta' quieto».
«Io ho portato le primizie di Lazzaro a Giovanna di Cusa. Per i bambini. Mi hanno detto: "Erano più buone quelle mele!". Avevano il sapore della fame, quelle! Ed erano le tue mele», dice sorridente e sognante Giovanni.
Anche Gesù sorride ad un ricordo...
«Io ho visto Nicodemo e Giuseppe», dice Tommaso.
«Li hai visti? Hai parlato con loro?», chiede l'Iscariota con interesse esagerato.
«Sì. Che c'è di strano? Giuseppe è un buon cliente del padre mio».
«Non lo avevi detto prima... Mi sono stupito per questo!...». Giuda cerca rimediare all'impressione, data prima, di affanno per l'incontro di Giuseppe e Nicodemo con Tommaso.
«Mi fa strano che non siano venuti qui a venerarti. Non loro, non Cusa, non Mannanen... Nessuno dei...».
Ma l'Iscariota ride con una falsa risata, interrompendo Bartolomeo, e dice: «Il coccodrillo si rintana nell'ora buona».
«Che vuoi dire? Che insinui?», interroga Simone, aggressivo quanto non fu mai.
«Pace, pace! Ma che avete? È sera pasquale! Mai avemmo sì degno apparato alla consumazione dell'agnello. Consumiamo dunque la cena con spirito di pace. Vedo che vi ho molto turbato con le mie istruzioni di queste ultime sere. Ma, vedete? Ho finito! Ora non vi turberò più. Non tutto è detto di quanto a Me si riferisce. Solo l'essenziale. Il resto... lo capirete poi. Vi sarà detto... Sì. Verrà Chi ve lo dirà. Giovanni, vai con Giuda e qualche altro a prendere le coppe per la purificazione. E poi sediamo alla mensa». Gesù è di una dolcezza straziante.
Giovanni con Andrea, Giuda Taddeo con Giacomo, portano l'ampia coppa, vi mescono acqua e offrono l'asciugamani a Gesù e ai compagni, i quali poi fanno lo stesso con loro. La coppa (che è un bacile di metallo) viene messa in un angolo.
«Ed ora ai propri posti. Io qui, e qui (alla destra) Giovanni, e dall'altro lato il mio fedele Giacomo. I due primi discepoli.
Dopo Giovanni la mia Pietra forte, e dopo Giacomo colui che è come l'aria. Non si avverte. Ma è sempre presente e dà conforto: Andrea. Vicino a lui, mio cugino Giacomo. Tu non ti rammarichi, dolce fratello, se do il primo posto ai primi? Sei il nipote del Giusto, il cui spirito palpita e aleggia su Me, in questa sera, più che mai. Abbi pace, padre della mia debolezza di fanciullino, quercia alla cui ombra ebbero ristoro la Madre e il Figlio! Abbi pace!... Dopo Pietro, Simone... Simone, vieni un momento qui. Voglio fissare il tuo volto leale. Dopo non ti vedrò che male, perché altri mi copriranno la tua onesta faccia. Grazie, Simone. Di tutto», e lo bacia.
Simone, quando è lasciato, va al suo posto portandosi per un attimo le mani al volto con atto di afflizione.
«Di fronte a Simone, il mio Bartolmai. Due onestà e due sapienze che si rispecchiano. Stanno bene insieme. E vicino, tu, Giuda, fratello mio. Così ti vedo,... e mi sembra di essere a Nazaret... quando qualche festa ci riuniva tutti ad una mensa... Anche a Cana... Ricordi? Eravamo insieme. Una festa... una festa di nozze... il primo miracolo... l'acqua mutata in vino... Anche oggi una festa... e anche oggi vi sarà un miracolo... il vino cambierà natura... e sarà... ». Gesù si immerge nel suo pensiero. A capo chino, è come isolato nel suo mondo segreto. Gli altri lo guardano e non parlano.
Rialza il capo e fissa Giuda Iscariota, al quale dice: «Tu mi starai di fronte».
«Tanto mi ami? Più di Simone, che mi vuoi avere sempre di fronte?».
«Tanto. Lo hai detto».
«Perché, Maestro?».
«Perché tu sei quello che hai fatto più di tutti per quest'ora».
Giuda guarda con un mutevolissimo sguardo il Maestro e i compagni. Il primo con un che di ironica compassione, gli altri con aria di trionfo.
«E vicino a te, da una parte Matteo, dall'altra Tommaso».
«Allora Matteo alla mia sinistra e Toma a destra».
«Come vuoi, come vuoi», dice Matteo. «Mi basta aver bene di fronte il mio Salvatore».
«Ultimo, Filippo. Ecco, vedete? Chi non è al mio fianco nel lato d'onore, ha l'onore di essermi di fronte».
Gesù, ritto al suo posto, mesce nell'ampio calice collocato a Lui davanti (tutti hanno alti calici, ma Lui ne ha uno molto più ampio, oltre quello che hanno tutti. Deve essere il calice di rito). Mesce in esso il vino. Lo alza, lo offre. Lo posa.
Poi tutti insieme chiedono con tono di salmo: «Perché questa cerimonia?». Domanda formale, si capisce. Di rito.
Alla quale Gesù, come capo famiglia, risponde: «Questo giorno ricorda la nostra liberazione dall'Egitto. Sia benedetto Geové che ha creato il frutto della vigna».
Beve un sorso di questo vino offerto e passa il calice agli altri. Poi offre il pane, lo spezza, lo distribuisce, indi le erbe intinte nella salsa rossastra che è in quattro salsiere.
Finita questa parte di pasto, cantano dei salmi, tutti in coro.
Viene portato dalla credenza sulla mensa, e posto di fronte a Gesù, il capace vassoio dell'agnello arrostito.
Pietro, che ha il ruolo di... prima parte, di coro, se più le piace, chiede: «Perché quest'agnello, così?».
«A ricordo di quando Israele fu salvo per l'agnello immolato. Non morì primogenito dove il sangue splendeva sugli stipiti e l'architrave. E dopo, mentre tutto l'Egitto piangeva sui primogeniti maschi morti, dalla reggia ai tuguri, gli ebrei, capitanati da Mosè, si mossero verso la terra della liberazione e della promessa. Coi fianchi già cinti, i calzari al piede, in mano il bordone, fu sollecito il popolo di Abramo a porsi in marcia cantando gli inni della gioia».
Tutti si alzano in piedi e intonano: «Quando Israele uscì dall'Egitto e la casa di Giacobbe di mezzo ad un popolo barbaro, la Giudea divenne il suo santuario», ecc. ecc. (se trovo giusto, è il salmo 114. Quello che viene detto subito dopo è il Salmo 113).
Ora Gesù taglia l'agnello, mesce un nuovo calice, lo passa dopo averne bevuto. Poi cantano ancora: «Fanciulli, lodate il Signore, sia benedetto il nome dell'Eterno ora e sempre nei secoli. Dall'oriente all'occidente deve essere lodato», ecc.
Gesù dà le parti, badando che ognuno sia bon servito, proprio come un padre di famiglia fra figli a lui tutti cari. È solenne, un po' triste, mentre dice: «Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua. È stato il mio desiderio dei desideri da quando, in eterno, Io fui "il Salvatore". Sapevo che quest'ora precede quella. E la gioia di darmi metteva in anticipo questo sollievo al mio patire... Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua, perché mai più gusterò del frutto della vite finché sia venuto il Regno di Dio. Allora mi assiderò nuovamente cogli eletti al Banchetto dell'Agnello, per le nozze dei viventi col Vivente. Ma ad esso verranno soltanto coloro che sono stati umili e mondi di cuore come Io sono».
«Maestro, poco fa Tu hai detto che chi non ha l'onore del posto ha quello d'esserti di fronte. Come allora possiamo sapere chi è il primo fra noi?», chiede Bartolomeo.
«Tutti e nessuno. Una volta... tornavamo stanchi... nauseati per l'astio farisaico. (Vol 5 Cap 352). Ma stanchi non eravate per disputare fra di voi chi fosse il più grande... Un bambino mi corse vicino... un mio piccolo amico... E la sua innocenza temperò il mio disgusto di tante cose. Non ultima la vostra umanità pervicace. Dove sei ora, piccolo Beniamino dalla sapiente risposta, a te venuta dal Cielo perché, angelo come eri, lo Spirito ti parlava? Io vi ho detto allora: "Se uno vuole essere il primo sia l'ultimo e servo di tutti". E vi ho dato ad esempio il fanciullo saggio. Ora vi dico: "I re delle nazioni le signoreggiano. E i popoli oppressi, pur odiandoli, li acclamano e i re vengono detti ‘Benefattori’, ‘Padri della Patria’. Ma l'odio cova sotto il bugiardo ossequio". Ma fra voi così non sia. Il maggiore sia come il minore, il capo come colui che serve. Chi infatti è più grande? Chi sta a mensa, o chi serve? È colui che sta a mensa. Eppure Io vi servo. E fra poco più vi servirò. Voi siete quelli che siete stati con Me nelle prove. Ed Io dispongo per voi un posto nel mio Regno, così come Io sarò in esso Re secondo il volere del Padre, acciocché mangiate e beviate alla mia mensa eterna e siate assisi sui troni giudicando le dodici tribù di Israele. Siete rimasti con Me nelle mie prove... Solo questo è quello che vi dà grandezza agli occhi del Padre».
«E quelli che verranno? Non avranno posto nel Regno? Noi soli?».
«Oh! quanti principi nella mia Casa! Tutti coloro che saranno stati fedeli al Cristo nelle prove della vita saranno principi nel Regno mio. Perché coloro che avranno perseverato sino alla fine nel martirio dell'esistenza saranno pari a voi, che con Me siete rimasti nelle mie prove. Io mi identifico nei miei credenti. Il Dolore che Io abbraccio per voi e per tutti gli uomini Io lo do come insegna ai più eletti. Chi nel Dolore mi sarà fedele sarà un mio beato pari a voi, o miei diletti».
«Noi abbiamo perseverato fino alla fine».
«Lo credi, Pietro? Ed Io ti dico che l'ora della prova ha ancora da venire. Simone, Simone di Giona, ecco che Satana ha chiesto di vagliarvi come il grano. Io ho pregato per te, perché la tua fede non vacilli. Tu, quando sarai ravveduto, conferma i tuoi fratelli».
«Lo so di essere un peccatore. Ma fedele a Te lo sarò fino alla morte. Non ho questo peccato. Mai l'avrò».
«Non essere superbo, Pietro mio. Quest'ora muterà infinite cose, che prima erano così ed ora saranno diverse. Quante! ... Esse portano e importano necessità nuove. Voi lo sapete. Io vi ho sempre detto, anche quando andavamo per luoghi remoti percorsi dai banditi: "Non temete. Nulla ci accadrà di male perché gli angeli del Signore sono con noi. Non preoccupatevi di nulla". Vi ricordate quando vi dicevo: "Non abbiate sollecitudini per ciò che dovete mangiare e per le vesti. Il Padre sa di che abbiamo bisogno"? Vi dicevo anche: "L'uomo è molto più di un passero e del fiore che oggi è erba e domani è fieno. Eppure il Padre ha cura anche del fiore e dell'uccellino. Potete allora dubitare che non abbia cura di voi?". Vi dicevo ancora: "Date a chiunque vi chiede, a chi vi offende presentate l'altra guancia". Vi dicevo: "Non abbiate borsa né bastone". Perché Io ho insegnato amore e fiducia. Ma ora... Ora non è più quel tempo. Ora Io vi dico: "Vi è mai mancato nulla fino ad ora? Foste mai offesi?"».
«Nulla, Maestro. E solo Tu fosti offeso».
«Vedete dunque che la mia parola era verità. Ma ora gli angeli sono tutti richiamati dal loro Signore. È ora di demoni... Con le ali d'oro essi, gli angeli del Signore, si coprono gli occhi, si fasciano e si dolgono che non siano ali di colore cruccioso, perché è ora di lutto, e lutto crudele, sacrilego... Non ci sono angeli sulla Terra questa sera. Sono presso il trono di Dio per coprire col loro canto le bestemmie del mondo deicida e il pianto dell'Innocente. E noi siamo soli... Io e voi: soli. E i demoni sono i padroni dell'ora. Perciò ora prenderemo le apparenze e le misure dei poveri uomini che diffidano e non amano. Ora, chi ha una borsa prenda anche una bisaccia, chi non ha spada venda il suo mantello e ne comperi una. Perché anche questo è detto di Me nella Scrittura e si deve compiere: (Isaia 53, 12) "Egli è stato annoverato fra i malfattori". In verità tutto ciò che mi riguarda ha il suo fine».
Simone, che si è alzato andando alla cassapanca dove ha deposto il suo ricco mantello - perché questa sera
sono tutti con gli abiti migliori e perciò hanno pugnali, damaschinati ma molto corti, più coltelli che pugnali, alle ricche cinture - prende due spade, due vere spade, lunghe, lievemente ricurve, e le porta a Gesù: «Io e Pietro ci siamo armati questa sera. Queste abbiamo. Ma gli altri non hanno che il corto pugnale».
Gesù prende le spade, le osserva, ne snuda una e ne prova il taglio sull'unghia. È una strana vista e fa una ancora più strana impressione vedere quell'arnese feroce nelle mani di Gesù.
«Chi ve le ha date?», chiede l'Iscariota mentre Gesù osserva e tace. E pare sulle spine Giuda...
«Chi? Ti ricordo che mio padre era nobile e potente».
«Ma Pietro...».
«Ebbene? Da quando devo rendere conto dei doni che voglio fare ai miei amici?».
Gesù alza il capo dopo avere ringuainato l'arma. Le rende allo Zelote.
«Va bene. Bastano. Hai fatto bene a prenderle. "Ma ora, avanti la bevuta al terzo calice, attendete un momento. Vi ho detto che il più grande è pari al più piccolo e che Io ho veste di servo a questa tavola, e più vi servirò. Finora vi ho dato cibo. Servizio per il corpo. Ora vi voglio dare un cibo per lo spirito. Non è un piatto del rito antico. È del nuovo rito. Io mi sono voluto battezzare prima di essere il "Maestro". Per spargere la Parola bastava quel battesimo. Ora verrà sparso il Sangue. Ci vuole un altro lavacro anche su voi, che pure vi siete purificati dal Battista, a suo tempo, e anche oggi nel Tempio. Ma non basta ancora. Venite, che Io vi purifichi. Sospendete il pasto. Vi è qualcosa di più alto e necessario del cibo dato al ventre perché si empia, anche se è cibo santo come questo del rito pasquale. Ed è uno spirito puro, pronto a ricevere il dono del Cielo, che già scende per farsi trono in voi e darvi la Vita. Dare la Vita a chi è mondo».
Gesù si alza in piedi, fa alzare Giovanni per uscire meglio dal suo posto, va ad una cassapanca e si leva la veste rossa deponendola piegata sul già piegato mantello, si cinge alla vita un ampio asciugamani, poi va ad un altro bacile, ancora vuoto e mondo. Vi versa dell'acqua, lo porta in mezzo alla stanza, presso la tavola, e lo mette su uno sgabello. Gli apostoli lo guardano stupefatti.
«Non mi chiedete che faccio?».
«Non sappiamo. Ti dico che siamo già purificati», risponde Pietro.
«Ed Io ti ripeto che non importa. La mia purificazione servirà a chi è già puro ad essere più puro».
Si inginocchia. Slaccia i sandali all'Iscariota ed uno per volta gli lava i piedi. È facile farlo, perché i letti-sedili sono fatti in modo che i piedi sono verso l'esterno. Giuda è sbalordito e non dice niente. Solo quando Gesù, prima di calzare il piede sinistro e alzarsi, fa l'atto di baciargli il piede destro già calzato, Giuda ritrae violentemente il piede e colpisce con la suola la bocca divina. Lo fa senza volere. Non è un colpo forte. Ma mi dà tanto dolore. Gesù sorride, e all'apostolo che gli chiede: «Ti ho fatto male? Non volevo... Perdona», dice: «No, amico. L'hai fatto senza malizia e non fa male». Giuda lo guarda... Uno sguardo turbato, sfuggente...
Gesù passa a Tommaso, poi a Filippo... Gira il lato stretto della tavola e viene al cugino Giacomo. Lo lava e lo bacia, nell'alzarsi, in fronte. Passa ad Andrea, che è rosso di vergogna e fa sforzi per non piangere, lo lava, lo carezza come un bambino. Poi c'è Giacomo di Zebedeo, che non fa che mormorare: «Oh! Maestro! Maestro! Maestro! Annichilito, sublime Maestro mio!». Giovanni si è già slacciato i sandali e, mentre Gesù sta curvo ad asciugargli i piedi, si china e lo bacia sui capelli.
Ma Pietro!... Non è facile persuaderlo a quel rito! «Tu lavare i piedi a me? Non te lo pensare! Sinché sono vivo, non te lo permetterò. Io sono il verme, Tu sei Dio. Ognuno a suo posto».
«Ciò che Io faccio tu non lo puoi comprendere per ora. Ma poi lo comprenderai. Lasciami fare».
«Tutto quello che vuoi, Maestro. Vuoi tagliarmi il collo? Fàllo. Ma lavarmi i piedi non lo farai».
«Oh! mio Simone! Tu non sai che, se non ti lavo, non avrai parte nel mio Regno? Simone, Simone! Tu hai bisogno di quest'acqua per la tua anima e per il tanto cammino che devi fare. Non vuoi venire con Me? Se non ti lavo, non vieni nel mio Regno».
«Oh! Signor mio benedetto! Ma allora lavami tutto! Piedi, mani e capo!».
«Chi ha fatto come voi un bagno non ha bisogno che di lavarsi i piedi, giacché è interamente puro. I piedi... L'uomo coi piedi va nelle lordure. E poco ancora sarebbe perché, ve l'ho detto, non è ciò che entra ed esce col cibo quello che sporca, e non è quello che si posa sui piedi per via ciò che contamina l'uomo. (Vedi Vol 5 Capp 300 e 301, e il capitolo 567). Ma è quanto incuba e matura nel suo cuore e di lì esce a contaminare le sue azioni e le sue membra. E i piedi dell'uomo dall'animo impuro vanno alle crapule, alle lussurie, agli illeciti commerci, ai delitti... Perciò sono, fra le membra del corpo, quelle che hanno molta parte da purificare... con gli occhi, con la bocca... Oh! uomo! uomo! Perfetta creatura un giorno: il primo! E poi così corrotto dal Seduttore! E non c'era in te malizia, o uomo, e non peccato!... Ed ora? Sei tutto malizia e peccato, e non c'è parte di te che non pecchi!».
Gesù ha lavato i piedi a Pietro, li bacia, e Pietro piange e prende con le sue grosse mani le due mani di Gesù, se le passa sugli occhi e le bacia poi.
Anche Simone si è levato i sandali e senza parola si lascia lavare. Ma poi, quando Gesù sta per passare da Bartolomeo, Simone si inginocchia e gli bacia i piedi dicendo: «Mondami dalla lebbra del peccato come mi mondasti dalla lebbra del corpo, acciocché io non sia confuso nell'ora del giudizio, mio Salvatore! ».
«Non temere, Simone. Verrai nella Città celeste bianco come neve alpina».
«Ed io, Signore? Al tuo vecchio Bartolmai che dici? Tu mi hai visto sotto l'ombra del fico e mi hai letto nel cuore. Ed ora che vedi, e dove mi vedi? Rassicura un povero vecchio, che teme non avere forza e tempo per giungere a come Tu vuoi che si sia». Bartolomeo è molto commosso.
«Anche tu non temere. Ho detto allora: "Ecco un vero israelita in cui non è frode". Ora dico: "Ecco un vero cristiano degno del Cristo". Dove ti vedo? Su un trono eterno, vestito di porpora. Io sarò sempre con te».
È la volta di Giuda Taddeo. Questo, quando si vede ai piedi Gesù, non sa trattenersi, curva il capo sul braccio appoggiato sulla tavola e piange.
«Non piangere, dolce fratello. Ora sei come uno che deve sopportare lo strappo di un nervo e ti pare di non poterlo sopportare. Ma sarà un breve dolore. Poi... oh! tu sarai felice, perché mi ami, tu. Ti chiami Giuda. E sei come il nostro grande Giuda: (cioè Giuda Maccabeo, celebrato in 1 Maccabei 3, 1-9) come un gigante. Sei colui che protegge. Le tue azioni sono da leone e lioncello che rugge. Tu scoverai gli empi che davanti a te indietreggeranno, e saranno atterriti gli iniqui. Io so. Sii forte. Un'eterna unione stringerà e renderà perfetta la nostra parentela in Cielo». Bacia anche lui sulla fronte come l'altro cugino.
«Io sono peccatore, Maestro. Non a me...».
«Tu eri peccatore, Matteo. Ora sei l'Apostolo. Sei una mia "voce". Ti benedico. Questi piedi quanta strada hanno fatto per venire sempre avanti, verso Dio... L'anima li spronava ed essi hanno lasciato ogni via che non fosse la mia via. Procedi. Sai dove finisce il sentiero? Sul seno del Padre mio e tuo».
Gesù ha finito. Si leva il telo, si lava in acqua pulita le mani, si riveste, torna al suo posto e dice, mentre si siede al suo posto: «Ora siete puri, ma non tutti. Solo coloro che ebbero volontà di esserlo».
Fissa Giuda di Keriot che mostra di non udire, intento a spiegare al compagno Matteo come suo padre si decise a mandarlo a Gerusalemme. Un discorso inutile, che ha l'unico scopo di dare un contegno a Giuda che, per quanto audace, si deve sentire a disagio.
Gesù mesce per la terza volta nel calice comune. Beve, fa bere. Poi intona, e gli altri fanno coro: «Amo perché il Signore ascolta la voce della mia preghiera, perché piega il suo orecchio verso di me. Io lo invocherò per tutta la vita. Mi avevano circondato dolori di morte», ecc. (Vengono recitati, nell'ordine: Salmo 116, Salmo 117, Salmo 118 [lungo inno], Salmo 119 [quello che non finisce mai]).
Un attimo di sosta. Poi riprende a cantare: «Ebbi fede, per questo ho parlato. Ma ero fortemente umiliato. E dicevo nel mio smarrimento: "Ogni uomo è menzognero"». Guarda fisso Giuda.
La voce, stanca questa sera, del mio Gesù riprende lena quando esclama: «È preziosa al cospetto di Dio la morte dei santi», e «Tu hai spezzato le mie catene. A Te sacrificherò ostia di lode invocando il nome del Signore», ecc. ecc.
Un'altra breve sosta nel canto e poi riprende: «Lodate tutte il Signore, o nazioni, tutti i popoli lodatelo. Perché si è affermata su noi la sua misericordia e la verità del Signore dura in eterno».
Altra breve sosta e poi un lungo inno: «Celebrate il Signore, perché Egli è buono, perché la sua misericordia dura in eterno...».
Giuda di Keriot canta stonato tanto che per due volte Tommaso lo rimette in tono col suo potente vocione baritonale e lo guarda fisso. Anche altri lo guardano, perché generalmente è sempre ben intonato, e della sua voce ho capito che se ne tiene come del resto. Ma questa sera! Certe frasi lo turbano al punto che stecca, e così certi sguardi di Gesù che sottolineano le frasi. Una è: «Meglio confidare nel Signore che confidare nell'uomo». Un'altra è: «Urtato, vacillavo e stavo per cadere. Ma il Signore mi ha sorretto». Un'altra è: «Io non morrò ma vivrò e narrerò le opere del Signore». E infine queste due, che dico ora, fanno strozzare la voce in gola al Traditore: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra angolare», e «Benedetto colui che viene nel nome del Signore! ».
Finito il salmo, mentre Gesù taglia e porge di nuovo dell'agnello, Matteo chiede a Giuda di Keriot: «Ma ti senti male?».
«No. Lasciami stare. Non ti occupare di me».
Matteo si stringe nelle spalle.
Giovanni, che ha udito, dice: «Anche il Maestro non sta bene. Che hai, Gesù mio? La tua voce è fioca. Come di malato o di chi ha molto pianto», e lo abbraccia stando col capo sul petto di Gesù.
«Non ha che molto parlato, come io non ho che molto camminato e preso fresco», dice Giuda nervoso.
E Gesù, senza rispondere a lui, dice a Giovanni: «Tu mi conosci ormai... e sai cosa è che mi stanca...».
L'agnello è quasi consumato.
Gesù, che ha mangiato pochissimo, bevendo solo un sorso di vino ad ogni calice e bevendo in compenso
molt'acqua come fosse febbrile, riprende a parlare: «Voglio che voi comprendiate il mio gesto di dianzi. Vi ho detto che il primo è come l'ultimo e che vi darò un cibo non corporale. Un cibo di umiltà vi ho dato. Per lo spirito vostro. Voi chiamate Me: Maestro e Signore. Dite bene, perché tale Io sono. Se dunque Io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete farvelo l'un l'altro. Io vi ho dato l'esempio affinché, come Io ho fatto, voi facciate. In verità vi dico: il servo non è da più del padrone, né l'apostolo è più di Colui che tale lo ha fatto. Cercate di comprendere queste cose. Se poi, comprendendole, le metterete in pratica, sarete beati. Ma non sarete tutti beati. Io vi conosco. So chi ho scelto. Non parlo di tutti ad un modo. Ma dico ciò che è vero. D'altra parte, deve compiersi ciò che è scritto a mio riguardo: (Salmo 41, 10) "Colui che mangia il pane con Me ha levato il suo calcagno su Me". Tutto Io vi dico prima che avvenga, perché non abbiate dubbi su Me. Quando tutto sarà compiuto, voi crederete ancor più che Io sono Io. Chi accoglie Me accoglie Colui che mi ha mandato: il Padre santo che è nei Cieli; e chi accoglierà coloro che Io manderò, accoglierà Me stesso. Perché Io sono col Padre e voi siete con Me... Ma ora compiamo il rito».
Versa di nuovo vino nel calice comune e, prima di berne e di farne bere, si alza, e con Lui si alzano tutti, e canta di nuovo uno dei salmi di prima: «Ebbi fede e per questo parlai...», e poi uno che non finisce mai. Bello... ma eterno! Credo di ritrovarlo per l'inizio e la lunghezza, nel salmo 119. Lo cantano così. Un pezzo tutti insieme. Poi, a turno, uno ne dice un distico e gli altri insieme un pezzo, e così via sino alla fine. Lo credo che alla fine abbiano sete!
Gesù si siede. Non si mette sdraiato. Resta seduto, come noi. E parla: «Ora che l'antico rito è compiuto, Io celebro il nuovo rito. Vi ho promesso un miracolo d'amore. È l'ora di farlo. Per questo ho desiderato questa Pasqua. Da ora in poi questo è l'ostia che sarà consumata in perpetuo rito d'amore. Vi ho amato per tutta la vita della Terra, amici diletti. Vi ho amato per tutta l'eternità, figli miei. E amare vi voglio sino alla fine. Non vi è cosa più grande di questa. Ricordatevelo. Io me ne vado. Ma resteremo per sempre uniti mediante il miracolo che ora Io compio».
Gesù prende un pane ancora intiero, lo pone sul calice colmo. Benedice e offre questo e quello, poi spezza il pane e ne prende tredici pezzi e ne dà uno per uno agli apostoli dicendo: «Prendete e mangiate. Questo è il mio Corpo. Fate questo in memoria di Me che me ne vado». Dà il calice e dice: «Prendete e bevete. Questo è il mio Sangue. Questo è il calice del nuovo patto nel Sangue e per il Sangue mio, che sarà sparso per voi per la remissione dei vostri peccati e per darvi la Vita. Fate questo in memoria di Me».
Gesù è tristissimo. Ogni sorriso, ogni traccia di luce, di colore lo hanno abbandonato. Ha già un volto d'agonia. Gli apostoli lo guardano angosciati.
Gesù si alza dicendo: «Non vi muovete. Torno subito». Prende il tredicesimo pezzetto di pane, prende il calice ed esce dal Cenacolo.
«Va dalla Madre», sussurra Giovanni.
E Giuda Taddeo sospira: «Misera donna! ».
Pietro chiede in un soffio: «Credi che sappia?».
«Tutto sa. Tutto ha sempre saputo».
Parlano tutti a voce bassissima, come davanti ad un morto.
«Ma credete che proprio...», chiede Tommaso che non vuole ancora credere.
«E ne hai dubbi? È la sua ora», risponde Giacomo di Zebedeo.
«Dio ci dia la forza di essere fedeli», dice lo Zelote.
«Oh! io...» , sta per parlare Pietro.
Ma Giovanni, che è all'erta, dice: «Sss. È qui».
Gesù rientra. Ha in mano il calice vuoto. Appena sul fondo vi è un'ombra di vino, e sotto la luce del lampadario pare proprio sangue.
Giuda Iscariota, che ha davanti il calice, lo guarda come affascinato e poi ne torce lo sguardo.
Gesù l'osserva ed ha un brivido che Giovanni, appoggiato come è al suo petto, sente. «Ma dillo! Tu tremi...», esclama.
«No. Non tremo per febbre... Io tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. Di più non potevo darvi. Me stesso vi ho dato». Ha il suo dolce gesto delle mani che, prima congiunte, ora si disgiungono e si allargano, mentre la
testa si china come per dire: «Scusate se non posso di più. Così è».
«Tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. E ripeto. Il nuovo rito è compiuto. Fate questo in memoria di Me. Io vi ho lavato i piedi per insegnarvi ad essere umili e puri come il Maestro vostro. Perché in verità vi dico che, come è il Maestro, così devono essere i discepoli. Ricordatelo, ricordatelo. Anche quando sarete in alto, ricordatelo. Non vi è discepolo da più del Maestro. Come Io vi ho lavato, voi fatelo fra voi. Ossia amatevi come fratelli, aiutandovi l'un l'altro, venerandovi a vicenda, essendo l'un coll'altro d'esempio. E siate puri. Per essere degni di mangiare il Pane vivo disceso dal Cielo ed avere in voi e per Esso la forza d'essere i miei discepoli nel mondo nemico, che vi odierà per il mio Nome. Ma uno di voi non è puro. Uno di voi mi tradirà. Di questo sono fortemente conturbato nello spirito... La mano di colui che mi tradisce è meco su questa tavola, e non il mio amore, non il mio Corpo e il mio Sangue, non la mia parola lo ravvedono e lo fanno pentito. Io lo perdonerei, andando alla morte anche per lui».
I discepoli si guardano esterrefatti. Si scrutano, in sospetto l'un dell'altro. Pietro fissa l'Iscariota in un risveglio di tutti i suoi dubbi. Giuda Taddeo scatta in piedi per guardare a sua volta l'Iscariota al disopra del corpo di Matteo.
Ma l'Iscariota è così sicuro! A sua volta guarda fisso Matteo come sospettasse di lui. Poi fissa Gesù e sorride chiedendo: «Son forse io quello?». Pare il più sicuro della sua onestà e che dica così, tanto per non lasciare cadere la conversazione.
Gesù ripete il suo gesto dicendo: «Tu lo dici, Giuda di Simone. Non Io. Tu lo dici. Io non ti ho nominato. Perché ti accusi? Interroga il tuo interno ammonitore, la tua coscienza di uomo, la coscienza che Dio Padre ti ha data per condurti da uomo, e senti se ti accusa. Tu lo saprai prima di tutti. Ma se essa ti rassicura, perché dici una parola e pensi un fatto che è anatema anche a dirlo o a pensarlo per gioco?».
Gesù parla con calma. Sembra sostenga la tesi proposta come lo può fare un dotto alla sua scolaresca. Il subbuglio è forte. Ma la calma di Gesù lo placa.
Però Pietro, che è il più sospettoso di Giuda - forse lo è anche il Taddeo, ma lo pare meno, disarmato come è dalla disinvoltura dell'Iscariota - tira Giovanni per la manica e quando Giovanni, che si è tutto stretto a Gesù udendo parlare di tradimento, si volge, gli sussurra: «Chiedigli chi è».
Giovanni riprende la sua posizione, solo alza lievemente il capo come per baciare Gesù, e intanto gli mormora all'orecchio: «Maestro, chi è?».
E Gesù pianissimo, rendendogli il bacio fra i capelli: «Colui a cui darò un pezzo di pane intinto».
E preso un pane ancora intero, non il resto di quello usato per l'Eucarestia, ne stacca un grosso boccone, lo intinge nel succo lasciato dall'agnello nel vassoio, allunga al disopra della tavola il braccio e dice: «Prendi, Giuda. Questo a te piace».
«Grazie, Maestro. Mi piace, sì», e ignaro di ciò che è quel boccone se lo mangia, mentre Giovanni, inorridito, chiude persino gli occhi per non vedere l'orrido riso dell'Iscariota mentre coi denti forti morde il pane accusatore.
«Bene. Ora che ti ho fatto felice, va'», dice Gesù a Giuda. «Tutto è compiuto qui (marca molto la parola). Quello che resta ancora da fare altrove fàllo presto, Giuda di Simone».
«Ti ubbidisco subito, Maestro. Poi ti raggiungerò al Getsemani. Vai là, vero? Come sempre?».
«Vado là... come sempre... sì».
«Che ha da fare?», chiede Pietro. «Va solo?».
«Non sono un pargolo», motteggia Giuda che si sta mettendo il mantello.
«Lascialo andare. Io e lui sappiamo ciò che si deve fare», dice Gesù.
«Sì, Maestro». Pietro tace. Forse pensa di avere peccato di sospetto verso il compagno. Con la mano sulla fronte, pensa. Gesù si stringe al cuore Giovanni e torna a sussurrargli fra i capelli: «Non dire nulla a Pietro, per ora. Sarebbe un inutile scandalo».
«Addio, Maestro. Addio, amici». Giuda saluta. «Addio», dice Gesù.
E Pietro: «Ti saluto, ragazzo».
Giovanni, col capo quasi nel grembo di Gesù, mormora: «Satana! ». Solo Gesù l'ode e sospira.
Qui mi cessa tutto, ma Gesù dice: «Sospendo per pietà di te.
Ti darò la fine della Cena in altro momento».
(Continua la Cena)
Vi è qualche minuto di assoluto silenzio. Gesù sta a capo chino, carezzando macchinalmente i capelli biondi di Giovanni.
Poi si scuote. Alza la testa, gira lo sguardo, ha un sorriso che conforta i discepoli. Dice: «Lasciamo la tavola. E sediamo tutti ben vicini, come tanti figli intorno al padre».
Prendono i letti-sedili che erano dietro la tavola (quelli di Gesù, Giovanni, Giacomo, Pietro, Simone, Andrea
ed il cugino Giacomo) e li portano dall'altro lato.
Gesù prende posto sul suo, sempre fra Giacomo e Giovanni. Ma, quando vede che Andrea sta per sedersi al posto lasciato dall'Iscariota, grida: «No, là no». Un grido impulsivo, che la sua somma prudenza non riesce a impedire. Poi modifica dicendo così: «Non occorre tanto spazio. Stando seduti, si può stare su questi soli. Bastano. Vi voglio molto vicini».
Ora, rispetto alla tavola, sono messi in forma ad U con Gesù al centro e avendo di fronte la tavola, spoglia di vivande ormai, e il posto di Giuda.
Giacomo di Zebedeo chiama Pietro: «Siediti qui. Io mi siedo su questo sgabelletto, ai piedi di Gesù».
«Che Dio ti benedica, Giacomo! Ne avevo tanta voglia!», dice Pietro e si serra al suo Maestro, che è così fra la stretta di Giovanni e Pietro, avendo ai piedi Giacomo.
Gesù sorride:
«Vedo che comincia ad operare la parola detta prima. I buoni fratelli si amano. Anche Io ti dico, Giacomo: "Che Dio ti benedica". Anche questo tuo atto non sarà dimenticato dall'Eterno e lo troverai lassù.
"Tutto Io posso di quanto Io chiedo. Voi lo avete visto. È bastato un mio desiderio perché il Padre concedesse al Figlio di darsi in Cibo all'uomo. Con quanto è accaduto adesso è stato glorificato il Figlio dell'uomo, perché è testimonianza di potere il miracolo che non è che possibile agli amici di Dio. Più è grande il miracolo e più è sicura e profonda questa divina amicizia. Questo è un miracolo che, per la sua forma, durata e natura, per gli estremi di esso ed i limiti che tocca, più forte non ce ne può essere. Io ve lo dico: tanto è potente, soprannaturale, inconcepibile all'uomo superbo, che ben pochi lo comprenderanno come va compreso, e molti lo negheranno. Che dirò allora? Condanna per loro? No. Dirò: pietà!
Ma più grande è il miracolo, più grande è la gloria che all'autore dello stesso viene. È Dio stesso che dice: "Ecco, questo mio diletto ciò che ha voluto ha avuto, ed Io l'ho concesso perché egli ha grande grazia agli occhi miei". E qui dice: "Ha una grazia senza limiti così come è infinito il miracolo da Lui compiuto". Parimenti alla gloria che si riversa sull'autore del miracolo da parte di Dio è la gloria che da esso autore si riversa sul Padre. Perché ogni gloria soprannaturale, essendo veniente da Dio, alla sua sorgente ritorna. E la gloria di Dio, per quanto già infinita, sempre più si aumenta e sfavilla perla gloria dei suoi santi. Onde Io dico: come è stato glorificato il Figlio dell'uomo da Dio, così Dio è stato glorificato dal Figlio dell'uomo. Io ho glorificato Dio in Me stesso. A sua volta, Dio glorificherà il suo Figlio in Lui. Ben presto lo glorificherà.
Esulta, Tu che torni alla tua Sede, o Essenza spirituale della Seconda Persona! Esulta, o Carne che torni ad ascendere dopo tanto esilio nel fango! E non già il Paradiso d'Adamo, ma l'eccelso Paradiso del Padre sta per esserti dato a dimora. Ché, se è stato detto che per lo stupore di un comando di Dio (Giosuè 10, 12-14), dato per bocca di un uomo, si arrestò il sole, che non avverrà negli astri quando vedranno il prodigio della Carne dell'Uomo ascendere e sedersi alla destra del Padre nella sua Perfezione di materia glorificata?
Figliolini miei, per poco ancora Io resto con voi. E voi, dopo, mi cercherete come gli orfani cercano il morto genitore. E piangendo andrete parlando di Lui e picchierete invano al muto sepolcro, e poi ancora picchierete alle porte azzurre dei Cieli, con l'anima vostra lanciata in supplice ricerca d'amore, dicendo: "Dove il nostro Gesù? Lo vogliamo. Senza Lui non è più luce nel mondo, non letizia, né amore. O ce lo rendete, oppure lasciateci entrare. Noi vogliamo essere dove Egli è". Ma non potete per ora venire dove Io vado. L'ho detto anche ai giudei: (Vedi Vol 7 Cap 488) "Poi mi cercherete, ma dove Io vado voi non potete venire". Lo dico anche a voi.
Pensate alla Madre... Neppure Lei potrà venire dove Io vado. Eppure Io ho lasciato il Padre per venire a Lei e farmi Gesù nel suo seno senza macchia. Eppure dall'Inviolata Io sono venuto, nell'estasi luminosa del mio Natale. E del suo amore, divenuto latte, mi sono nutrito. Io sono fatto di purità e di amore perché Maria mi ha nutrito della sua verginità fecondata dall'Amore perfetto che vive in Cielo. Eppure per Lei Io sono cresciuto, costandole fatiche e lacrime... Eppure Io le chiedo un eroismo quale mai fu compito, e rispetto al quale quello di Giuditta e Giaele sono eroismi di povere femmine contrastanti colla rivale presso la fonte del paese. Eppure nessuno pari a Lei è nell'amarmi. E, ciononostate, Io la lascio e vado dove Lei non verrà che fra molto tempo. Per Lei non è il comando che do a voi: "Santificatevi anno per anno, mese per mese, giorno per giorno, ora per ora, per potere venire a Me quando sarà la vostra ora". In Lei è ogni grazia e santità. È la creatura che ha tutto avuto e che tutto ha dato. Nulla vi è da aggiungere o da levare. È la santissima testimonianza di ciò che può Iddio.
Ma per essere certo che in voi sia capacità di potermi raggiungere e di dimenticare il dolore del lutto della separazione daI vostro Gesù, Io vi do un comandamento nuovo. Ed è che vi amiate gli uni con gli altri. Così come Io ho amato voi, ugualmente voi amatevi l'uno con l'altro. Da questo si conoscerà che siete miei discepoli. Quando un padre ha molti figli, da che si conosce che tali sono? Non tanto per l'aspetto fisico - perché vi sono uomini che sono in tutto simili ad un altro uomo, col quale non vi è nessun rapporto di sangue e neppure di nazione - quanto per il comune amore alla famiglia, al padre loro, e fra loro. Ed anche morto il padre non si disgrega la buona famiglia, perché il sangue è uno ed è sempre quello avuto dal seme del padre, e annoda legami che neppure la morte scioglie, perché più forte della morte è l'amore. Ora, se voi vi amerete anche dopo che Io vi avrò lasciati, tutti riconosceranno che voi siete miei figli, e perciò miei discepoli, e fra voi fratelli avendo avuto un unico padre».
«Signore Gesù, ma dove vai?», chiede Pietro.
«Vado dove tu per ora non mi puoi seguire. Ma più tardi mi seguirai».
«E perché non adesso? Ti ho seguito sempre da quando Tu mi hai detto: "Seguimi". Ho tutto lasciato senza rimpianto... Ora, andartene senza il tuo povero Simone, lasciandomi privo di Te, mio Tutto, dopo che per Te ho lasciato il mio poco bene di prima, non è giusto né bello da parte tua. Vai alla morte? Sta bene. Ma io pu-re vengo. Andremo insieme nell'altro mondo. Ma prima ti avrò difeso. Io sono pronto a dare la vita per Te».
«Tu darai la tua vita per Me? Ora? Ora no. In verità - oh! che in verità te lo dico - non avrà ancora cantato il gallo che tu mi avrai rinnegato tre volte. Ora è ancora la prima vigilia. Poi verrà la seconda... e poi la terza. Prima che scocchi il gallicinio, tu avrai per tre volte rinnegato il tuo Signore».
«Impossibile, Maestro! Credo a tutto ciò che dici. Ma non a questo. Sono sicuro di me».
«Ora, per ora sei sicuro. Ma perché ora hai ancora Me. Hai con te Iddio. Fra poco l'incarnato Iddio sarà preso e non l'avrete più. E Satana, dopo avervi già appesantiti - la tua stessa sicurezza è una astuzia di Satana, zavorra per appesantirti - vi spaurirà. Vi insinuerà: "Dio non è. Io sono". E siccome, per quanto ottusi dallo spavento, ancora ragionerete, voi capirete che quando è Satana il padrone dell'ora è morto il Bene ed è operante il Male, abbattuto lo spirito e trionfante l'umano. Allora resterete come guerrieri senza duce, inseguiti dal nemico, e nello sbigottimento dei vinti curverete le schiene al vincitore, e per non essere uccisi rinnegherete il caduto eroe.
Ma, ve ne prego. Il vostro cuore non si turbi. Credete in Dio. E credete anche in Me. Contro tutte le apparenze, credete in Me. Creda nella mia misericordia e in quella del Padre tanto colui che resta come colui che fugge. Tanto colui che tace come colui che aprirà la bocca per dire: "Io non lo conosco". Ugualmente credete nel mio perdono. E credete che, quali che siano in futuro le vostre azioni, nel Bene e nella mia Dottrina, nella mia Chiesa perciò, esse vi daranno un uguale posto in Cielo.
Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se così non fosse, Io ve lo avrei detto. Perché Io vado avanti. A preparare un posto per voi. Non fanno forse così i buoni padri quando devono portare altrove la loro piccola prole? Vanno avanti, preparano la casa, le suppellettili, le provviste. E poi tornano a prendere le loro creature più care. Così fanno per amore. Perché ai piccoli nulla manchi, e non provino disagio nel nuovo paese. Ugualmente così Io faccio. E per lo stesso motivo. Ora vado. E quando avrò preparato ad ognuno il posto nella Gerusalemme celeste, verrò di nuovo, vi prenderò con Me perché siate con Me dove Io sono, dove non ci sarà più né morte, né lutti, né lacrime, né grida, né fame, né dolore, né tenebre, né arsione, ma solo luce, pace, beatitudine e canto.
Oh! canto dei Cieli altissimi quando i dodici eletti saranno sui troni coi dodici patriarchi delle tribù d'Israele, e nell'ardenza del fuoco dell'amore spirituale canteranno, eretti sul mare della beatitudine, il cantico eterno che avrà ad arpeggio l'eterno alleluia dell'esercito angelico...
Io voglio che dove Io sarò voi siate. E voi sapete dove Io vado e ne conoscete la via».
«Ma Signore! Noi non sappiamo nulla. Tu non ci dici dove vai. Come possiamo noi sapere la via da prendere per venire verso Te e abbreviare l'attesa?», chiede Tommaso.
«Io sono la Via, la Verità, la Vita. Me lo avete sentito dire e spiegare più volte, ed in verità alcuni, che neppure sapevano esservi un Dio, si sono incamminati avanti, per la mia via, e sono già avanti di voi. Oh! dove sei tu, pecora spersa di Dio che Io ho ricondotta all'ovile? E dove tu, risorta d'anima?».
«Chi? Di chi parli? Di Maria di Lazzaro? È di là, con tua Madre. La vuoi? O vuoi Giovanna? Certo è nel suo palazzo. Ma, se vuoi, te l'andiamo a chiamare...».
«No. Non loro... Penso a quella che sarà disvelata solo in Cielo... e a Fotinai... (La samaritana, incontrata nei capitoli 143-144 e in 147 del Vol 2, e ricordata in 571 e in 572; l'altra è Aglae, incontrata la prima volta nel capitolo 77 del Vol 1). Esse mi hanno trovato. E non hanno più lasciato la mia via. Ad una ho indicato il Padre come Dio vero e lo spirito come levita in questa individuale adorazione. All'altra, che neppur sapeva di avere uno spirito, ho detto: "Il mio nome è Salvatore, salvo chi ha buona volontà di salvarsi. Io sono Colui che cerca i perduti, che dà la Vita, la Verità e la Purezza. Chi mi cerca mi trova". E ambedue hanno trovato Iddio... Vi benedico, deboli Eve divenute più forti di Giuditta... Vengo, dove voi siete vengo... Voi mi consolate... Siate benedette!... ».
«Mostraci il Padre, Signore, e saremo pari a queste», dice Filippo.
«Da tanto tempo Io sono con voi, e tu, Filippo, non mi hai ancora conosciuto? Chi vede Me vede il Padre mio. Come puoi dunque dire: "Mostraci il Padre"? Non riesci a credere che Io sono nel Padre e il Padre è in Me? Le parole che Io vi dico non le dico da Me. Ma il Padre che dimora in Me compie ogni mia opera. E voi non credete che Io sono nel Padre e Lui è in Me? Che devo dire per farvi credere? Ma se non credete alle parole, credete almeno alle opere.
Io vi dico, e ve lo dico con verità: chi crede in Me farà le opere che Io faccio, e ancor di maggiori ne farà, perché Io vado al Padre. E tutto quanto domanderete al Padre in mio nome Io lo farò, perché il Padre sia glorificato nel suo Figlio. E farò quanto mi domanderete in nome del mio Nome. Il mio Nome è noto, per quello che realmente è, a Me solo, al Padre che mi ha generato e allo Spirito che dal nostro amore procede. E per quel Nome tutto è possibile. Chi pensa al mio Nome con amore mi ama e ottiene. Ma non basta amare Me, occorre osservare i miei comandamenti per avere il vero amore. Sono le opere quelle che testificano dei sentimenti. E per questo amore Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore che resti per sempre con voi, Uno su cui Satana e il mondo non può infierire, lo Spirito di Verità che il mondo non può ricevere e non può colpire, perché non lo vede e non lo conosce. Lo deriderà. Ma Egli è tanto eccelso che lo scherno non lo potrà ferire, mentre, pietosissimo sopra ogni misura, sarà sempre con chi lo ama, anche se povero e debole. Voi lo conoscerete, perché già dimora con voi e presto sarà in voi.
Io non vi lascerò orfani. Già ve l'ho detto: "Ritornerò a voi". Ma, prima che sia l'ora di venirvi a prendere per andare nel mio Regno, Io verrò. A voi verrò. Fra poco il mondo non mi vedrà più. Ma voi mi vedete e mi vedrete. Perché Io vivo e voi vivete. Perché Io vivrò e voi pure vivrete. In quel giorno voi conoscerete che Io sono nel Padre mio, e voi in Me ed Io in voi. Perché chi accoglie i miei precetti e li osserva, quello è colui che mi ama, e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio e possederà Iddio, perché Dio è carità e chi ama ha in sé Dio. Ed Io lo amerò, perché in lui vedrò Iddio, e mi manifesterò a lui facendomi conoscere nei segreti del mio amore, della mia sapienza, della mia Divinità incarnata. Saranno i miei ritorni fra i figli dell'uomo, che Io amo nonostante siano deboli e anche nemici. Ma costoro saranno solo deboli. Ed Io li fortificherò; dirò loro: "Sorgi!", dirò: "Vieni fuori!", dirò: "Seguimi", dirò: "Odi", dirò: "Scrivi"... e voi siete fra questi».
«Perché, Signore, Tu ti manifesti a noi e non al mondo?», chiede Giuda Taddeo.
«Perché mi amate e osservate le mie parole. Chi così farà, sarà amato dal Padre e Noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui, in lui. Mentre chi non mi ama non osserva le mie parole e fa secondo la carne e il mondo. Ora sappiate che ciò che Io vi ho detto non è parola di Gesù Nazareno ma parola del Padre, perché Io sono il Verbo del Padre che mi ha mandato. Io vi ho detto queste cose parlando così, con voi, perché vogli lo stesso prepararvi al possesso completo della Verità e Sapienza. Ma ancora non potete capire né ricordare. Però, quando verrà a voi il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio Nome, allora voi potrete capire, ed Egli tutto vi insegnerà, e vi ricorderà quanto Io vi ho detto.
Io vi lascio la mia pace. Io vi do la mia pace. Ve la do non come la dà il mondo. E neppure come fino ad ora ve l'ho data: saluto benedetto del Benedetto ai benedetti. Più profonda è la pace che ora vi do. In questo addio. Io vi comunico Me stesso, il mio Spirito di pace, così come vi ho comunicato il mio Corpo e il mio Sangue, perché in voi resti una forza nella imminente battaglia. Satana e il mondo sferrano guerra al vostro Gesù. È la loro ora. Abbiate in voi la Pace, il mio Spirito che è spirito di pace, perché Io sono il Re della pace. Abbiatela per non essere troppo derelitti. Chi soffre con la pace di Dio in sé soffre, ma non bestemmia e dispera.
Non piangete. Avete pure sentito che ho detto: "Vado al Padre e poi tornerò". Se mi amaste sopra la carne, vi rallegrereste, perché Io vado dal Padre dopo tanto esilio... Vado da Colui che è maggiore di Me e che mi ama. Io ve l'ho detto ora, prima che ciò si compia, così come vi ho detto tutte le sofferenze del Redentore prima di andare ad esse, affinché, quando tutto si compia, voi crediate sempre più in Me. Non turbatevi così! Non sgomentatevi. Il vostro cuore ha bisogno di equilibrio...
Poco più ho da parlarvi... e ancora tanto ho da dire! Giunto al termine di questa mia evangelizzazione, mi pare di non avere ancora nulla detto e che tanto, tanto, tanto ancora resti da fare. Il vostro stato aumenta questa mia sensazione. E che dirò allora? Che Io ho mancato al mio ufficio? O che voi siete così duri di cuore che a nulla esso è valso? Dubiterò? No. Mi affido a Dio, e a Lui affido voi, miei diletti. Egli compirà l'opera del suo Verbo. Non sono come un padre che muore e non ha altra luce che l'umana. Io spero in Dio. E pure sentendo in Me urgere tutti i consigli di cui vi vedo bisognosi e sentendo fuggire il tempo, vado tranquillo alla mia sorte. So che sui semi caduti in voi sta per scendere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il sole del Paraclito, ed essi diverranno albero potente. Sta per venire il principe di questo mondo, colui col quale Io non ho nulla a che fare. E, se non fosse per fine di redenzione, non avrebbe potuto nulla su Me. Ma ciò avviene affinché il mondo conosca che Io amo il Padre e lo amo fino alla ubbidienza di morte, e perciò faccio ciò che mi ha ordinato.
È l'ora di andare. Alzatevi. E udite le ultime parole.
Io sono la vera Vite. Il Padre ne è il Coltivatore. Ogni tralcio che non porta frutto Egli lo recide e quello che porta frutto lo pota perché ne porti più ancora. Voi siete già purificati per la mia parola. Rimanete in Me ed Io in voi per continuare ad essere tali. Il tralcio staccato dalla vite non può fare frutto. Così voi se non rimanete in Me. Io sono la Vite e voi i tralci. Colui che resta unito a Me porta abbondanti frutti. Ma se uno si stacca diviene ramo secco e viene buttato nel fuoco e là brucia. Perché, senza l'unione con Me, voi nulla potete fare. Rimanete dunque in Me e le mie parole restino in voi, poi domandate quanto volete e vi sarà fatto. Il Padre mio sarà sempre più glorificato quanto più voi porterete frutto e sarete miei discepoli.
Come il Padre mi ha amato, così Io con voi. Rimanete nel mio amore che salva. Amandomi sarete ubbidienti, e l'ubbidienza aumenta il reciproco amore. Non dite che Io mi ripeto. So la vostra debolezza. E voglio che vi salviate. Io vi dico queste cose perché la gioia che vi ho voluto dare sia in voi e sia completa. Amatevi, amatevi! Questo è il mio comandamento nuovo. Amatevi scambievolmente più di quanto ognuno ami se stesso. Non vi è maggior amore di quello di colui che dà la sua vita per i suoi amici. Voi siete i miei amici ed Io do la vita per voi. Fate ciò che Io vi insegno e comando.
Non vi chiamo più servi. Perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone, mentre voi sapete ciò che Io faccio. Tutto di Me sapete. Vi ho manifestato non solo Me stesso, ma anche il Padre ed il Paraclito e tutto quanto ho sentito da Dio.
Non siete stati voi che vi siete scelti. Ma Io vi ho scelti e vi ho eletti, perché andiate fra i popoli, e facciate frutto in voi e nei cuori degli evangelizzati, e il vostro frutto rimanga e il Padre vi dia tutto ciò che gli chiederete in mio Nome.
Non dite: "E allora, se Tu ci hai scelti, perché hai scelto un traditore? Se tutto Tu sai, perché hai fatto questo?". Non chiedetevi neppure chi è costui. Non è un uomo. È Satana. L'ho detto all'amico fedele e l'ho lasciato dire dal figlio diletto. È Satana. Se Satana non si fosse incarnato, l'eterno scimmiottatore di Dio, in una carne mortale, questo posseduto non avrebbe potuto sfuggire al mio potere di Gesù. Ho detto: "posseduto". No. È molto di più: è un annullato in Satana».
«Perché, Tu che hai cacciato i demoni, non lo hai liberato?», chiede Giacomo d'Alfeo.
«Lo chiedi per amore di te, temendo essere tu quello? Non lo temere».
«Io, allora?».
«Io?».
«Io?».
«Tacete. Non dico quel nome. Uso misericordia e voi fate ugualmente».
«Ma perché non lo hai vinto? Non potevi?».
«Potevo. Ma, per impedire a Satana di incarnarsi per uccidermi, avrei dovuto sterminare la razza dell'uomo avanti la Redenzione. Che avrei allora redento?».
«Dimmelo, Signore, dimmelo! ». Pietro è scivolato in ginocchio e scuote freneticamente Gesù come fosse in preda a delirio. «Sono io? Sono io? Mi esamino? Non mi pare. Ma Tu... Tu hai detto che ti rinnegherò... Ed io tremo... Oh! che orrore essere io!...». «No, Simone di Giona. Non tu».
«Perché mi hai levato il mio nome di "Pietra"? Sono dunque tornato Simone? Lo vedi? Tu lo dici! ... Sono io! Ma come ho potuto? Ditelo... ditelo voi... Quando è che ho potuto divenire traditore?... Simone?... Giovanni?... Ma parlate!...».
«Pietro, Pietro, Pietro! Ti chiamo Simone perché penso al primo incontro, quando eri Simone. E penso come sei sempre stato leale dal primo momento. Non sei tu. Lo dico Io: Verità».
«Chi, allora?».
«Ma è Giuda di Keriot! Non lo hai ancora capito?», urla il Taddeo che non riesce più a contenersi.
«Perché non me lo hai detto prima? Perché?», urla anche Pietro.
«Silenzio. È Satana. Non ha altro nome. Dove vai, Pietro?».
«A cercarlo».
«Posa subito quel mantello e quell'arma. O ti devo scacciare e maledire?».
«No, no! Oh! Signor mio! Ma io... ma io... Sono forse malato di delirio, io? Oh! Oh!». Pietro piange, gettato per terra ai piedi di Gesù.
«Io vi do comando di amarvi. E di perdonare. Avete capito? Se anche nel mondo è l'odio, in voi sia solo l'amore. Per tutti. Quanti traditori troverete sulla vostra via! Ma non li dovete odiare e rendere loro male per male. Altrimenti il Padre odierà voi. Prima di voi fui odiato e tradito Io. Eppure, voi lo vedete, Io non odio. Il mondo non può amare ciò che non è come esso. Perciò non vi amerà. Se foste suoi, vi amerebbe; ma non siete del mondo, avendovi Io presi da mezzo al mondo. E per questo siete odiati.
Vi ho detto: il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno voi pure. Se avranno ascoltato Me, ascolteranno pure voi. Ma tutto faranno per causa del mio Nome, perché non conoscono, non vogliono conoscere Colui che mi ha mandato. Se non fossi venuto e non avessi parlato, non sarebbero colpevoli. Ma ora il loro peccato è senza scusa. Hanno visto le mie opere, udito le mie parole, eppure mi hanno odiato, e con Me il Padre. Perché Io e il Padre siamo una sola Unità con l'Amore. Ma era scritto: (Salmi 35, 19; 69, 5) "Mi odiasti senza ragione". Però, quando sarà venuto il Consolatore, lo Spirito di verità che dal Padre procede, sarà da Lui resa testimonianza di Me, e voi pure mi testimonierete, perché dal principio foste con Me.
Questo vi dico perché, quando sarà l'ora, non rimaniate accasciati e scandalizzati. Sta per venire il tempo in cui vi cacceranno dalle sinagoghe e in cui chi vi ucciderà penserà di fare culto a Dio con ciò. Non hanno conosciuto né il Padre né Me. In ciò è la loro scusante. Non ve le ho dette così ampie prima di ora, queste cose, perché eravate come bambini pur mo' nati. Ma ora la madre vi lascia. Io vado. Dovete assuefarvi ad altro cibo. Voglio lo conosciate.
Nessuno più mi chiede: "Dove vai?". La tristezza vi fa muti. Eppure è bene anche per voi che Io me ne vada. Altrimenti non verrà il Consolatore. Io ve lo manderò. E quando sarà venuto, attraverso la sapienza e la parola, le opere e l'eroismo che infonderà in voi, convincerà il mondo del suo peccato deicida e di giustizia sulla mia santità. E il mondo sarà nettamente diviso nei reprobi, nemici di Dio, e nei credenti. Questi saranno più o meno santi, a seconda del loro volere. Ma il giudizio del principe del mondo e dei suoi servi sarà fatto. Di più non posso dirvi, perché ancora non potete intendere. Ma Egli, il divino Paraclito, vi darà la Verità intera, perché non parlerà di Se stesso. Ma dirà tutto quello che avrà udito dalla Mente di Dio e vi annunzierà il futuro. Prenderà ciò che da Me viene, ossia ciò che ancora è del Padre, e ve lo dirà.
Ancora un poco da vedersi. Poi non mi vedrete più. E poi ancora un poco, e poi mi vedrete.
Voi mormorate fra voi ed in cuor vostro. Udite una parabola. L'ultima del vostro Maestro.
Quando una donna ha concepito e giunge all'ora del parto, è in grande afflizione perché soffre e geme. Ma quando il piccolo figlio è dato alla luce ed ella lo stringe sul cuore, ogni pena cessa e la tristezza si muta in gioia, perché un uomo è venuto al mondo.
Così voi. Voi piangerete e il mondo riderà di voi. Ma poi la vostra tristezza si muterà in gioia. Una gioia che il mondo mai conoscerà. Voi ora siete tristi. Ma, quando mi rivedrete, il vostro cuore diverrà pieno di un gaudio che nessuno avrà più potere di rapirvi. Una gioia così piena che vi offuscherà ogni bisogno di chiedere e per la mente e per il cuore e per la carne. Solo vi pascerete di rivedermi, dimenticando ogni altra cosa. Ma proprio da allora potrete tutto chiedere in mio Nome, e vi sarà dato dal Padre perché abbiate sempre più gioia. Domandate, domandate. E riceverete.
Viene l'ora in cui potrò parlarvi apertamente del Padre. Sarà perché sarete stati fedeli nella prova e tutto sarà superato. Perfetto quindi il vostro amore, perché vi avrà dato forza nella prova. E quanto a voi mancherà Io ve lo aggiungerò prendendolo dal mio immenso tesoro e dicendo: "Padre, lo vedi. Essi mi hanno amato credendo che Io venni da Te". Sceso nel mondo, ora lo lascio e vado al Padre, e pregherò per voi».
«Oh! ora Tu ti spieghi. Ora sappiamo ciò che vuoi dire e che Tu sai tutto e rispondi senza che nessuno ti interroghi. Veramente Tu vieni da Dio! ».
«Adesso credete? All'ultima ora? È tre anni che vi parlo! Ma già in voi opera il Pane che è Dio e il Vino che è Sangue non venuto da uomo, e vi dà il primo brivido di deificazione. Voi diverrete dèi se sarete perseveranti nel mio amore e nel mio possesso. Non come lo disse Satana ad Adamo ed Eva, ma come Io ve lo dico. È il vero frutto dell'albero del Bene e della Vita. Il Male è vinto in chi se ne pasce, ed è morta la Morte. Chi ne mangia vivrà in eterno e diverrà "dio" nel Regno di Dio. Voi sarete dèi se permarrete in Me. Eppure ecco... pur avendo in voi questo Pane e questo Sangue, poiché sta venendo l'ora in cui sarete dispersi, voi ve ne andrete per vostro conto e mi lascerete solo... Ma non sono solo. Ho il Padre con Me. Padre, Padre! Non mi abbandonare! Tutto vi ho detto... Per darvi pace. La mia pace. Ancora sarete oppressi. Ma abbiate fede. Io ho vinto il mondo».
Gesù si alza, apre le braccia in croce e dice con volto luminoso la sublime preghiera al Padre. Giovanni la riporta integralmente. (Nel suo Vangelo: Giovanni 17).
Gli apostoli lacrimano più o meno palesemente e rumorosamente. Per ultimo cantano un inno.
Gesù li benedice. Poi ordina: «Mettiamoci i mantelli, ora. E andiamo. Andrea, di' al capo di casa di lasciare tutto così, per mio volere. Domani... vi farà piacere rivedere questo luogo». Gesù lo guarda. Pare benedire le pareti, i mobili, tutto. Poi si ammantella e si avvia, seguito dai discepoli.
Al suo fianco è Giovanni, al quale si appoggia. «Non saluti la Madre?», gli chiede il figlio di Zebedeo.
«No. È tutto già fatto. Fate, anzi, piano».
Simone, che ha acceso una torcia alla lumiera, illumina l'ampio corridoio che va alla porta. Pietro apre cauto il portone ed escono tutti nella via e poi, facendo giocare un ordigno, chiudono dal di fuori. E si pongono in cammino.
Dice
Gesù:
«Dall'episodio della Cena, oltre la considerazione della carità di un Dio che si fa Cibo agli uomini, risaltano quattro ammaestramenti principali.
Primo: la necessità per tutti i figli di Dio di ubbidire alla Legge.
La Legge diceva che si doveva per Pasqua consumare l'agnello secondo il rituale dato dall'Altissimo a Mosè, ed Io, Figlio vero del Dio vero, non mi sono riputato, per la mia qualità divina, esente dalla Legge. Ero sulla Terra: Uomo fra gli uomini e Maestro degli uomini. Dovevo perciò fare il mio dovere di uomo verso Dio come e meglio degli altri. I favori divini non esimono dall'ubbidienza e dallo sforzo verso una sempre maggiore santità. Se paragonate la santità più eccelsa alla perfezione divina, la trovate sempre piena di mende, e perciò obbligata a sforzare se stessa per eliminarle e raggiungere un grado di perfezione per quanto più è possibile simile a quello di Dio.
Secondo: la potenza della preghiera di Maria.
Io ero Dio fatto Carne. Una Carne che, per essere senza macchia, possedeva la forza spirituale per signoreggiare la carne. Eppure non ricuso, anzi invoco l'aiuto della Piena di Grazia, la quale anche in quell'ora di espiazione avrebbe trovato, è vero, sul suo capo il Cielo chiuso, ma non tanto che non riuscisse a strapparne un angelo, Lei, Regina degli angeli, per il conforto del suo Figlio. Oh! non per Lei, povera Mamma! Anche Lei ha assaporato l'amaro dell'abbandono del Padre, ma per questo suo dolore offerto alla Redenzione m'ha ottenuto di potere superare l'angoscia dell'orto degli Ulivi e di portare a termine la Passione in tutta la sua multiforme asprezza, di cui ognuna era volta a lavare una forma e un mezzo di peccato.
Terzo: il dominio su se stessi e la sopportazione dell'offesa, carità sublime su tutte, la possono avere unicamente quelli che fanno vita della loro vita la legge di carità che Io avevo bandita. E non bandita solo, ma praticata realmente.
Cosa sia stato per Me aver meco alla mia tavola il mio Traditore, il dovere darmi ad esso, il dovere umiliarmi ad esso, il dovere dividere con esso il calice di rito e posare le labbra là dove egli le aveva posate, e farle posare a mia Madre, voi non potete pensare. I vostri medici hanno discusso e discutono sulla mia rapida fine e le dànno origine in una lesione cardiaca dovuta alle percosse della flagellazione. Sì, anche per queste il mio cuore divenne malato. Ma lo era già dalla Cena. Spezzato, spezzato nello sforzo di dover subire al mio fianco il mio Traditore. Ho cominciato a morire allora, fisicamente. Il resto non è stato che aumento della già esistente agonia.
Quanto ho potuto fare l'ho fatto perché ero uno con la Carità. Anche nell'ora in cui Dio-Carità si ritirava da Me, ho saputo esser carità, perché ero vissuto, nei miei trentatré anni, di carità. Non si può giungere ad una perfezione, quale si richiede per perdonare e sopportare il nostro offensore, se non si ha l'abito della carità. Io l'avevo, e ho potuto perdonare e sopportare questo capolavoro di Offensore che fu Giuda.
Quarto: il Sacramento opera quanto più uno è degno di riceverlo. Se ne è fatto degno con una costante volontà, che spezza la carne e fa signore lo spirito, vincendo le concupiscenze, piegando l'essere alle virtù, tendendolo come arco verso la perfezione delle virtù e soprattutto della carità.
Perché, quando uno ama, tende a far lieto chi ama. Giovanni, che mi amava come nessuno e che era puro, ebbe dal Sacramento il massimo della trasformazione. Cominciò da quel momento ad essere l'aquila, a cui è familiare e facile l'altezza nel Cielo di Dio e l'affissare il Sole eterno. Ma guai a chi riceve il Sacramento senza esserne affatto degno, ma anzi avendo accresciuto la sua sempre umana indegnità con le colpe mortali. Allora esso diviene non germe di preservazione e di vita ma di corruzione e di morte. Morte dello spirito e putrefazione della carne, per cui essa "crepa", come dice Pietro di quella di Giuda. (Atti 1, 18). Non sparge il sangue, liquido sempre vitale e bello nella sua porpora, ma le sue interiora, nere di tutte le libidini, marciume che si riversa fuori dalla carne marcita come da carogna di animale immondo, oggetto di ribrezzo per i passanti.
La morte del profanatore del Sacramento è sempre la morte di un disperato, e perciò non conosce il placido trapasso proprio di chi è in grazia, né l'eroico trapasso della vittima che soffre acutamente ma con lo sguardo fisso al Cielo e l'anima sicura della pace. La morte del disperato è atroce di contorsioni e di terrori, è una convulsione orrenda dell'anima già ghermita dalla mano di Satana, che la strozza per svellerla dalla carne e che la soffoca col suo nauseabondo fiato.
Questa la differenza fra chi trapassa all'altra vita dopo essersi nutrito in essa di carità, fede, speranza e d'ogni altra virtù e dottrina celeste e del Pane angelico che l'accompagna coi suoi frutti - meglio se con la sua reale presenza - nel viaggio estremo, e chi trapassa dopo una vita di bruto con morte da bruto che la Grazia e il Sacramento non confortano. La prima è la serena fine del santo, a cui la morte apre il Regno eterno. La seconda è la spaventosa caduta del dannato, che si sente precipitare nella morte eterna e conosce in un attimo ciò che ha voluto perdere, né più può riparare. Per uno acquisto, per l'altro spogliamento. Per uno gioia, per l'altro terrore.
Questo è quanto vi date a seconda del vostro credere ed amare, o non credere e deridere il dono mio. E questo è l'insegnamento di questa contemplazione».
«Dall'episodio della Cena, oltre la considerazione della carità di un Dio che si fa Cibo agli uomini, risaltano quattro ammaestramenti principali.
Primo: la necessità per tutti i figli di Dio di ubbidire alla Legge.
La Legge diceva che si doveva per Pasqua consumare l'agnello secondo il rituale dato dall'Altissimo a Mosè, ed Io, Figlio vero del Dio vero, non mi sono riputato, per la mia qualità divina, esente dalla Legge. Ero sulla Terra: Uomo fra gli uomini e Maestro degli uomini. Dovevo perciò fare il mio dovere di uomo verso Dio come e meglio degli altri. I favori divini non esimono dall'ubbidienza e dallo sforzo verso una sempre maggiore santità. Se paragonate la santità più eccelsa alla perfezione divina, la trovate sempre piena di mende, e perciò obbligata a sforzare se stessa per eliminarle e raggiungere un grado di perfezione per quanto più è possibile simile a quello di Dio.
Secondo: la potenza della preghiera di Maria.
Io ero Dio fatto Carne. Una Carne che, per essere senza macchia, possedeva la forza spirituale per signoreggiare la carne. Eppure non ricuso, anzi invoco l'aiuto della Piena di Grazia, la quale anche in quell'ora di espiazione avrebbe trovato, è vero, sul suo capo il Cielo chiuso, ma non tanto che non riuscisse a strapparne un angelo, Lei, Regina degli angeli, per il conforto del suo Figlio. Oh! non per Lei, povera Mamma! Anche Lei ha assaporato l'amaro dell'abbandono del Padre, ma per questo suo dolore offerto alla Redenzione m'ha ottenuto di potere superare l'angoscia dell'orto degli Ulivi e di portare a termine la Passione in tutta la sua multiforme asprezza, di cui ognuna era volta a lavare una forma e un mezzo di peccato.
Terzo: il dominio su se stessi e la sopportazione dell'offesa, carità sublime su tutte, la possono avere unicamente quelli che fanno vita della loro vita la legge di carità che Io avevo bandita. E non bandita solo, ma praticata realmente.
Cosa sia stato per Me aver meco alla mia tavola il mio Traditore, il dovere darmi ad esso, il dovere umiliarmi ad esso, il dovere dividere con esso il calice di rito e posare le labbra là dove egli le aveva posate, e farle posare a mia Madre, voi non potete pensare. I vostri medici hanno discusso e discutono sulla mia rapida fine e le dànno origine in una lesione cardiaca dovuta alle percosse della flagellazione. Sì, anche per queste il mio cuore divenne malato. Ma lo era già dalla Cena. Spezzato, spezzato nello sforzo di dover subire al mio fianco il mio Traditore. Ho cominciato a morire allora, fisicamente. Il resto non è stato che aumento della già esistente agonia.
Quanto ho potuto fare l'ho fatto perché ero uno con la Carità. Anche nell'ora in cui Dio-Carità si ritirava da Me, ho saputo esser carità, perché ero vissuto, nei miei trentatré anni, di carità. Non si può giungere ad una perfezione, quale si richiede per perdonare e sopportare il nostro offensore, se non si ha l'abito della carità. Io l'avevo, e ho potuto perdonare e sopportare questo capolavoro di Offensore che fu Giuda.
Quarto: il Sacramento opera quanto più uno è degno di riceverlo. Se ne è fatto degno con una costante volontà, che spezza la carne e fa signore lo spirito, vincendo le concupiscenze, piegando l'essere alle virtù, tendendolo come arco verso la perfezione delle virtù e soprattutto della carità.
Perché, quando uno ama, tende a far lieto chi ama. Giovanni, che mi amava come nessuno e che era puro, ebbe dal Sacramento il massimo della trasformazione. Cominciò da quel momento ad essere l'aquila, a cui è familiare e facile l'altezza nel Cielo di Dio e l'affissare il Sole eterno. Ma guai a chi riceve il Sacramento senza esserne affatto degno, ma anzi avendo accresciuto la sua sempre umana indegnità con le colpe mortali. Allora esso diviene non germe di preservazione e di vita ma di corruzione e di morte. Morte dello spirito e putrefazione della carne, per cui essa "crepa", come dice Pietro di quella di Giuda. (Atti 1, 18). Non sparge il sangue, liquido sempre vitale e bello nella sua porpora, ma le sue interiora, nere di tutte le libidini, marciume che si riversa fuori dalla carne marcita come da carogna di animale immondo, oggetto di ribrezzo per i passanti.
La morte del profanatore del Sacramento è sempre la morte di un disperato, e perciò non conosce il placido trapasso proprio di chi è in grazia, né l'eroico trapasso della vittima che soffre acutamente ma con lo sguardo fisso al Cielo e l'anima sicura della pace. La morte del disperato è atroce di contorsioni e di terrori, è una convulsione orrenda dell'anima già ghermita dalla mano di Satana, che la strozza per svellerla dalla carne e che la soffoca col suo nauseabondo fiato.
Questa la differenza fra chi trapassa all'altra vita dopo essersi nutrito in essa di carità, fede, speranza e d'ogni altra virtù e dottrina celeste e del Pane angelico che l'accompagna coi suoi frutti - meglio se con la sua reale presenza - nel viaggio estremo, e chi trapassa dopo una vita di bruto con morte da bruto che la Grazia e il Sacramento non confortano. La prima è la serena fine del santo, a cui la morte apre il Regno eterno. La seconda è la spaventosa caduta del dannato, che si sente precipitare nella morte eterna e conosce in un attimo ciò che ha voluto perdere, né più può riparare. Per uno acquisto, per l'altro spogliamento. Per uno gioia, per l'altro terrore.
Questo è quanto vi date a seconda del vostro credere ed amare, o non credere e deridere il dono mio. E questo è l'insegnamento di questa contemplazione».
Verso
il Getsemani con undici apostoli.
L'agonia
spirituale e la cattura.
16
marzo 1945
La
via è tutta silenziosa. Solo una fontanella che ricade in un bacino
di pietra mette un suono in tanto silenzio. Lungo i muri delle case,
dal lato d'oriente, vi è ancora oscurità, mentre dall'altro lato la
luna comincia a fare bianco il sommo delle case e, dove la via
allarga in una piazzetta, ecco che il latteo argenteo della luna
scende a far belli anche i ciottoli e la terra della via. Ma sotto i
frequenti archivolti che vanno da casa a casa, simili a ponti levatoi
od a puntelli a queste vecchie case dalle scarsissime aperture sulle
vie, e che in quest'ora sono tutte chiuse e buie come fossero
case abbandonate, vi è l'oscurità perfetta, e il rossastro della
torcia portata da Simone acquista una singolare vivezza e un'ancora
più grande utilità. I visi, in quella luce rossa e mobile, si
mostrano con un rilievo netto e, tanti quanti sono, rivelano
altrettanti e diversi stati d'animo. Il più solenne e calmo è
quello di Gesù. Per quanto una stanchezza lo invecchi marcandolo di
linee che solitamente non ha e che fanno già apparire la futura
effigie del suo volto ricomposto nella morte. Giovanni, che gli è al
fianco, gira uno sguardo stupefatto, dolente, su tutto quanto vede.
Sembra un fanciullo terrorizzato da qualche racconto udito o da
qualche promessa paurosa e che invochi aiuto da chi sa di più di
lui. Ma chi gli può dare aiuto? Simone, che è all'altro fianco di
Gesù, ha il viso chiuso, cupo, di chi rimugina in sé pensieri
atroci. Ed è ancora l'unico che, dopo Gesù, mostri un aspetto
dignitoso.
Gli
altri, in due gruppi che continuamente si alternano nella loro
formazione, sono tutto un fermento. E ogni tanto la voce rauca di
Pietro o quella baritonale di Tommaso si elevano con risonanza
strana. Poi si riabbassano, come paurosi di quello che dicono.
Discutono sul da farsi, e chi propone l'una e chi l'altra cosa. Ma
cadono tutte le proposte, perché realmente sta per iniziarsi "l'ora
delle tenebre" e i giudizi umani restano oscurati e confusi.
«Bisognava
dirmelo prima», arrangola Pietro.
«Ma
non uno ha parlato. Non il Maestro...», dice Andrea.
«Sì!
Proprio Lui te lo diceva. Ma fratello! Sembra che tu non lo
conosca!...», gli risponde Pietro.
«Io
sentivo qualche cosa di turbato. E l'ho detto: "Andiamo a morire
con Lui". Ve lo ricordate? Ma, per il nostro santissimo Iddio,
se avessi saputo che era Giuda di Simone!...», tuona Tommaso
minaccioso.
«E
che volevi fare?», chiede Bartolomeo. «Io? Io farei anche ora se mi
aiutaste!».
«Cosa?
Partiresti per ucciderlo? E dove?».
«No.
Porterei via il Maestro. É più semplice».
«Non
verrebbe! »
«Non
gli chiederei se verrebbe. Lo rapirei come si rapisce una donna».
«Non
sarebbe una malvagia idea!», dice Pietro.
E
impulsivo torna indietro, si mette nel gruppo dei due figli di Alfeo
che con Matteo e Giacomo bisbigliano piano come congiurati.
«Sentite,
dice Tommaso di portare via Gesù. Tutti insieme. Si potrebbe... dal
Get-Samnì per Betfage a Betania e di là... vela per qualche posto.
Lo facciamo? Messo in salvo Lui, si torna e si stermina Giuda».
«É
inutile. Israele è tutta una trappola», dice Giacomo d'Alfeo. «Ed
ora è prossima a chiudersi. Lo si capiva. Troppo odio!».
«Ma,
Matteo! Mi fai rabbia! Avevi più coraggio quando eri peccatore! Di'
tu, Filippo». Filippo, che viene solo solo e pare monologare fra sé,
alza il viso e si ferma.
Pietro
lo raggiunge e bisbigliano fra loro. Poi raggiungono il gruppo di
prima:
«Io
direi che il posto migliore è nel Tempio», dice Filippo.
«Sei
matto?», urlano i cugini, Matteo e Giacomo.
«Ma
se là lo vogliono morto!».
«Sss!
Quanto baccano! So quello che mi dico. Lo cercheranno da per
tutto. Ma non lì. Tu e Giovanni avete buone amicizie fra i servi di
Anna. Si dà un bel boccone d'oro... e tutto è fatto. Credete! Il
posto migliore per nascondere uno ricercato è in casa dei
carcerieri».
«Io
non lo faccio», dice Giacomo di Zebedeo. «Però, senti anche gli
altri. Giovanni per primo. E se poi lo arrestano? Non voglio che si
dica che sono io il traditore...».
«Non
ci avevo pensato. E allora?». Pietro è annichilito.
«E
allora io direi che è pietoso fare una cosa. L'unica che possiamo.
Portare via la Madre...», dice Giuda d'Alfeo.
«Già!...
Ma... Chi ci va? Che le si dice? Va' tu, parente».
«Io
resto con Gesù. É mio diritto. Va' tu».
«Io?!
Mi sono armato di spada per morire come Eleazaro di Saura. Traverserò
legioni per difendere il mio Gesù e colpirò senza ritegno. Se la
forza dei più mi ucciderà, non importa. Lo avrò difeso», proclama
Pietro.
«Ma
sei proprio sicuro che è l'Iscariota?», chiede Filippo al Taddeo.
«Ne
sono sicuro. Nessuno di noi ha cuore di serpe. Solo lui... Va' tu,
Matteo, da Maria e dille...»
«Io?
Ingannarla? Vederla al mio fianco ignara, e poi?... Ah! no. Sono
pronto alla morte, ma non a tradire quella colomba...»
Le
voci si mischiano in un sussurro.
«Odi?
Maestro, noi ti amiamo», dice Simone.
«Lo
so. Non ho bisogno di quelle parole per saperlo. E se danno pace al
cuore del Cristo esse feriscono la sua anima».
«Perché,
Signor mio? Sono parole d'amore».
«Di
tutto umano amore. In verità, in questi tre anni non ho fatto nulla,
perché voi siete ancora più umani della prima ora. Lievitano in voi
tutti i fermenti più fangosi, questa sera. Ma non è colpa
vostra...».
«Salvati,
Gesù!», geme Giovanni.
«Mi
salvo».
«Sì?
Oh! Mio Dio, grazie!».
Giovanni
pare un fiore piegato da arsione e che torni fresco sullo stelo.
«Lo
dico agli altri. Dove andiamo?».
«Io
alla morte. Voi alla Fede».
«Ma
non avevi detto ora che ti salvavi?».
Il
prediletto si accascia di nuovo.
«Mi
salvo, infatti, mi salvo. Se non ubbidissi al Padre mi perderei.
Ubbidisco. Perciò mi salvo. Ma non piangere così! Sei meno bravo
dei discepoli di quel filosofo greco di cui ti parlai un giorno. Essi
rimasero presso il maestro morente per cicuta, confortandolo col loro
virile dolore. Tu... tu sembri un pargolo che abbia perduto suo
padre».
«E
non è forse così? Più che se perdessi il padre, io perdo! Perdo
Te...».
«Non
mi perdi poiché continui a volermi bene. É perduto uno che è da
noi separato dalla dimenticanza sulla Terra e dal giudizio di Dio
nell'al di là. Ma noi non saremo separati. Mai. Né da questo, né
da quello».
Ma
Giovanni non intende ragioni.
Simone
si fa ancora più vicino a Gesù e gli confida sottovoce: «Maestro...
io... io e Simon Pietro speravamo di fare qualche cosa di
buono... Ma... Tu che sai tutto, dimmi: fra quante ore pensi essere
catturato?».
«Non
appena la luna è al colmo del suo arco».
Simone
ha un atto di dolore e di impazienza, per non dire di stizza. «Allora
tutto fu inutile... Maestro, ora ti spiego. Tu hai quasi rimproverato
me e Simon Pietro per averti lasciato tanto solo in questi ultimi
giorni... Ma eravamo lontani per Te... per amore di Te. Pietro, nella
notte del lunedì, impressionato dalle tue parole, è venuto da me
mentre dormivo e mi ha detto: "Io e te, di te mi fido, dobbiamo
fare qualche cosa per Gesù. Anche Giuda ha detto di volersene
occupare". Oh! perché non abbiamo capito allora? Perché
non ci hai detto nulla Tu? Ma, dimmi, a nessuno lo hai detto? Proprio
a nessuno? Forse lo hai compreso solo poche ore fa?».
«L'ho
sempre saputo. Prima ancora che egli fosse nei discepoli. E
perché il suo delitto non fosse perfetto, e nel divino e nell'umano,
ho cercato in tutti i modi di allontanarlo da Me. Coloro che vogliono
che Io muoia sono i carnefici di Dio. Questo, mio discepolo e
amico, è anche il traditore, il carnefice dell'Uomo. Il mio primo
carnefice, perché mi ha già fatto morto con lo sforzo di
averlo al fianco, alla mensa, e di doverlo proteggere con Me stesso
contro voi».
«E
nessuno lo sa?».
«Giovanni.
Gliel'ho detto alla fine della Cena. Ma che avete fatto?».
«E
Lazzaro? Non sa proprio nulla Lazzaro? Oggi fummo da lui, perché
egli è venuto di prima mattina, ha sacrificato ed è ripartito senza
neppure fermarsi al suo palazzo né andare al Pretorio. Perché lui
ci va sempre, per consuetudine presa dal padre. E Pilato, lo sai, c'è
in città, in questi giorni...».
«Sì.
Tutti ci sono. C'è Roma, la nuova Sionne, con Pilato. C'è Israele
con Caifa ed Erode. C'è tutto Israele, perché la Pasqua ha
raccolto i figli di questo popolo ai piedi dell'altare di Dio... Hai
visto Gamaliele?».
«Si.
Perché questa domanda? Lo devo rivedere anche domani...».
«Gamaliele
questa sera è a Betfage. Lo so. Quando saremo giunti al Getsemani tu
andrai da Gamaliele e gli dirai: "Fra poco avrai il segno che
attendi da ventun'anni". Null'altro. Poi tornerai coi compagni».
«Ma
come lo sai? Oh! Maestro mio, povero Maestro che non hai neppure il
conforto di ignorare le opere altrui!».
«Dici
bene! Il conforto di ignorare! Povero Maestro! Perché sono più le
opere malvagie delle buone. Ma vedo anche quelle buone e ne giubilo».
«Allora
Tu sai che...».
«Simone,
è la mia ora di passione. Per renderla più completa il Padre
mi ritira la luce man mano che si approssima. Fra poco non avrò che
tenebre e la contemplazione di ciò che è tenebre: ossia tutti
i peccati degli uomini. Non puoi, non potete capire. Nessuno, meno
chi sarà a ciò chiamato da Dio per speciale missione,
comprenderà questa passione nella grande Passione e, poi che
l'uomo è materiale anche nell'amare e nel meditare, ci sarà
chi piangerà e soffrirà per le mie battiture, per le torture del
Redentore, ma non si misurerà questa spirituale tortura che,
credetelo voi che mi udite, sarà la più atroce... Parla, perciò,
Simone. Guidami sui sentieri dove la tua amicizia andò per Me,
perché Io sono un povero che accieca e che vede fantasmi, non cose
reali...».
Giovanni
lo strige e chiede: «Che? Non vedi più il tuo Giovanni?».
«Ti
vedo. Ma i fantasmi sorgono dalle nebbie di Satana. Visioni
d'incubo e dolore. Tutti siamo avvolti in questo miasma d'inferno,
questa sera. In Me cerca di creare viltà, disubbidienza e
dolore. In, voi creerà delusione e paura. In altri, che pure non
sono né paurosi né delinquenti, darà delinquenza e pavidità.
In altri, che già sono di Satana, darà il pervertimento
soprannaturale. Dico così perché la loro perfezione nel male
sarà tale da superare le umane possibilità e raggiungere il
perfetto che è sempre nel sopraumano. Parla, Simone».
«Sì.
Da martedì non facciamo che andare per sapere, per prevenire, per
cercare aiuti».
«E
che avete potuto fare?».
«Nulla.
O ben poco».
«E
il poco sarà "nulla" quando la paura paralizzerà i
cuori».
«Mi
sono anche urtato con Lazzaro... La prima volta che mi avviene...
Urtato, perché mi parve inerte... Lui potrebbe fare. É amico del
Governatore. E sempre il figlio di Teofilo! Ma Lazzaro ha respinto
ogni mia proposta. L'ho lasciato urlando: "Io penso che l'amico
di cui parla il Maestro sia tu. Mi fai orrore!", e non volevo
più tornare da lui... Ma questa mattina egli mi ha chiamato e detto:
"Puoi ancora pensare che sia io il suo traditore?". Io
avevo già visto Gamaliele e Giuseppe e Cusa, e Nicodemo e
Mannaen, ed infine tuo fratello Giuseppe... e non potevo più credere
questo. Gli ho detto: "Perdona, Lazzaro. Ma mi sento la
mente sconvolta più di quando ero io stesso un condannato". Ed
è così, Maestro... Io non sono più io... Ma perché sorridi?».
«Perché
ciò conferma quanto Io ti ho detto prima. La nebbia di Satana
ti avvolge e turba. Che ha risposto Lazzaro?».
«Ha
detto: "Ti capisco. Vieni oggi, con Nicodemo. Ho bisogno di
vederti". E sono andato, mentre Simon Pietro è andato dai
galilei. Perché tuo fratello, lui, da tanto lontano, ne sa più di
noi. Dice che lo ha saputo per caso parlando con un vecchio galileo,
amico di Alfeo e Giuseppe, che abita vicino ai mercati».
«Ah!...
sì... Un grande amico della casa...».
«Egli
è là con Simone e le donne. Vi è anche la famiglia di Cana».
«Ho
visto Simone».
«Ebbene,
Giuseppe da questo suo amico e amico di uno del Tempio, che è
divenuto suo parente per donne, ha saputo che è decisa la tua
cattura e ha detto a Pietro: "Io l'ho sempre combattuto. Ma
per amore. E finché Egli era ancora forte. Ma, ora che diventa come
un bambino in preda dei suoi nemici, io, parente che sempre l'ho
amato, sono con Lui. É dovere di sangue e di cuore"».
Gesù
sorride, riavendo per un attimo il viso sereno delle ore di gioia.
«E
Giuseppe ha detto a Pietro: "I farisei di Galilea sono aspidi
come tutti i farisei. Ma la Galilea non è tutta farisei. E qui sono
molti galilei che lo amano. Andiamo a dire loro di radunarsi per
difenderlo. Non abbiamo che i coltelli. Ma anche i bastoni sono armi,
se ben maneggiati. E, se non vengono le milizie romane, avremo
presto ragione di quella canaglia vile che sono gli sgherri del
Tempio". E Pietro è andato con lui. Io intanto andavo da
Lazzaro. Con Nicodemo. Avevamo deciso di persuadere Lazzaro a venire
con noi e ad aprire la sua casa per stare con Te. Ci ha detto: "Devo
ubbidire a Gesù e stare qui. A soffrire il doppio...". É
vero?».
«È
vero. Io gli ho dato questo ordine».
«Però
mi ha dato le spade. Sono sue. Una per me, una per Pietro. Anche Cusa
voleva darmi le spade. Ma... Che sono due pezzi di ferro contro tutto
un mondo? Cusa non può credere che sia vero quanto Tu dici. Giura
che egli non sa nulla e che nella corte non c'è che il pensiero di
godere della festa... Un bagordo come al solito. Tanto che egli ha
detto a Giovanna di ritirarsi in una loro casa in Giudea. Ma Giovanna
vuole rimanere qui. Chiusa nel suo palazzo, come se non ci
fosse. Ma non si allontana. É con lei Plautina, Anna, Niche e due
dame romane della casa di Claudia. Piangono, pregano e fanno
pregare gli innocenti. Ma non è tempo di preghiere. Di sangue è
tempo. Io sento tornare vivo lo "zelote" e ardo di uccidere
per fare vendetta!...».
«Simone!
Se volevo farti morire maledetto, non ti levavo alla desolazione...».
Gesù
è severissimo.
«Oh!
perdono, Maestro... Perdono! Sono come un ebbro, un delirante».
«E
Mannaen che dice?».
«Mannaen
dice che non può essere vero e che, se lo fosse, egli ti seguirà
anche nel supplizio».
«Come
tutti fidate di voi!... Quanta superbia è nell'uomo! E Nicodemo e
Giuseppe? Che sanno?».
«Nulla
più di me. Tempo fa in una assemblea Giuseppe si prese col Sinedrio,
perché li chiamò assassini volendo uccidere un innocente, e disse:
"Tutto è illegale qui dentro. Lui dice bene. L'abbominio è
nella casa del Signore. Questo altare va distrutto perché
profanato". Non lo lapidarono perché è lui. Ma da allora lo
hanno tenuto all'oscuro di tutto. Solo Gamaliele e Nicodemo gli si
sono conservati amici. Ma il primo non parla. E il secondo... Né lui
né Giuseppe furono più chiamati al Sinedrio per le decisioni più
vere. Esso si aduna illegalmente qua e là, ad ore diverse, per paura
di loro e di Roma. Ah! dimenticavo!... I pastori. Anche loro sono coi
galilei. Ma pochi siamo! Se Lazzaro avesse voluto ascoltarci e
venire dal Pretore! Ma non ci ascoltò... Questo abbiamo fatto...
Molto... e nulla... e io sono tanto accasciato che vorrei andare per
la campagna urlando come uno sciacallo, abbrutendomi in
un'orgia, uccidendo come un brigante, pur di levarmi questo pensiero
che è "tutto inutile", come ha detto Lazzaro, come ha
detto Giuseppe e Cusa e Mannaen e Gamaliele...».
Lo
Zelote non sembra più lui...
«Che
ha detto il rabbi?».
«Ha
detto: "Io non so esattamente i propositi di Caifa. Ma vi dico
che solo per il Cristo è profetizzato quanto dite. E siccome io
non ammetto in questo profeta il Cristo, non trovo ci sia da
agitarsi. Verrà ucciso un uomo, buono, amico di Dio. Ma di quanti
suoi simili ha bevuto il sangue Sionne?!". E poiché noi
insistevamo sulla tua divina Natura, ha ripetuto cocciuto: "Quando
vedrò il segno, crederò". Ed ha promesso di astenersi dal
votare la tua morte, e anzi, se sarà possibile, di persuadere gli
altri a non condannarti. Questo, non più. Non crede! Non crede! Se
si potesse giungere a domani... Ma Tu dici di no. Oh! che faremo
noi?!».
«Tu
andrai da Lazzaro e cercherai di portare con te quanti più puoi. Non
solo degli apostoli. Ma anche dei discepoli che troverai vaganti per
le vie della campagna. Cerca di vedere i pastori e da' loro questo
ordine. La casa di Betania è più che mai la casa di Betania, la
casa della buona ospitalità. Quelli che non hanno coraggio di
affrontare l'odio di tutto un popolo si rifugino là. Ad
attendere...».
«Ma
noi non ti lasceremo».
«Non
vi separate... Divisi, sareste un nulla. Uniti, sarete ancora una
forza. Simone, promettimi questo. Tu sei pacato, fedele, hai parola e
impero anche su Pietro. E hai un grande obbligo con Me. Te lo ricordo
per la prima volta, per importi l'ubbidienza. Guarda, siamo al
Cedron. Di lì sei salito a Me lebbroso e di lì sei partito mondato.
Per quello che ti ho dato, dammi. Dàllo all'Uomo ciò che Io ho dato
all'uomo. Ora il lebbroso sono Io...».
«Nooo!
Non lo dire!», gemono insieme i due discepoli.
«Così
è! Pietro, i fratelli miei saranno i più accasciati. Come un
delinquente si sentirà l'onesto mio Pietro e non avrà pace. E
i fratelli... Non avranno cuore di guardare la loro e la mia Madre...
Te li raccomando...».
«Ed
io, Signore, di chi sarò? A me non pensi?»
«O
mio fanciullo! Tu sei affidato al tuo amore. E tanto forte che ti
guiderà come una madre. Non ti do ordine né guida. Ti lascio sulle
acque dell'amore. Sono in te un fiume tanto calmo e profondo che non
mi mettono dubbio sul tuo domani. Simone, hai inteso?
Promettimi, promettimi!».
É
penoso vedere Gesù tanto angosciato... Riprende: «Prima che
vengano gli altri! Oh! grazie! Sii benedetto!».
Tutto
il gruppo si riunisce.
«Ora
dividiamoci. Io salgo in alto, a pregare. Con Me voglio Pietro,
Giovanni e Giacomo. Voi rimanete qui. E, se foste sopraffatti,
chiamate. E non temete. Non vi sarà torto un capello. Pregate per
Me. Deponete odio e paura. Non sarà che un attimo... e poi la
gioia sarà piena. Sorridete. Che Io abbia nel cuore i vostri
sorrisi. E ancora grazie di tutto, amici. Addio. Il Signore non
vi abbandoni...».
Gesù
si separa dagli apostoli e va avanti, mentre Pietro si fa dare da
Simone la torcia dopo che questo ha acceso con essa degli sterpi
resinosi, che bruciano scoppiettando sul limite dell'uliveto e
spandendo un odore di ginepro. Mi fa pena vedere il Taddeo che
guarda con uno sguardo talmente intenso e doloroso Gesù che
questo si volge e cerca chi lo ha guardato. Ma il Taddeo si nasconde
dietro a Bartolomeo e si morde le labbra per frenarsi. Gesù fa un
gesto con la mano, fra la benedizione e l'addio, e poi prosegue il
suo cammino.
La
luna, ormai ben alta, circonda della sua luce la sua alta figura e
pare renderla anche più alta, spiritualizzandola, facendone più
chiara la veste rossa e più pallido l'oro dei capelli. Dietro a Lui
affrettano il passo Pietro con la torcia e i due figli di Zebedeo.
Proseguono sino a raggiungere il limite della prima balza del rustico
anfiteatro dell'uliveto, a cui fa da entrata la piazzuola
irregolare e da gradinate le diverse balze che ascendono a scaglioni
di ulivi sul monte, poi Gesù dice:
«Fermatevi,
attendetemi qui, mentre Io prego. Ma non dormite. Potrei avere
bisogno di voi. E, ve lo chiedo per carità, pregate! Il vostro
Maestro è molto accasciato».
É
infatti di un accasciamento già profondo. Pare già aggravato
da un peso. Dove è più il virile Gesù che parlava alle folle,
bello, forte, dall'occhio dominatore, il pacato sorriso, la voce
sonora e bellissima? Pare già preso da un affanno. É come uno che
ha corso o che ha pianto. Ha una voce stanca e affannata. Triste,
triste, triste... Pietro risponde per tutti:
«Sta'
tranquillo, Maestro. Vigileremo e pregheremo. Non hai che chiamarci,
che verremo».
E
Gesù li lascia, mentre i tre si curvano a radunare foglie e sterpi
per fare un fuocherello che serva a tenerli desti e anche a
combattere la guazza che comincia a scendere abbondante. Cammina,
volgendo loro le spalle, da occidente a oriente, avendo perciò in
faccia la luce lunare. Vedo che un grande dolore fa ancor più
dilatato l'occhio, forse è un bistro di stanchezza che lo
allarga, forse è l'ombra dell'arco sopraccigliare. Non so. So che ha
l'occhio più aperto e incavato. Sale a testa china, solo ogni tanto
la alza con un sospiro, come facesse fatica e anelasse, e allora
gira il suo occhio tanto triste sul placido uliveto. Fa qualche metro
in salita, poi gira intorno ad uno scaglione, che rimane così fra
Lui e i tre lasciati più in basso. Lo scaglione, alto pochi
decimetri all'inizio, sale sempre più e dopo poco è alto più di
due metri, di modo che ripara completamente Gesù da ogni
sguardo più o meno discreto e amico.
Gesù
prosegue sino ad un grosso masso che ad un certo punto sbarra il
sentieruolo, forse messo a sostegno alla costa che in giù scoscende
più ripida e nuda sino ad una desolata macia, che precede le mura
oltre le quali è Gerusalemme, e in su continua a salire con
altri balzi e altri ulivi. Proprio sopra al grosso sasso si spenzola
un ulivo tutto nodoso e contorto. Pare un bizzarro punto
interrogativo messo dalla natura a chiedere qualche perché.
I
rami folti sulla cima danno risposta alla domanda del tronco, dicendo
ora di si col piegarsi verso terra, ora di no dimenandosi da destra a
manca, sotto un vento lieve che passa a ondate fra le fronde e che a
volte sa soltanto di terra, a volte di quell'odore amarognolo
dell'ulivo, alle volte di un misto profumo di rose e mughetti
che non si sa da dove possa venire.
Oltre
il sentieruolo, in basso, sono altri ulivi, ed uno, proprio sotto
al masso, fenduto da qualche fulmine eppure sopravvissuto, o
scosciato per non so che causa, ha del tronco iniziale fatto due
tronchi che salgono come le due aste di un grande V in stampatello, e
le due chiome si affacciano al di qua e al di là del masso, come
volessero vedere e velare nello stesso tempo, o farsi ad esso masso
una base di un grigio argento tutto pace.
Gesù
si ferma lì. Non guarda la città che appare là in basso, tutta
bianca nella luce lunare. Anzi le volge le spalle e prega a
braccia aperte a croce, col volto alzato verso il cielo. E non vedo
il volto suo perché è nell'ombra, avendo la luna quasi a
perpendicolo sul capo, è vero, ma anche la folta ramaglia dell'ulivo
fra Lui e la luna, che appena filtra fra foglia e foglia con
occhiellini ed aghi di luce in perpetuo movimento. Una lunga, ardente
preghiera.
Ogni
tanto ha un sospiro e qualche parola più netta. Non è un salmo, non
è il Pater. E una preghiera fatta dallo sgorgare del suo amore e del
suo bisogno. Un vero discorso fatto al Padre suo. Lo comprendo per le
poche parole che afferro:
«Tu
lo sai... Sono il tuo Figlio... Tutto, ma aiutami... L'ora è
venuta... Io non sono più della Terra. Cessa ogni bisogno di aiuto
al tuo Verbo... Fa' che l'Uomo ti soddisfi come Redentore come ti fu
ubbidiente la Parola... Ciò che Tu vuoi... Per loro ti chiedo
pietà... Li farò salvi? Questo ti chiedo. Voglio così: dal mondo
salvi, dalla carne, dal demonio... Posso chiedere ancora? É
giusta domanda, Padre mio. Non per Me. Per l'uomo, che è tua
creazione e che volle rendere fango anche la sua anima. Io getto
nel mio dolore e nel mio Sangue questo fango, perché torni
l'incorruttibile essenza dello spirito a Te gradito... Ed è
dovunque. Egli è il re questa sera. Nella reggia e nelle case.
Fra le milizie e nel Tempio... La città ne è colma, e domani sarà
un inferno...».
Gesù
si volge,si appoggia con la schiena al masso e incrocia le braccia.
Guarda Gerusalemme. Il viso di Gesù si fa sempre più mesto.
Mormora:
«Pare
di neve... ed è tutta un peccato. Anche in essa quanti ho guarito!
Quanto ho parlato!... Dove sono quelli che mi parevano fedeli?»...
Gesù
curva il capo e guarda fisso il terreno coperto di una erbetta
corta e lucida di guazza. Ma, per quanto abbia il capo chino,
comprendo che piange, perché delle gocce lucono nel cadere dal
volto al suolo.
Poi
alza il capo, disserra le braccia, le congiunge tenendole al
disopra del capo e agitandole così unite. Poi si incammina. Torna
verso i tre apostoli seduti intorno al loro fuocherello di sterpi. E
li trova mezzo addormentati.
Pietro
si è addossato ad un tronco con le spalle e, con le braccia
conserte sul petto, ciondola con la testa nelle prime caligini di un
robusto sonno.
Giacomo
è seduto, con il fratello, su un radicone che affiora e sul quale
hanno messo i mantelli per sentirne meno le gobbe, ma, nonostante
siano scomodi più di Pietro, sono anche loro sonnecchianti. Giacomo
ha abbandonato la testa sulla spalla di Giovanni e questo ha
piegato la sua su quella del fratello, come se il dormiveglia li
avesse immobilizzati in quella posa.
«Dormite?
Non avete saputo vegliare un'ora sola? Ed Io ho tanto bisogno del
vostro conforto e delle vostre preghiere!».
I
tre sobbalzano confusi. Si sfregano gli occhi. Mormorano una scusa,
accusando lo sforzo del digerire come causa prima di questo loro
sonnecchiare:
«É
il vino... il cibo... Ma ora passa. Un momento è stato. Non
avevamo voglia di parlare e questo ci ha portati al sonno. Ma
ora pregheremo a voce alta e non succederà più».
«Sì.
Pregate e vigilate. Anche per voi ne avete bisogno».
«Sì,
Maestro. Ti ubbidiremo».
Gesù
torna via. La luna che gli batte in volto, così forte nel suo
chiarore d'argento che rende sempre più pallida la veste rossa come
la velasse di una polvere bianco lucente, mi fa vedere il suo
volto sconfortato, addolorato, invecchiato.
Lo
sguardo è sempre dilatato, ma pare appannato. La bocca ha una piega
di stanchezza. Torna al suo masso ancor più lento e curvo. Si
inginocchia appoggiando le braccia al masso, che non è liscio ma a
mezza altezza ha come un seno, quasi fosse stato lavorato apposta
così, e su questo breve seno è nata una pianticina, che mi
pare di quei fioretti simili a piccoli gigli che ho visto anche in
Italia, dalle fogliette piccole, tonde ma dentellate agli orli e
polpute e i fiorellini minuti sugli esilissimi steli. Sembrano
piccoli fiocchi nevosi spruzzanti il grigio del masso e le
fogliette verde scuro. Gesù appoggia le mani lì presso e i
fiorellini gli vellicano la guancia, perché Egli appoggia il
capo sulle mani giunte e prega. Dopo un poco sente il fresco delle
piccole corolle, alza il capo. Le guarda. Le carezza. Parla loro:
«Voi
siete pure!... Voi mi date ristoro! C'erano anche nella grotticella
della Mamma questi fiorellini... e Lei li amava perché diceva:
"Quando ero piccina, diceva mio padre: 'Tu sei un giglio così
piccino e tutto pieno di rugiada celeste"'... La Mamma! Oh!
Mamma mia!».
Ha
uno scoppio di pianto. Col capo sulle mani congiunte, ricaduto
un poco sui calcagni, lo vedo e l'odo piangere, mentre le mani
stringono le dita e le tormentano l'una all'altra. Sento che dice:
«Anche
a Betlemme... e te li ho portati, Mamma. Ma questi, chi te li porterà
più?...».
Poi
riprende a pregare e a meditare. Deve essere ben triste la sua
meditazione, angosciosa più che triste, perché per sfuggirla
Egli si alza, va avanti e indietro mormorando parole che non afferro,
alzando il volto, abbassandolo, gestendo, passandosi sugli
occhi, sulle gote, sui capelli, le mani con mosse macchinali e
agitate, proprie di chi è in grande angoscia.
Dirlo
non è niente. Descriverlo è impossibile. Vederlo è andare nella
sua angoscia.
Gestisce
verso Gerusalemme. Poi torna ad alzare le braccia verso il cielo come
per invocare aiuto. Si leva il mantello come avesse caldo. Lo
guarda... Ma che vede? I suoi occhi non guardano altro che la sua
tortura, e tutto serve a questa tortura, ad aumentarla. Anche il
mantello tessuto dalla Madre. Lo bacia e dice:
«Perdono,
Mamma! Perdono!».
Pare
lo chieda alla stoffa filata e tessuta dall'amore di mamma... Se lo
rimette. É in uno strazio. Vuole pregare per superarlo. Ma con la
preghiera tornano i ricordi, le apprensioni, i dubbi, i
rimpianti... E una valanga di nomi... città... persone...
fatti... Non posso seguirlo perché è veloce e saltuario. È la sua
vita evangelica che gli sfila davanti... e gli riporta Giuda
traditore. É tanto l'affanno che urla, per vincerlo, il nome di
Pietro e Giovanni.
E
dice: «Ora verranno. Sono ben fedeli loro!».
Ma
"loro" non vengono. Chiama di nuovo. Pare terrorizzato come
vedesse chissà che. Fugge veloce verso il luogo dove è Pietro e i
due fratelli. E li trova più comodamente e pesantemente addormentati
intorno a poche bragie che, ormai morenti, hanno solo dei zig e zag
di rosso fra il grigio della cenere.
«Pietro!
Vi ho chiamati tre volte! Ma che fate? Dormite ancora? Ma non
sentite quanto soffro? Pregate. Che la carne non vinca, non vi vinca.
In nessuno. Se lo spirito è pronto, la carne è debole.
Aiutatemi...».
I
tre sono più lenti a svegliarsi. Ma infine lo fanno e, con occhi
imbambolati, si scusano. Si alzano, prima mettendosi seduti, poi
mettendosi proprio ritti.
«Ma
guarda!», mormora Pietro. «Non ci è mai accaduto! Deve essere
proprio stato quel vino. Era forte. E anche questo fresco. Ci si è
coperti per non sentirlo (infatti si erano coperti coi mantelli anche
sul capo) e non si è più visto il fuoco, non si è avuto più
freddo, ed ecco che il sonno è venuto. Dici che hai chiamato? Eppure
non mi pareva di dormire tanto forte... Su, Giovanni, cerchiamo dei
rametti, muoviamoci. Ci passerà. Sta' sicuro, Maestro, che ora
poi!... Resteremo in piedi...», e getta una manata di fogliette
secche sulle bragie, e soffia finché la fiamma risuscita, e la
alimenta con i rami di rovo portati da Giovanni, mentre Giacomo porta
un grosso ramo di ginepro, o simile pianta, che ha tagliato da un
macchione poco discosto, e lo unisce al resto.
La
fiamma si alza alta e gioconda illuminando il povero viso di
Gesù. Un viso veramente di una tristezza che non si può guardare
senza piangere. Ogni fulgore di quel volto è annullato in una
stanchezza mortale. Dice:
«Sono
in un'angoscia che mi uccide! Oh! sì! L'anima mia è triste sino a
morirne. Amici!... Amici! Amici!».
Ma,
se anche così non dicesse, il suo aspetto direbbe che Egli è
proprio come uno che muore, e nel più angoscioso e desolato
abbandono. Pare che ogni parola sia un singhiozzo... Ma i tre
sono troppo carichi di sonno. Sembrano quasi ebbri tanto vanno
traballando ad occhi semichiusi... Gesù li guarda... Non li
mortifica con rimproveri. Scuote il capo, sospira e torna via. Al
posto di prima. Prega di nuovo in piedi, con le braccia in croce. Poi
in ginocchio come prima, col volto curvo sui piccoli fiori. Pensa.
Tace... Poi si dà a gemere e singhiozzare forte, quasi prostrato
tanto è rilassato sui calcagni. Chiama il Padre. Sempre più
affannosamente...
«Oh!»,
dice. «É troppo amaro questo calice! Non posso! Non posso! É al di
sopra di quanto Io posso. Tutto ho potuto! Ma non questo...
Allontanalo, Padre, dal tuo Figlio! Pietà di Me!... Che ho fatto per
meritarlo?».
Poi
si riprende e dice: «Però, Padre mio, non ascoltare la mia
voce se essa chiede ciò che è contrario alla tua volontà. Non
ricordarti che ti sono Figlio, ma solo servo tuo. Non la mia, ma
la tua volontà sia fatta».
Rimane
così qualche tempo. Poi ha un grido soffocato e alza un viso
sconvolto. Un attimo solo, poi piomba al suolo, proprio volto a
terra, e resta così. Uno straccio d'uomo su cui preme tutto il
peccato del mondo, su cui si abbatte tutta la Giustizia del Padre, su
cui scende la tenebra, la cenere, il fiele, quella tremenda,
tremenda, tremendissima cosa che è l'abbandono di Dio mentre Satana
ci tortura... E l'asfissia dell'anima, è l'essere sepolti vivi
in questa carcere che è il mondo, quando non si può più sentire
che fra noi e Dio vi è un legame, è l'essere incatenati,
imbavagliati, lapidati dalle nostre preghiere stesse che ci ricadono
addosso irte di punte e sparse di fuoco, è il dare di cozzo contro
un Cielo chiuso in cui non penetrano né voce né sguardi della
nostra angoscia, è l'essere "orfani di Dio", è la pazzia,
l'agonia, il dubbio d'essersi sino allora ingannati, è la
persuasione di essere scacciati da Dio, di esser dannati.
E’
l'inferno!... Oh! lo so! e non posso, non posso vedere lo
spasimo del mio Cristo, e sapere che esso è un milione di volte più
atroce di quello che mi ha consumata lo scorso anno e che, quando mi
torna alla mente, mi sconvolge ancora... Gesù geme, fra rantoli e
sospiri proprio d'agonia:
«Niente!...
Niente!... Via!... La volontà del Padre! Quella! Quella sola!...
La tua volontà, Padre. La tua, non la mia... Inutile. Non ho che un
Signore: Iddio santissimo. Una legge: l'ubbidienza. Un amore: la
redenzione... No. Non ho più Madre. Non ho più vita. Non ho più
divinità. Non ho più missione. Inutilmente mi tenti, demonio, con
la Madre, la vita, la mia divinità, la mia missione. Ho per madre
l'Umanità e l'amo sino a morire per lei. La vita la rendo a Chi me
l'ha data e me la chiede, supremo Padrone di ogni vivente. La
divinità l'affermo essendo capace di questa espiazione. La missione
la compio con la mia morte. Nulla ho più. Fuorché fare la volontà
del Signore, mio Dio. Va' indietro, Satana! L'ho detto la prima e la
seconda volta. Lo ridico per la terza: "Padre, se è possibile
passi da Me questo calice. Ma però non la mia, la tua volontà
sia fatta". Va' indietro, Satana. Io sono di Dio».
Poi
non parla più altro che per dire fra gli ansiti:
«Dio!
Dio! Dio!».
Lo
chiama ad ogni battito di cuore, e pare che ad ogni battito il sangue
trabocchi. La stoffa tesa sulle spalle se ne imbibisce e torna
scura, nonostante il grande chiarore lunare che lo fascia tutto.
Pure
un chiarore più vivo si forma sul suo capo, sospeso a circa un metro
da Lui, un chiarore così vivo che anche il Prostrato lo vede
filtrare fra le onde dei capelli, già pesanti di sangue, e il
velo che il sangue fa agli occhi.
Alza
il capo... Splende la luna sul povero volto, e ancora più splende la
luce angelica simile a quella del diamante bianco azzurro della
stella Venere.
E
appare tutta la tremenda agonia nel sangue che trasuda dai pori. Le
ciglia, i capelli, i baffi, la barba sono aspersi e cospersi di
sangue. Sangue cola dalle tempie, sangue sgorga dalle vene del collo,
sangue gocciano le mani, e quando Egli tende le mani verso la
luce angelica e le ampie maniche scorrono in su, verso i gomiti,
appaiono tutti sudanti sangue gli avambracci di Cristo.
Nel
viso, solo le lacrime fanno due righe nette fra la maschera rossa. Si
torna a levare il mantello e si asciuga le mani, il volto, il collo,
gli avambracci. Ma il sudore continua.
Egli
si preme più e più volte la stoffa sul volto tenendola premuta con
le mani, ed ogni volta che cambia posto, sulla stoffa rosso scura
appaiono nette le impronte che, umide come sono, sembrano
essere nere. L'erba del suolo è rossa di sangue.
Gesù
pare prossimo a mancare. Si slaccia la veste al collo come si
sentisse soffocare. Si porta la mano al cuore e poi al capo e se
l'agita davanti al volto come per farsi vento, tenendo la bocca
dischiusa.
Si
trascina contro il masso, ma più verso lo scrimolo del balzo, e si
appoggia con la schiena ad esso, stando con le braccia pendenti lungo
il corpo come fosse già morto, la testa penzoloni sul petto. Non si
muove più. La luce angelica decresce piano piano. Poi viene come
assorbita nel chiarore lunare.
Gesù
riapre gli occhi. Alza a fatica il capo. Guarda. E’ solo. Ma è
meno angosciato. Allunga una mano. Tira a Sé il mantello,
lasciato abbandonato sull'erba, e torna ad asciugarsi il volto,
le mani, il collo, la barba, i capelli.
Prende
una larga foglia, nata proprio in riva al ciglio, tutta bagnata di
guazza, e con quella finisce di pulirsi, bagnandosi volto e mani e
poi asciugandosi da capo. E ripete, ripete con altre foglie,
finché ha cancellato le tracce del suo tremendo sudore. Solo la
veste, e specie sulle spalle e alle pieghe dei gomiti, al collo e
alla cintura, ai ginocchi, è macchiata. Se la guarda e scuote
il capo. Guarda anche il mantello. Ma lo vede troppo macchiato. Lo
piega e lo pone sul masso, là dove esso fa cuna, presso i fioretti.
Con
fatica, come per debolezza, si rigira mettendosi in ginocchio.
Prega appoggiando il capo sul mantello, su cui sono già le mani. Poi
si puntella al masso, si alza e, ancora lievemente barcollando, va
dai discepoli. Il suo viso è pallidissimo. Ma non è più turbato. E
un viso pieno di divina bellezza, pure essendo esangue e mesto oltre
il solito.
I
tre dormono saporitamente. Tutti avvolti nei mantelli, sdraiati
affatto, presso il fuoco spento, si sentono respirare profondamente
in un principio di sonoro russare.
Gesù
li chiama. Inutile. Deve chinarsi e scuotere generosamente
Pietro.
«Cosa
è? Chi mi arresta?», dice questo emergendo, sbalordito e
spaventato, dal suo mantello verde scuro.
«Nessuno.
Sono Io che ti chiamo».
«É
mattina?».
«No.
É quasi terminata la seconda vigilia».
Pietro
è tutto ingranchito. Gesù scuote Giovanni, che ha un grido di
terrore vedendo su di lui curvo un volto di fantasma tanto è
marmoreo.
«Oh!...
Mi parevi morto!».
Scuote
Giacomo, e questo, che crede che sia il fratello che lo chiama, dice:
«Hanno preso il Maestro?».
«Non
ancora, Giacomo», risponde Gesù. «Ma alzatevi ormai e
andiamo. Chi mi tradisce è vicino».
I
tre, ancora imbambolati, si alzano. Si guardano intorno... Ulivi,
luna, usignoli, venticello, pace... Null'altro. Seguono però Gesù
senza parlare. Anche gli altri otto sono più o meno addormentati
intorno al fuoco spento.
«Sorgete!
», tuona Gesù. «Mentre Satana viene, mostrate all'insonne e ai
suoi figli che i figli di Dio non dormono!».
«Sì,
Maestro».
«Dove
è, Maestro?».
«Gesù,
io...».
«Ma
che è stato?».
E
fra arruffate domande e risposte si rimettono i mantelli... Appena in
tempo per apparire in ordine alla sbirraglia capitanata da
Giuda, che irrompe nella quieta piazzuola illuminandola
violentemente con molte torce accese.
Sono
un'orda di banditi camuffati da soldati, facce da galera torte in
ghigni da demoni. Vi è anche qualche campione del Tempio. Gli
apostoli balzano tutti in un angolo.
Pietro
davanti, e dietro in gruppo gli altri. Gesù resta dove è. Giuda si
accosta sostenendo lo sguardo di Gesù, che è tornato il
lampeggiante sguardo dei suoi giorni migliori. E non abbassa il
volto. Anzi si fa vicino con un sorriso da iena e lo bacia sulla
guancia destra.
«Amico,
e che sei venuto a fare? Con un bacio mi tradisci?».
Giuda
curva per un attimo la testa, poi la rialza... Morto al rimprovero
come ad ogni invito al pentimento.
Gesù,
dopo le prime parole ancora dette con imponenza di Maestro, prende il
tono accorato di chi si rassegna ad una sventura.
La
sbirraglia, con un clamore di urla, viene avanti con funi e bastoni e
cerca di impadronirsi degli apostoli, oltre che di Cristo. Meno Giuda
Iscariota, si intende.
«Chi
cercate?», chiede Gesù calmo e solenne.
«Gesù
Nazareno».
«Sono
Io».
La
voce è un tuono. Davanti al mondo assassino e a quello innocente,
davanti alla natura e alle stelle, Gesù si rende questa
testimonianza, aperta, leale, sicura, direi che è lieto di potersela
dare. Ma, se avesse sprigionato un fulmine, non avrebbe potuto fare
di più. Come un fascio di spighe falciate, tutti cadono al suolo.
Restano in piedi solo Giuda, Gesù e gli apostoli, che davanti allo
spettacolo dei soldati abbattuti riprendono fiato, tanto che si
avvicinano a Gesù con delle minacce così esplicite per Giuda che
questo fa un balzo, appena in tempo per sfuggire al colpo maestro
della spada di Simone, e invano inseguito da pietre e bastoni,
lanciatigli dietro dagli apostoli non armati di spada, fugge oltre il
Cedron e si infosca nel nero di un viottolo.
«Alzatevi.
Chi cercate? Torno a chiedervi».
«Gesù
Nazareno».
«Ve
l'ho detto che sono Io», dice con dolcezza Gesù. Si, con dolcezza.
«Lasciate dunque liberi questi altri. Io vengo. Riponete le
spade e i bastoni. Non sono un ladrone. Stavo sempre fra voi. Perché
non mi avete preso allora? Ma questa è la vostra ora e quella di
Satana...».
Ma,
mentre parla, Pietro si accosta all'uomo che già tende le funi per
legare Gesù e mena un maldestro colpo di spada. Se l'avesse usata di
punta, lo sgozzava come un montone. Così non fa che staccargli quasi
l'orecchio, che resta penzoloni fra un gran gemere di sangue.
L'uomo
grida dicendosi morto. Vi è tumulto fra chi vuol venire avanti e chi
ha paura vedendo luccicare spade e pugnali.
«Riponete
quelle armi. Ve lo comando. Se volessi, avrei gli angeli del Padre a
difendermi. E tu, guarisci. Nell'anima per prima cosa, se puoi».
E,
prima di tendere le mani alle corde, tocca l'orecchio e lo rende
sano.
Gli
apostoli hanno urli scomposti... Sì. Mi spiace dirlo ma è così.
Chi dice una cosa, chi l'altra. Chi urla: «Ci hai traditi!», e chi:
«Ma è folle!», e chi dice: «E chi ti può credere?». Chi non
urla, fugge... E Gesù resta solo... Lui e gli sgherri... E
incomincia il cammino...
...GIOVEDì
SANTO...
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