Maria Valtorta
- L'Evangelo come mi è stato rivelato, vol. IX, cap. 594. - ed. CEV
Aprile
1947.
Martedì Santo
Lezioni
dal fico seccato.
Stanno
per rientrare in città, sempre per la stessa stradicciuola remota
presa la mattina avanti, quasi che Gesù non volesse essere
circondato dalla gente in attesa prima di essere nel Tempio, al quale
presto si accede entrando in città dalla porta del Gregge che è
vicina alla Probatica.
Ma
oggi molti dei settantadue lo attendono già al di là del Cedron,
prima del ponte, e non appena lo vedono apparire fra gli ulivi
verde-grigi, nella sua veste porpurea, gli vanno incontro. Si
riuniscono e procedono verso la città.
Pietro,
che guarda avanti, giù per la china, sempre in sospetto di veder
apparire qualche malintenzionato, vede fra il verde fresco delle
ultime pendici un ammasso di foglie vizze e pendenti che si spenzola
sull'acqua del Cedron. Le foglie accartocciate e morenti, qua e là
già macchiate come per ruggine, sono simili a quelle di una pianta
che le fiamme hanno essiccata. Ogni tanto la brezza ne stacca una e
la seppellisce nelle acque del torrente.
«Ma
quello è il fico di ieri! Il fico che Tu hai maledetto!», grida
Pietro, una mano puntata ad indicare la pianta seccata, la testa
volta indietro a parlare al Maestro.
Accorrono
tutti, meno Gesù che viene avanti col suo solito passo. Gli apostoli
narrano ai discepoli il precedente del fatto che vedono e tutti
insieme commentano guardando strabiliati Gesù. Hanno visto migliaia
di miracoli su uomini ed elementi. Ma questo li colpisce come molti
altri non lo hanno fatto.
Gesù,
che è sopraggiunto, sorride nell'osservare quei visi stupiti e
timorosi, e dice:
«E
che? Tanto vi fa meraviglia che per la mia parola sia seccato un
fico? Non mi avete visto forse risuscitare i morti, guarire i
lebbrosi, dar vista ai ciechi, moltiplicare i pani, calmare le
tempeste, spegnere il fuoco? E vi stupisce che un fico dissecchi?».
«Non
è per il fico. É che ieri era vegeto quando l'hai maledetto, e ora
è seccato. Guarda! Friabile come argilla disseccata. I suoi rami non
hanno più midollo. Guarda. Vanno in polvere», e Bartolomeo sfarina
fra le dita dei rami che ha con facilità spezzato.
«Non
hanno più midollo. Lo hai detto. Ed è la morte quando non c’è
più midollo, sia in una pianta, che in una nazione, che in una
religione, ma c'è soltanto dura corteccia e inutile fogliame:
ferocia ed ipocrita esteriorità. Il midollo, bianco, interno,
pieno di linfa, corrisponde alla santità, alla spiritualità. La
corteccia dura e il fogliame inutile, all'umanità priva di vita
spirituale e giusta. Guai a quelle religioni che divengono umane
perché i loro sacerdoti e fedeli non hanno più vitale lo
spirito. Guai a quelle nazioni i cui capi sono solo ferocia e
risuonante clamore privo di idee fruttifere! Guai agli uomini in cui
manca la vita dello spirito!».
«Però,
se Tu avessi a dire questo ai grandi d'Israele, ancorché il tuo
parlare sia giusto, non saresti sapiente. ((G Da che pulpito arriva
la predica!!!)) Non ti lusingare perché essi ti hanno finora
lasciato parlare. Tu stesso lo dici che non è per conversione di
cuore, ma per calcolo. Sappi allora Tu pure calcolare il valore e le
conseguenze delle tue parole. Perché c'è anche la sapienza del
mondo, oltre che la sapienza dello spirito. E occorre saperla usare a
nostro vantaggio. Perché, infine, per ora si è nel mondo, non già
nel Regno di Dio», dice l'Iscariota senza acredine ma in tono
dottorale.
«Il
vero sapiente è colui che sa vedere le cose senza che le ombre della
propria sensualità e le riflessioni del calcolo le alterino. Io dirò
sempre la verità di ciò che vedo».
«Ma
insomma questo fico è morto perché sei stato Tu a maledirlo, o è
un... caso... un segno... non so?», chiede Filippo.
«É
tutto ciò che tu dici. Ma ciò che Io ho fatto voi pure potrete
fare, se giungerete ad avere la fede perfetta. Abbiatela nel Signore
altissimo. E quando l'avrete, in verità vi dico che potrete questo e
ancor più. In verità vi dico che, se uno giungerà ad avere la
fiducia perfetta nella forza della preghiera e nella bontà del
Signore, potrà dire a questo monte: "Spostati di qua e gettati
in mare", e se dicendolo non esiterà nel suo cuore, ma crederà
che quanto egli ordina si possa avverare, quanto ha detto si
avvererà».
«E
sembreremo dei maghi e saremo lapidati, come è detto per chi
esercita magia. Sarebbe un miracolo ben stolto, e a nostro danno!»,
dice l'Iscariota crollando il capo.
«Stolto
tu sei, che non capisci la parabola!», gli rimbecca l'altro Giuda.
Gesù
non parla a Giuda. Parla a tutti:
«Io
vi dico, ed è vecchia lezione che ripeto in quest'ora: qualunque
cosa chiederete con la preghiera, abbiate fede di ottenerla e
l'avrete. Ma se prima di pregare avete qualcosa contro
qualcuno, prima perdonate e fate pace per aver amico il Padre
vostro che è nei Cieli, che tanto, tanto vi perdona e benefica,
dalla mattina alla sera e dal tramonto all'aurora».
I
quesiti sul tributo a Cesare e sulla risurrezione.
Entrano
nel Tempio. I soldati dell'Antonia li osservano passare. Vanno ad
adorare il Signore, poi tornano nel cortile dove i rabbi insegnano.
Subito verso Gesù, prima ancora che la gente accorra e si affolli
intorno a Lui, si avvicinano dei saforim, dei dottori d'Israele e
degli erodiani, e con bugiardo ossequio, dopo averlo salutato, gli
dicono:
«Maestro,
noi sappiamo che Tu sei sapiente e veritiero, e insegni la via di Dio
senza tener conto di cosa o persona alcuna, fuorché della verità e
giustizia, e poco ti curi del giudizio degli altri su Te, ma soltanto
di condurre gli uomini al Bene. Dicci allora: è lecito pagare
il tributo a Cesare, oppure non è lecito farlo? Che te ne pare?».
Gesù
li guarda con uno di quei suoi sguardi di una penetrante e solenne
perspicacia, e risponde:
«Perché
mi tentate ipocritamente? Eppure alcuno fra voi sa che Io non vengo
ingannato con ipocriti onori! Ma mostratemi una moneta, di quelle
usate per il tributo».
Gli
mostrano una moneta. La osserva nel retto e nel verso e, tenendola
appoggiata sul palmo della sinistra, vi batte sopra l'indice della
destra dicendo:
«Di
chi è quest'immagine e che dice questa scrittura?».
«Di
Cesare è l'immagine, e l'iscrizione porta il suo nome. Il nome di
Caio Tiberio Cesare, che è ora imperatore di Roma».
«E
allora rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio date quel che è
di Dio», e volge loro le spalle dopo aver reso il denaro a chi
glielo aveva dato.
Ascolta
questo e quello dei molti pellegrini che lo interrogano, conforta,
assolve, guarisce. Passano le ore.
Esce
dal Tempio per andare forse fuori porta, a prendere il cibo che gli
portano i servi di Lazzaro incaricati a questo.
Rientra
nel Tempio che è pomeriggio. Instancabile. Grazia e sapienza
fluiscono dalle sue mani posate sugli infermi, dalle sue labbra in
singoli consigli dati ai molti che lo avvicinano. Sembra che voglia
tutti consolare, tutti guarire, prima di non poterlo più fare.
È già
quasi il tramonto e gli apostoli, stanchi, stanno seduti per terra
sotto il portico, sbalorditi da quel continuo rimuoversi di folla che
sono i cortili del Tempio nell'imminenza pasquale, quando
all'Instancabile si avvicinano dei ricchi, certo ricchi a giudicare
dalle vesti pompose.
Matteo,
che sonnecchia con un occhio solo, si alza scuotendo gli altri. Dice:
«Vanno dal Maestro dei sadducei. Non lasciamolo solo, che non lo
offendano o cerchino di nuocergli e di schernirlo ancora».
Si
alzano tutti raggiungendo il Maestro, che circondano subito. Credo
intuire che ci sono state rappresaglie nell'andare o tornare al
Tempio a sesta.
I
sadducei, che ossequiano Gesù con inchini persino esagerati, gli
dicono: «Maestro, hai risposto così sapientemente agli erodiani che
ci è venuto desiderio di avere noi pure un raggio della tua luce.
Senti. Mosè ha detto: "Se uno muore senza figli, il suo
fratello sposi la vedova, dando discendenza al fratello". Ora
c'erano fra noi sette fratelli. Il primo, presa in moglie una
vergine, morì senza lasciar prole e perciò lasciò la moglie al
fratello. Anche il secondo morì senza lasciar prole, e così il
terzo che sposò la vedova dei due che lo precederono, e così
sempre, sino al settimo. In ultimo, dopo aver sposato tutti i sette
fratelli, morì la donna. Di' a noi: alla risurrezione dei corpi, se
è pur vero che gli uomini risorgono e che a noi sopravviva l'anima e
si ricongiunga al corpo all'ultimo giorno riformando i viventi, quale
dei sette fratelli avrà la donna, posto che l'ebbero sulla Terra
tutti e sette?».
«Voi
sbagliate. Non sapete comprendere né le Scritture né la potenza di
Dio. Molto diversa sarà l'altra vita da questa, e nel Regno
eterno non saranno le necessità della carne come in questo. Perché,
in verità, dopo il Giudizio finale la carne risorgerà e si
riunirà all'anima immortale riformando un tutto, vivo come e meglio
che non sia viva la mia e la vostra persona ora, ma non più soggetto
alle leggi e soprattutto agli stimoli e abusi che vigono ora. Nella
risurrezione, gli uomini e le donne non si ammoglieranno né si
mariteranno, ma saranno simili agli angeli di Dio in Cielo, i quali
non si ammogliano né si maritano, pur vivendo nell'amore perfetto
che è quello divino e spirituale. In quanto poi alla
risurrezione dei morti, non avete letto come Dio dal roveto parlò a
Mosè? Che disse l'Altissimo allora? "Io sono il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Non disse:
"Io fui", facendo capire che Abramo, Isacco e
Giacobbe erano stati ma non erano più. Disse: "Io
sono". Perché Abramo, Isacco e
Giacobbe sono. Immortali. Come tutti gli uomini nella
parte immortale, sino a che i secoli durano, e poi, anche con la
carne risorta per l'eternità. Sono, come lo è Mosè, i
profeti, i giusti, come sventuratamente è Caino e sono quelli
del diluvio, e i sodomiti, e tutti coloro morti in colpa mortale. Dio
non è il Dio dei morti, ma dei vivi».
«Anche
Tu morrai e poi sarai vivente?», lo tentano. Sono già stanchi di
essere miti. L'astio è tale che non sanno contenersi.
«Io
sono il Vivente e la mia Carne non conoscerà sfacimento. L'arca
ci fu levata e l'attuale sarà levata anche come simbolo. Il
Tabernacolo ci fu tolto e sarà distrutto. Ma il vero Tempio di
Dio non potrà essere levato e distrutto. Quando i suoi
avversari crederanno di averlo fatto, allora sarà l'ora che si
stabilirà nella vera Gerusalemme, in tutta la sua gloria. Addio».
E
si affretta verso il cortile degli Israeliti, perché le tube
d'argento chiamano al sacrificio della sera.
Mi
dice Gesù:
«Così
come ti ho fatto segnare la frase "al mio
calice" nella visione della madre di Giovanni e Giacomo
chiedente un posto per i suoi figli, così ti dico di segnare nella
visione di ieri il punto: "chi cadrà contro questa
pietra si sfracellerà". Nelle traduzioni è sempre usato
"sopra". Ho detto contro e non sopra.
Ed
è profezia contro i nemici della mia Chiesa. Coloro che
l'avversano, avventandosi contro ad Essa, perché Essa è la Pietra
angolare, saranno sfracellati. La storia della Terra, da venti
secoli, conferma il mio detto. I persecutori della Chiesa si
sfracellano avventandosi sulla Pietra angolare. Però anche,
e lo tengano presente anche quelli che per essere della Chiesa
si credono salvi dai castighi divini, colui sul quale cadrà il
peso della condanna del Capo e Sposo di questa mia Sposa, di questo
mio Corpo mistico, colui sarà stritolato.
E
prevenendo ad una obbiezione dei sempre viventi scribi e sadducei,
malevoli ai servi miei, Io dico: se in queste ultime visioni
risultano frasi che non sono nei Vangeli, quali queste della
fine della visione di oggi e del punto in cui Io parlo sul fico
seccato e altri ancora, ricordino costoro che gli evangelisti
erano sempre di quel popolo, e vivevano in tempi nei quali
ogni urto troppo vivo poteva avere ripercussioni violente e nocive ai
neofiti. Rileggano gli atti apostolici e vedranno che non era
placida la fusione di tanti pensieri diversi, e che se a vicenda
si ammirarono, riconoscendo gli uni agli altri i meriti, non
mancarono fra loro i dissensi, perché vari sono i pensieri
degli uomini e sempre imperfetti.
E
ad evitare più profonde fratture fra l'uno e l'altro
pensiero, illuminati dallo Spirito Santo, gli evangelisti
omisero volutamente dai loro scritti qualche frase che
avrebbe scosso le eccessive suscettibilità degli ebrei e
scandalizzato i gentili, che avevano bisogno di credere perfetti gli
ebrei, nucleo dal quale venne la Chiesa , per non allontanarsene
dicendo: "Sono simili a noi".
Conoscere
le persecuzioni di Cristo, si. Ma le malattie spirituali del popolo
di Israele ormai corrotto, specie nelle classi più alte, no. Non era
bene. E più che poterono velarono.Osservino come i Vangeli si
fanno sempre più espliciti, sino al limpido Vangelo del mio
Giovanni, più furono scritti in epoche lontane dalla mia Ascensione
al Padre mio. Solo Giovanni riporta interamente anche le
macchie più dolorose dello stesso nucleo apostolico, chiamando
apertamente "ladro" Giuda, e riferisce integralmente
le bassezze dei giudei (cap. 60 - finta volontà di farmi
re, le dispute al Tempio, l'abbandono di molti dopo il discorso sul
Pane del Cielo, l'incredulità di Tommaso). Ultimo
sopravvissuto, vissuto sino a vedere già forte la Chiesa , alza i
veli che gli altri non avevano osato alzare.
Ma
ora lo Spirito di Dio vuole conosciute anche queste parole. E ne
benedicano il Signore, perché sono tante luci e tante guide per i
giusti di cuore».
.....martedì Santo.....
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