martedì 3 aprile 2012

Per seguire meglio Gesu' verso la Sua Passione

<< LE VENTIQUATTRO ORE DELLA

PASSIONE DI NSGC >>

Scritte dalla Serva di Dio Luisa Piccarreta la PFDV

con i brani corrispondenti nei Volumi del

Libro di Cielo

1° Ora della Passione (Dalle 5 alle 6 del pomeriggio)

Giovedì Santo =

Gesù si congeda dalla sua Madre:

(dal Vol. 5°, 3-10-1903) Mentre stavo pensando all’ora della Passione, quando Gesù si licenziò da sua Madre per andare alla morte e si benedissero a vicenda, stavo offrendo quest’ora per riparare per quelli che non benedicono in ogni cosa il Signore, anzi lo offendono, per impetrare tutte quelle benedizioni che ci sono necessarie per conservarci in grazia di Dio e per riempire il vuoto della gloria di Dio, come se tutte le creature lo benedicessero.

Mentre ciò facevo, me lo sono sentito muovere nel mio interno, e diceva:

“Figlia mia, nell’atto di benedire mia Madre intesi pure benedire ciascuna creatura in particolare ed in genere, di modo che tutto sta benedetto da Me: i pensieri, le parole, i palpiti, i passi, i movimenti fatti per Me, tutto, tutto sta avvalorato con la mia benedizione. Anzi, ti dico che tutto ciò che di bene fanno le creature, tutto fu fatto dalla mia Umanità, per fare che tutto l’operato delle creature fosse prima divinizzato da Me. Oltre a ciò, la mia vita continua ancora reale e vera nel mondo, non solo nel Santissimo Sacramento, ma nelle anime che si trovano in Grazia mia, ed essendo molto ristretta la capacità della creatura, non potendo afferrare una sola tutto ciò che Io feci, faccio in modo che in un’anima continui la mia riparazione, in un’altra la lode, in un’altra il ringraziamento, in qualche altra lo zelo per la salute delle anime, in un’altra le mie sofferenze, e così di tutto il resto; a seconda che mi corrispondono così sviluppo la mia vita in loro. Quindi, devi pensare in quali strettezze e pene mi mettono, mentre Io voglio operare in loro e loro non mi danno retta”.

(Vol. 11°, 9-5-1913) Mentre pregavo stavo pensando a quel punto, quando Gesù si licenzia della sua Madre SS. per andare a soffrire la sua Passione, e dicevo tra me: “Come è possibile che Gesù potesse separarsi dalla cara Mamma e Lei da Gesù?”

E il benedetto Gesù mi ha detto: “Figlia mia, certo che non poteva esserci separazione tra Me e la mia dolce Mamma. La separazione fu solo apparentemente. Io e Lei eravamo fusi insieme, ed era tale e tanta la fusione, che Io restai con Lei e Lei venne con Me; sicché si può dire che ci fu una specie di bilocazione. Ciò succede anche alle anime, quando sono unite veramente con Me; e se pregando fanno entrare nelle loro anime come vita la preghiera, succede una specie di fusione o di bilocazione: Io, dovunque mi trovo, porto loro con Me ed Io resto con loro.

Figlia mia, tu non puoi comprendere bene ciò che fu la mia diletta Mamma per Me. Io, venendo in terra, non potevo stare senza Cielo, e il mio Cielo fu la mia Mamma. Tra Me e Lei passava tale elettricità, che neppure un pensiero sfuggiva alla Madre mia che non lo attingesse dalla mia mente; e questo attingere da Me la parola, la volontà, il desiderio, l’azione e il passo, insomma, tutto, formava in questo Cielo il sole, le stelle, la luna e tutti i godimenti possibili che può darmi la creatura e che lei stessa può godere. Oh, come mi deliziavo in questo Cielo! Oh, come mi sentivo rinfrancato e rifatto di tutto! Anche i baci che mi dava la mia Mamma mi racchiudevano il bacio di tutta l’umanità e mi restituivano il bacio di tutte le creature. Dovunque me la sentivo, la mia dolce Mamma. Me la sentivo nel respiro e, se era affannoso, me lo sollevava. Me la sentivo nel Cuore e, se era amareggiato, me lo addolciva. Me la sentivo nel passo e, se era stanco, mi dava lena e riposo... E chi può dirti come me la sentivo nella Passione? Ad ogni flagello, ad ogni spina, ad ogni piaga, ad ogni goccia del mio Sangue, dovunque me la sentivo e mi faceva l’ufficio di vera Madre...[1] Ah, se le anime mi corrispondessero, se tutto attingessero da Me, quanti cieli e quante madri avrei sulla terra!”

(Vol. 12°, 28-11-1920) Stavo pensando quando il mio dolce Gesù, per dar principio alla sua dolorosa passione, volle andare dalla sua Mamma a chiederle la sua benedizione, e il benedetto Gesù mi ha detto:

“Figlia mia, quante cose dice questo mistero! Io volli andare a chiedere la benedizione alla mia cara Mamma, per darle l’occasione che anche Lei mi chiedesse la benedizione. Erano troppi i dolori che doveva sopportare ed era giusto che la mia benedizione la rafforzasse. È mio solito che, quando voglio dare, chiedo. E la mia Mamma mi comprese subito, tanto è vero che non mi benedisse se non quando mi chiese la mia benedizione, e dopo essere benedetta da Me mi benedisse Lei.

Ma questo non è tutto. Per creare l’Universo dissi un «Fiat» [2] e col solo «Fiat» riordinai ed abbellii cielo e terra. Nel creare l’uomo il mio Alito onnipotente gli infuse la vita. Nel dar principio alla mia passione, con la mia parola onnipotente e creatrice volli benedire la mia Mamma, ma non era solo Lei che benedivo; nella mia Mamma vedevo tutte le creature. Era Lei che teneva il primato su tutto ed in Lei benedivo tutti e ciascuno, anzi, benedivo ciascun pensiero, atto, parola, ecc., benedivo ciascuna cosa che doveva servire alla creatura. Come quando il mio «Fiat» onnipotente creò il sole, e questo sole, senza diminuire di luce né di calore, sta per tutti e per ciascun mortale facendo il suo corso, così la mia parola creatrice, benedicendo, restava in atto di benedire sempre, sempre, senza mai cessare di benedire, come mai cesserà di dare la sua luce il sole a tutte le creature.

Ma non è tutto ancora. Con la mia benedizione volli rinnovare i pregi della Creazione, volli chiamare il mio Celeste Padre a benedire, per comunicare alla creatura la potenza; volli benedirla a nome mio e dello Spirito Santo, per comunicarle la sapienza e l’amore, e così rinnovare la memoria, l’intelletto e la volontà della creatura, restituendole la sovranità di tutto. Sappi però, che nel dare voglio, e la mia cara Mamma comprese e subito mi benedisse, non solo per sé, ma a nome di tutti.

Oh, se tutti potessero vedere questa mia benedizione, la sentirebbero nell’acqua che bevono, nel fuoco che li riscalda, nel cibo che prendono, nel dolore che li affligge, nei gemiti della preghiera, nei rimorsi della colpa, nell’abbandono delle creature…, in tutto sentirebbero la mia parola creatrice che dice loro (ma sventuratamente non è sentita): «ti benedico in nome del Padre, di Me, Figlio, e dello Spirito Santo; ti benedico per aiutarti, ti benedico per difenderti, per perdonarti, per consolarti, ti benedico per farti santo». E la creatura farebbe eco alle mie benedizioni col benedirmi anch’essa in tutto. Questi sono gli effetti della mia benedizione, per cui la mia Chiesa, ammaestrata da Me, mi fa eco, e in quasi tutte le circostanze, nell’amministrazione dei sacramenti ed altro dà la sua benedizione”.

(Vol. 14°, 6-7-1922) Stavo pensando e accompagnando Gesù nell’ora della Passione, quando si portò dalla Divina Mamma per chiederle la santa benedizione, ed il mio dolcissimo Gesù nel mio interno mi ha detto:

“Figlia mia, prima della mia Passione volli benedire la mia Mamma ed essere da Lei benedetto; ma non fu la sola Mamma che benedissi, ma tutte le creature, non solo animate, ma anche inanimate. Vidi le creature deboli, coperte di piaghe, povere; il mio Cuore ebbe un palpito di dolore e di tenera compassione e dissi: Povera umanità, come sei decaduta! Voglio benedirti, affinché risorga dal tuo decadimento. La mia benedizione imprima in te il triplo suggello della potenza, della sapienza e dell’amore delle Tre Divine Persone, e ti restituisca la forza, ti sani e ti arricchisca. E per circondarti di difesa, benedico tutte le cose da Me create, affinché tu le riceva tutte benedette da Me. Ti benedico la luce, l’aria, l’acqua, il fuoco, il cibo, affinché restino come inabissati e coperti con le mie benedizioni. E siccome tu non la meritavi, volli perciò benedire la mia Mamma, servendomi di Lei come canale per far pervenire a te le mie benedizioni. E come mi ricambiò la Mamma mia con la sua benedizione, così voglio che le creature mi ricambino con le loro benedizioni; ma, ahimè, invece di ricambio di benedizioni, mi ricambiano con offese e maledizioni. Perciò, figlia, entra nel mio Volere e portandoti sulle ali di tutte le cose create, suggella tutte con le benedizioni che tutti mi dovrebbero dare e portarmi al mio dolente e tenero Cuore le benedizioni di tutti”.

Onde dopo aver fatto ciò, come per compensarmi, mi ha detto: “Figlia diletta mia, ti benedico in modo speciale, ti benedico il cuore, la mente, il moto, la parola, il respiro, tutto, e tutta ti benedico”.

2° Ora (Dalle 6 alle 7)

Gesù si avvia al Cenacolo.

3° Ora (Dalle 7 alle 8)

L’ultima Cena legale:

Seguendo la 4° Ora della Passione di NSGC.

Il Giovedì Santo, giorno dell'Istituzione dell'Eucaristia, rimaniamo più uniti a Gesù, per cibare Lui in ogni nostro atto, come Lui ciba noi.

(Vol. 13°, 9-10-1921) Stavo pensando all’atto in cui il mio dolce Gesù faceva l’ultima cena coi suoi discepoli, e il mio amabile Gesù, nel mio interno, mi ha detto:

“Figlia mia, mentre cenavo coi miei discepoli, non erano solo loro che avevo intorno, ma tutta l’umana famiglia, uno per uno avevo [tutti] vicino a Me, conobbi tutti, li chiamai per nome; chiamai anche te, ti diedi il posto di onore tra Me e Giovanni e ti costituii piccola segretaria del mio Volere; e mentre dividevo l’agnello, porgendolo ai miei apostoli, lo davo a tutti e a ciascuno. Quell’agnello svenato, arrostito, fatto in pezzi, parlava di Me, era il simbolo della mia Vita e di come dovevo ridurmi per amore di tutti, ed Io volli darlo a tutti come cibo prelibato che rappresentava la mia Passione, perché tutto ciò che feci, dissi e soffrii, il mio amore lo convertiva in cibo dell’uomo. Ma sai tu perché chiamai tutti e diedi l’agnello a tutti? Perché anch’Io volevo il cibo da loro; ogni cosa che facessero volevo che fosse cibo per Me, volevo il cibo del loro amore, delle opere, delle parole, di tutto”.

Ed io: “Amor mio, come può essere che diventa cibo per Te il nostro operato?”

E Gesù: “Non è di solo pane che si può vivere, ma di ciò a cui la mia Volontà dà virtù da poter far vivere; e se il pane alimenta l’uomo è perché Io lo voglio. Ora, ciò che la creatura dispone con la sua volontà di formare del suo operato, quella forma prende. Se del suo operato vuole formare il cibo, mi forma il cibo; se amore, mi dà l’amore; se riparazione, mi forma la riparazione; e se nella sua volontà mi vuole offendere, col suo operato mi forma il coltello per ferirmi e forse anche per uccidermi”.

Poi ha soggiunto: “La volontà nell’uomo è quello che più rassomiglia al suo Creatore. Nella volontà umana ci ho messo parte della mia Immensità e della mia Potenza, e dandole il posto d’onore l’ho costituita regina di tutto l’uomo e depositrice di tutto il suo operato. Come le creature tengono le casse dove conservare le loro robe per tenerle custodite, così l’anima tiene la sua volontà per conservare e custodire tutto ciò che pensa, che dice e che opera, neppure un pensiero sperderà. Ciò che non può fare con l’occhio, con la bocca, con le opere, lo può fare con la volontà; in un istante può volere mille beni e mille mali; la volontà fa volare il pensiero al Cielo, nelle parti più lontane e fin negli abissi. Si può impedire che [la creatura] operi, che vegga, che parli, ma tutto ciò lo può fare nella volontà; ma tutto ciò che fa e vuole formano un atto e lo lasciano in deposito nel suo stesso volere. Oh, come la volontà si può estendere, quanti beni e quanti mali non può contenere! Perciò, tra tutto voglio il volere dell’uomo, perché se ho questo, ho tutto, la fortezza è vinta”.

4° Ora (Dalle 8 alle 9) La lavanda dei piedi e la Cena Eucaristica:

(Vol. 14°, 6-7-1922) (...) Mentre seguivo la Cena Eucaristica, il mio dolce Gesù si è mosso nel mio interno e con la punta del suo dito ha bussato forte nel mio interno, tanto che l’ho sentito con le mie orecchie, e ho detto tra me: che vorrà Gesù, che bussa? E Lui, chiamandomi, mi ha detto:

“Non bastava bussare per sentirmi, ma anche chiamarti per essere ascoltato. Senti, figlia mia, mentre istituivo la Cena Eucaristica chiamai tutti intorno a Me, guardai tutte le generazioni, dal primo all’ultimo uomo, per dare a tutti la mia Vita sacramentale, e non una volta, ma tante volte per quante volte ha bisogno del cibo corporale. Io volevo costituirmi come cibo dell’anima, ma mi trovai molto male, vedendo che questa mia Vita sacramentale restava circondata da disprezzi, da noncuranze e anche da morte spietata. Mi sentii male, provai tutte le strette delle morti della mia sacramentale Vita, così strazianti e ripetute. Guardai meglio, feci uso della potenza del mio Volere e chiamai intorno a Me le anime che sarebbero vissute nel mio Volere. Oh, come mi sentii felice! Mi sentii circondato da queste anime, che la potenza della mia Volontà teneva come inabissate e nelle quali come centro della loro vita c’era il mio Volere. Vidi in loro la mia immensità e mi trovai ben difeso da tutti, e a loro affidai la mia Vita sacramentale. La depositai in loro, affinché non solo ne avessero cura, ma mi ricambiassero per ogni ostia consacrata una vita loro. E questo succede come connaturale, perché la mia Vita sacramentale è animata dalla mia Volontà Eterna e la vita di queste anime ha come centro di vita il mio Volere, sicché quando si forma la mia Vita sacramentale, il mio Volere agente in Me agisce in loro, ed Io sento la loro vita nella mia Vita sacramentale; si moltiplicano con Me in ciascuna ostia, ed Io sento darmi vita per vita.

Oh, come esultai nel vedere te per prima, che in modo speciale chiamai a formare vita nel mio Volere! Feci il mio primo deposito di tutte le mie Vite sacramentali, ti affidai alla mia potenza e alla mia immensità nel Volere Supremo, affinché ti rendessero capace di ricevere questo deposito. E fin da allora tu eri a Me presente e ti costituii depositaria della mia Vita sacramentale, e in te tutte le altre anime che sarebbero vissute nel mio Volere. Ti diedi il primato su tutto, e con ragione, perché il mio Volere non è sottoposto a nessuno, e perfino sugli apostoli, sui sacerdoti, perché, se loro mi consacrano, ma non restano facendo vita insieme con Me (anzi, mi lasciano solo, obliato, non curandosi di Me), queste anime invece sarebbero state vita nella mia stessa vita, inseparabili da Me. Perciò ti amo tanto; è il mio stesso Volere che amo in te”.

L’AGONIA DEL GETSEMANI

(dagli scritti di Maria Valtorta)

(6-7-1944) “Vedi, anima mia, che avevo molta ragione di dire: «La conoscenza del mio tormento del Getsemani non sarebbe capita e diverrebbe scandalo»?”

(44,3) “Volta per volta ti ho svelato le mie tristezze. Le mie tristezze di uomo! Tutte le passioni dell’uomo si sono drizzate come serpi irritate, fischiando i loro diritti d’essere, ed Io le ho dovuto strozzare una per una, per essere libero di salire il mio Calvario. Ma anche le passioni buone possono divenire nemiche in alcune ore, quando con la loro voce fanno catena, e catena di durissimo, fortissimo…, odiatissimo acciaio, per impedire di compiere la Volontà di Dio.”

(44,3) “Ed ero solo. Solo! Solo! Terra e cielo non avevano più abitanti per me. Ero l’uomo carico dei peccati del mondo. Odiato perciò da Dio. Dovevo pagare per redimermi ed essere di nuovo amato. Ed ero solo. Cioè: ero con satana.

La prima parte dell’orazione era stata penosa, ma ancora potevo sentire lo sguardo di Dio e sperare nell’amore degli amici.

La seconda fu più penosa, perché Dio si ritirava e gli amici dormivano… Il sibilo di satana e la voce della vita: «Ti sacrifichi per nulla. Gli uomini non ti ameranno per il tuo sacrificio. Gli uomini non comprendono».

La terza… la terza fu la demenza, fu la disperazione, fu l’agonia, fu la morte. La morte dell’anima mia. Non è risorto soltanto il corpo mio. Anche la mia anima ha dovuto risorgere. Poiché conobbe la morte.

Non vi paia eresia. Cosa è la morte dello spirito? La separazione eterna da Dio. Ebbene: Io ero separato da Dio. Il mio spirito era morto. Noi conosciamo la morte dello spirito, senza averla meritata, per comprendere l’orrore della dannazione, che è tormento dei peccatori impenitenti… È l’orrore infernale. Siamo in balìa del demonio poiché siamo separati da Dio. La belva, Lucifero, viene sempre più vicino quanto più tutto, in Cielo e in terra, da noi si allontana.

Ero già stato tentato nel deserto. Una folata di tentazione, poiché allora avevo soltanto la debolezza del cibo materiale. Ora ero affamato di cibo spirituale e affamato di cibo morale e non c’era pane per il mio spirito e pane per il mio cuore. Non più Dio per lo spirito mio. Non più affetti per il cuore mio. Tutto torna per tormentarmi. Tutto. E l’anima sbalordita lotta sempre più debolmente… Non c’è che lui (satana). Si chiama al soccorso. Non risponde che lui… Si cerca uno sguardo di pietà… Non si trova che il suo…

Credo, spero, amo. Solo il subcosciente prega. Non dice: Dio. Non osa più pronunciare il Suo nome. Si sente troppo insozzato dalla vicinanza di satana.

Guarda: i tuoi Angeli, gli Angeli del Padre tuo sono assenti… Dove sono i suoi angeli? Dove è il suo sorriso? (Gesù risponde): Non ho più Madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Nulla ho più. Fuorché fare la Volontà del Signore mio Dio.

Vedi che ho ragione di dire che non sarebbe compresa e ammessa da quei piccoli cristiani che sono larve di cristiani?”

(48,23) “Perché piansi? Perché gridai? Perché? Perché ero l’Uomo. Non poteva annullarsi l’eterna unione che fa del Padre e del Figlio una sola cosa. Ma ero l’Uomo. E l’Uomo dovette essere santo per sua volontà e subire il supplizio redentivo…, subire il supplizio da uomo per redimere l’uomo: tutta l’umanità.”

(Dal “Poema dell’Uomo-Dio”, vol. IX, pag. 239)

“È la mia ora di passione. Per renderla più completa, il Padre mi ritira la luce man mano che si approssima. Fra poco non avrò che tenebre e la contemplazione di ciò che è tenebre: ossia tutti i peccati degli uomini (nel calice). Non puoi, non potete capire. Nessuno, meno chi sarà a ciò chiamato da Dio per speciale missione, comprenderà questa passione nella grande Passione… Ci sarò chi piangerà e soffrirà per le mie battiture, per le torture del Redentore, ma non si misurerà questa spirituale tortura che, credetelo voi che mi udite, sarà la più atroce. Perché l’uomo è materiale anche nell’amare e nel meditare!”

(pag. 247) “L’ora è venuta… Fa che l’uomo ti soddisfi come Redentore, come ti fu ubbidiente la Parola…”

(pag. 251) “Uno straccio d’uomo su cui preme tutto il peccato del mondo, su cui si abbatte tutta la giustizia del Padre, su cui scende la tenebra, la cenere, il fiele, quella tremenda, tremenda, tremenda cosa che è l’abbandono di Dio, mentre satana ci tortura. È l’asfissia dell’anima, è l’essere sepolti vivi in questo carcere che è il mondo quando non si può più sentire che tra noi e Dio vi è un legame, è l’essere incatenati, lapidati dalle nostre preghiere stesse che ci ricadono addosso irte di punte e sparse di fuoco, è dare di cozzo contro un cielo chiuso in cui non penetrano né voce né sguardi della nostra angoscia, è l’essere orfani di Dio, è la pazzia, l’agonia, il dubbio di essersi sino allora ingannati, è la persuasione di essere scacciati da Dio, di essere dannati! È l’inferno! Non ho più Divinità!”

(pag. 25) “Ho vinto la disperazione e satana, suo creatore, per servire Dio. Ed ho sudato sangue per essere fedele alla Volontà di Dio.”

(pag. 22, nota 5) Quest’Opera parla spesso di abbandono divino sperimentato da Gesù. I passi ammontano forse a un centinaio.

Quantunque il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, non abbandonassero di fatto la santissima Umanità di Gesù, Gesù in quanto uomo sperimentò nell’intimo e sensibilmente l’abbandono divino, si sentì abbandonato, soffrì come se fosse effettivamente abbandonato, provò la pena dovuta a chi vuole e merita l’abbandono divino. Satana… la più terribile tentazione, quella della disperazione.

(pag. 21) “Più l’ora dell’espiazione si avvicinava e più Io sentivo allontanarsi il Padre. Sempre più separato dal Padre, la mia Umanità si sentiva sempre meno sorretta dalla Divinità di Dio. E ne soffrivo in tutte le maniere. La separazione da Dio porta seco paura, attaccamento alla vita, languore, stanchezza, tedio. Quando è totale, porta disperazione.

Lo spirito sente la recisione da Dio, così come una carne viva sente la recisione di un arto. Non solo. Tutti mi hanno tradito, abbandonato. Anche il Padre, anche Dio non mi aiuta più. Nella sera del giovedì, Io solo so se avrei avuto bisogno del Padre!”

(pag. 25) [Satana] “mi presentò l’abbandono di Dio. Egli, il Padre non mi amava più. Gli facevo ribrezzo. Allora sentii l’amaro del fondo del calice. Il sapore della disperazione. Ho vinto la disperazione e l’ho vinta con le sole mie forze, perché ho voluto vincere. Con le sole mie forze d’uomo. Non ero più che l’uomo. E non ero più che un uomo, non più aiutato da Dio.”

(da “I Quaderni del 1943”, pag. 190)

“Il Figlio, per toccare l’apice del dolore, dovette provare la separazione dal Padre: nel Getsemani, sulla Croce. Fu il dolore portato ad altezze e asprezze infinite. La Madre, per toccare l’apice del dolore, dovette provare la separazione dal Figlio nei tre giorni della mia sepoltura… Ci voleva per completare quanto mancava alla mia Passione. Maria è Corredentrice.”

(da “La Passione di Gesù”, di Anna Caterina Emmerick,

con postille di Maria Valtorta)

(pag. 178) …Rientrare in qualche modo la sua Divinità in seno alla SS. Trinità, per rinchiudersi [Gesù]… nella sua pura, amante e innocente Umanità che, armata solo dell’amore che infiammava il suo Cuore d’uomo, si immolava per tutti i peccati del mondo…

(pag. 179) Così, abbandonato interamente alla sua sola Umanità…”

(pag. 187) E diceva questo… per far loro conoscere [ai tre apostoli] la lotta della sua natura umana contro la morte e rivelare la causa della sua debolezza.

(pag. 190) …Il debito del genere umano doveva essere pagato dall’unica natura umana, quella del Figlio di Dio… Nessun linguaggio può rendere lo spavento e il dolore che calarono sull’anima di Gesù alla vista di quelle terribili espiazioni; l’orrore di tale visione fu così grande che un sudore di sangue uscì dal suo corpo, mentre l’Umanità di Cristo era schiacciata sotto quella massa spaventosa di sofferenze.

(pag. 191) La Volontà divina di Cristo si ritirava sempre più nel Padre per lasciar pesare sulla sua Umanità tutte quelle sofferenze che la sua volontà umana pregava il Padre di far deviare da Lui.

(pag. 199) La sua volontà umana impegnava una sì terribile lotta contro la ripugnanza a soffrire tanto per una razza sì ingrata.


Seguiamo ancora

LE VENTIQUATTRO ORE DELLA PASSIONE DI NSGC

con gli Scritti del Libro di Cielo di Luisa Piccarreta:

5° Ora (Dalle 9 alle 10 della notte)

La prima ora di agonia nel Getsemani:

(Vol. 4°, 31-12-1902) Continuando a stare con timore, che potessi oppormi al Volere del mio adorabile Gesù, mi sentivo tutta oppressa ed angustiata e stavo pregando che mi liberasse, dicendo: “Signore, abbi pietà di me; non vedi il pericolo in cui mi trovo? Possibile che io, vilissimo vermicciuolo, ardisca tanto da sentirmi opposta al tuo Santo Volere? E poi, quale bene posso trovare e in quale precipizio piomberò se mi trovo disgiunta dalla tua Volontà?”

Mentre ciò dicevo, il benedetto Gesù si è mosso nel mio interno e con una luce che mi mandava pareva che mi dicesse: “Tu non comprendi mai nulla, questo stato è stato di vittima. Come ti hanno offerto vittima per Corato, tu accettasti. Ora, che cosa c’è di male in Corato? Non c’è forse la ribellione della creatura verso il Creatore, tra sacerdoti e secolari, tra partiti e partiti? Ora, il tuo stato di ribellione non voluto, il tuo timore, le tue pene, è stato espiatorio; e questo stato di espiazione Io lo soffrii nel Getsemani, quando giunsi a dire: «Se è possibile passi da Me questo calice, ma non la mia, ma la tua Volontà si faccia», mentre in tutto il corso della mia vita lo avevo tanto desiderato, fino a sentirmi consumare”.

(...) “Povera figlia, ti è assai duro questo? Hai incontrato la mia stessa sorte. Io ero sempre qual ero, uno con la Trinità Sacrosanta, e Ci amavamo di un amore eterno, indissolubile; eppure, coperto come vittima di tutte le iniquità degli uomini, il mio esterno era abominevole dinanzi alla Divinità, tanto che la giustizia divina non mi risparmiò in parte alcuna, rendendosi inesorabile, fino ad abbandonarmi. Tu sei sempre qual sei con Me e, siccome occupi lo stato di vittima, il tuo esterno comparisce innanzi alla divina giustizia coperto delle colpe altrui: ecco perché ti ho detto quelle parole; tu però quietati, ché ti amo sempre”.

(Vol. 9°, 25-11-1909) Trovandomi nel solito mio stato, stavo pensando all’agonia di Gesù nell’orto; e facendosi vedere appena il benedetto Gesù mi ha detto: “Figlia mia, gli uomini non fecero altro che lavorare la scorza della mia Umanità e l’Amore eterno mi lavorò tutto il di dentro, sicché nella mia agonia, non gli uomini, ma l’Amore eterno, l’Amore immenso, l’Amore incalcolabile, l’Amore nascosto mi aprì larghe ferite, mi trafisse con chiodi infuocati, mi coronò con spine ardenti, mi abbeverò con fiele bollente; sicché la mia povera Umanità, non potendo contenere tante specie di martiri in un medesimo tempo, [fece] sboccare fuori larghi rivi di sangue, si contorceva, e giunse a dire: «Padre, se è possibile, togli da Me questo calice, però non la mia, ma la tua Volontà sia fatta», ciò che non fece nel resto della Passione. Sicché tutto ciò che soffrii nel corso della Passione, lo soffrii tutto insieme nell’agonia, ma in modo più intenso, più doloroso, più intimo, perché l’amore mi penetrò fin nelle midolla delle ossa e nelle fibre più intime del Cuore, dove mai potevano giungere le creature, ma l’amore a tutto arriva, non c’è cosa che gli possa resistere. Onde il mio primo carnefice fu l’amore. Perciò nel corso della Passione non ci fu in Me neppure uno sguardo bieco verso di chi mi faceva da carnefice, perché avevo un carnefice più crudo, più attivo in Me, qual era l’amore, e dove i carnefici esterni non giungevano o qualche particella veniva risparmiata, l’amore riprendeva il suo lavoro e in nulla mi risparmiava. E così è in tutte le anime, il primo lavoro lo fa l’amore, e quando l’amore ha lavorato e l’ha riempito di sé, quello che si vede di bene all’esterno non è altro che lo sbocco del lavorio che l’amore ha fatto nell’interno.”

6° Ora (Dalle 10 alle 11 della notte)

La seconda ora di agonia nel Getsemani:

(Vol. 14°, 4-2-1922) “Figlia mia, voglio refrigerio alle mie fiamme, voglio sfogare il mio amore, ma il mio amore è respinto dalle creature. Tu devi sapere che Io, nel creare l’uomo, misi fuori, da dentro la mia Divinità, una quantità d’amore, che doveva servire come vita primaria delle creature, per arricchirle, per sostenerle, per fortificarle e per aiuto in tutti i loro bisogni, ma l’uomo respinge questo amore ed il mio amore va ramingo dacché fu creato l’uomo, e gira sempre, senza mai fermarsi. Respinto da uno, corre ad un altro per darsi, e come è respinto dà in singhiozzo di pianto. Sicché la noncorrispondenza forma il singhiozzo di pianto dell’Amore [3]. Onde, mentre il mio amore va ramingo e corre per darsi, se vede uno debole nella vita dell’anima, povero della mia grazia, dà in singhiozzo di pianto e gli dice: «Ahi, se non mi facessi andare ramingo e mi avessi dato alloggio nel tuo cuore, saresti stato forte e nulla ti mancherebbe!» Se vede un altro caduto nella colpa, dà in singhiozzo: «Ahi, se mi avessi dato entrata nel tuo cuore, non saresti caduto!» Per quell’altro che vede trascinato dalle passioni, infangato di terra, l’Amore piange e singhiozzando ripete: «Ahi, se avessi preso il mio amore, le passioni non avrebbero vita su di te, la terra non ti toccherebbe, il mio amore ti basterebbe per tutto!». Sicché in ogni male dell’uomo, piccolo oppure grande, lui ha un singhiozzo di pianto e continua ad andare ramingo per darsi all’uomo.

E quando nell’orto del Getsemani si presentarono tutti i peccati innanzi alla mia Umanità, ogni colpa aveva il singhiozzo del mio amore, e tutte le pene della mia passione, ogni colpo di flagello, ogni spina, ogni piaga, era accompagnata dal singhiozzo del mio amore. Perché se l’uomo avesse amato, nessun male poteva venire. La mancanza d’amore ha germogliato tutti i mali e anche le mie stesse pene.

(Vol. 14°, 8-4-1922) Trovandomi nel solito mio stato, stavo pensando al dolore che soffrì il mio dolce Gesù nell’orto del Getsemani, quando si presentarono innanzi alla sua santità tutte le nostre colpe, e Gesù, tutto afflitto, nel mio interno mi ha detto:

“Figlia mia, il mio dolore fu grande ed incomprensibile a mente creata, specie quando vidi l’intelligenza umana deformata, la mia bella immagine che feci riprodurre in lei, non più bella, ma brutta, orrida.

Io la dotai di volontà, intelletto e memoria. Nella prima rifulgeva il mio Celeste Padre, che come Atto primo comunicava la sua potenza, la sua santità, la sua altezza, per cui elevava la volontà umana, investendola della sua stessa santità, potenza e nobiltà, lasciandovi aperte tutte le correnti tra Lui e la volontà umana, affinché sempre più si arricchisse dei tesori della mia Divinità. Tra la volontà umana e la Divina non c’era né tuo né mio, ma tutto in comune, con reciproco accordo. Era immagine nostra, cosa nostra, sicché lei Ci adombrava; quindi la Vita nostra doveva essere la sua e perciò costituivo come atto primo la sua volontà libera, indipen-dente, come era, come atto primo, la Volontà del mio Celeste Padre. Ma questa volontà, quanto si è deturpata! Da libera si è resa schiava di vivissime passioni. Ah, è lei il principio di tutti i mali dell’uomo, non si riconosce più! Come è scesa dalla sua nobiltà! Fa schifo a guardarla.

Ora, come Atto secondo, vi concorsi Io, Figlio di Dio, dotandola d’intelletto, comunicandole la mia sapienza, la scienza di tutte le cose, affinché conoscendole potesse gustare e felicitarsi nel bene. Ma, ahimè, che sentina di vizi è l’intelligenza della creatura! Della scienza si è servita per disconoscere il suo Creatore. E poi, come Atto terzo, ci concorse lo Spirito Santo, dotandola di memoria, affinché, ricordandosi di tanti benefici, potesse stare in continue correnti d’amore, in continui rapporti. L’amore doveva coronarla, abbracciarla ed informare tutta la sua vita; ma come resta contristato l’Eterno Amore! Questa memoria si ricorda dei piaceri, delle ricchezze e fin di peccare, e la Trinità Sacrosanta viene messa fuori dai doni dati alla sua creatura. Il mio dolore fu indescrivibile nel vedere la deformità delle tre potenze dell’uomo. Avevamo formato la nostra reggia in lui, e lui Ci aveva cacciati fuori”.

7° Ora (Dalle 11 alla mezzanotte)

La terza ora di agonia nel Getsemani:

(Vol. 9°, 4-7-1910) “...Stavo pensando all’agonia di Nostro Signore, e il Signore mi disse:

“Figlia mia, volli soffrire in modo speciale l’agonia dell’orto, per dare aiuto a tutti i moribondi a ben morire. Vedi bene come si combina la mia agonia con l’agonia dei cristiani: tedi, tristezze, angosce, sudore di sangue. Sentivo la morte di tutti e di ciascuno, come se realmente morissi per ciascuno in particolare; quindi sentivo in Me i tedi, le tristezze, le angosce di ciascuno, e con le mie prestavo a tutti aiuto, conforto, speranza, per fare che come Io sentivo le loro morti in Me, così loro potessero avere grazia di morire tutti in Me, come in un solo fiato col mio fiato, e subito beatificarli con la mia Divinità.”

(Vol. 13°, 19-11-1921) Stavo facendo compagnia al mio Gesù agonizzante nell’orto di Getsemani, e per quanto mi era possibile lo compativo, lo stringevo forte al mio cuore, cercando di tergergli i sudori mortali, e il mio dolente Gesù, con voce fioca e spirante, mi ha detto:

“Figlia mia, dura e penosa fu la mia agonia nell’orto, forse più penosa di quella della croce, perché se questa fu compimento e trionfo su tutti, qui nell’orto fu principio, e i mali si sentono più prima che quando sono finiti; ma in questa agonia la pena più straziante fu quando mi si fecero innanzi uno per uno tutti i peccati. La mia Umanità comprese tutta l’enormità, e ogni delitto portava l’impronta «morte a un Dio», armato di spada per uccidermi. Innanzi alla Divinità la colpa mi compariva così orrida e più orribile della stessa morte; [nel] capire solo che significa peccato, Io mi sentivo morire e morivo davvero. Gridai al Padre e fu inesorabile; non ci fu uno almeno che mi desse un aiuto per non farmi morire. Gridai a tutte le creature che avessero pietà di Me, ma invano, sicché la mia Umanità lan-guiva e stavo per ricevere l’ultimo colpo della morte.

Ma sai tu chi impedì l’esecuzione e sostenne la mia Umanità a non morire? [La] prima fu la mia inseparabile Mamma. Lei, nel sentirmi chiedere aiuto, volò al mio fianco e mi sostenne, ed Io appoggiai il mio braccio destro su di Lei, la guardai quasi morente e trovai in Essa l’immensità della mia Volontà integra, senza mai essere stata rottura tra la Volontà mia e la sua. La mia Volontà è Vita e, siccome la Volontà del Padre era irremovibile e la morte mi veniva dalle creature, un’altra creatura che racchiudeva la Vita della mia Volontà mi dava la Vita: ed ecco la Mamma mia, che nel portento della mia Volontà mi concepì e mi fece nascere nel tempo, ora mi dà una seconda volta la vita per farmi compiere l’opera della Redenzione. Poi guardai a sinistra e trovai la piccola figlia del mio Volere; trovai te come prima, col seguito delle altre figlie della mia Volontà, e così come volli con Me la mia Mamma come primo anello della misericordia, per il quale dovevamo aprire le porte a tutte le creature e perciò volli poggiare la destra, volli te come primo anello di giustizia, per impedire che questa si sgravasse su tutte le creature come meritano; perciò volli poggiare la sinistra, affinché la sostenessi insieme con Me. Onde, con questi due appoggi [4] Io mi sentii ridare la vita e, come se nulla avessi sofferto, con passo fermo andai incontro ai nemici. E in tutte le pene che soffrii nella mia Passione, molte di esse capaci di darmi la morte, questi due appoggi non mi lasciavano mai e, quando mi vedevano pressoché a morire, con la mia Volontà che contenevano mi sostenevano e mi davano come tanti sorsi di vita.

Oh, i prodigi del mio Volere, chi mai può numerarli e calcolarne il valore? Perciò amo tanto chi vive del mio Volere, riconosco in lui il mio ritratto, i nobili miei lineamenti, sento il mio stesso alito, la mia voce, e se non lo amassi defrauderei Me stesso, sarei come un padre senza generazione, senza il nobile corteggio della sua corte e senza la corona dei suoi figli; e se non avessi la generazione, la corte, la corona, come potrei chiamarmi Re? Sicché il mio regno viene formato da quelli che vivono nella mia Volontà. Da questo regno scelgo la Madre, la Regina, i figli, i ministri, l’esercito, il popolo; Io sono tutto per loro e loro sono tutto per Me”.

(Vol. 14°, 20-7-1922) “...La mia Volontà Eterna impose alla mia Umanità che accettasse tante morti per quante creature dovevano avere vita alla luce del giorno, e la mia Umanità accettò con amore queste morti, tanto che il Volere Eterno fece tanti segni nella mia Umanità per quante morti doveva subire.

(Vol. 14°, 28-7-1922) “Vedi, figlia mia, Io subii doppie morti per ciascuna creatura, una d’amore e l’altra di pena, perché nel crearla la creai un complesso tutto d’amore, per cui non doveva uscire da essa altro che amore, tanto che il mio e il suo dovevano stare in continue correnti. Ma l’uomo non solo non mi amò, ma ingrato mi offese, ed Io dovevo rifare il mio Divin Padre di questa mancanza d’amore e dovetti accettare una morte d’amore per ciascuno ed un’altra di dolore per le offese”.

Ma mentre ciò diceva, vedevo il mio dolce Gesù tutto una fiamma, che lo consumava e gli dava morte per ciascuno, anzi, vedevo che ogni pensiero, parola, moto, opera, passo, ecc. erano tante fiamme che consumavano Gesù e lo vivificavano. Onde Gesù ha soggiunto: “Non vorresti tu la mia somiglianza? Non vorresti tu accettare le morti d’amore, come accettasti le morti di dolore?”

Ed io: “Ah, mio Gesù, io non so che mi sia successo; sento ancora gran ripugnanza per aver accettato quelle di dolore; come potrei accettare quelle d’amore, che mi sembrano più dure? Io tremo al solo pensarlo. La mia povera natura si annienta di più, si disfa. Aiutami, dammi la forza, che mi sento che non posso tirare più avanti”.

E Gesù, tutto bontà: “È deciso –ha soggiunto–. Povera figlia mia, corag-gio, non temere, né volerti turbare per la ripugnanza che senti; anzi, per rassicurarti ti dico che anche questa è una mia somiglianza. Devi sapere che anche la mia Umanità, per quanto santa, desiderosa al sommo di patire, sentiva questa ripugnanza; ma non era mia, erano tutte le ripugnanze che le creature sentivano nel fare il bene, nell’accettare le pene che meritavano, e dovevo subire questa pena che mi torturava non poco, per dare a loro l’inclinazione al bene e rendere loro più dolci le pene; tanto che nell’Orto gridai al Padre: «Se è possibile, passi da Me questo calice». Credi tu che fui Io? Ah, no, t’inganni. Io amavo il patire fino alla follia; amavo la morte per dar vita ai miei figli; era il grido di tutta quanta l’umana famiglia, che echeggiava nella mia Umanità, ed Io, gridando insieme con loro per dar loro forza, ripetei per ben tre volte: «Se è possibile, passi da Me questo calice». Io parlavo a nome di tutti, come se fossero cosa mia, ma mi sentivo schiacciare. Sicché la ripugnanza che senti non è tua; è l’eco della mia. Se fosse tua mi sarei ritirato. Perciò, figlia mia, volendo generare da Me un’altra mia immagine [5], voglio che accetti ed Io stesso voglio segnare nella tua volontà allargata e consumata nella Mia queste mie morti d’amore”.

(Vol. 14°, 2-8-1922) Trovandomi nel solito mio stato, mi vedevo tutta confusa e come separata dal mio dolce Gesù, tanto che nel venire gli ho detto: “Amor mio, come sono cambiate le cose per me! Prima mi sentivo tanto immedesimata con Te, che non avvertivo nessuna divisione tra me e Te, e nelle stesse pene che soffrivo Tu eri con me. Ora tutto al contrario; se soffro mi sento divisa da Te, e se ti vedo innanzi a me o dentro di me, è con l’aspetto di un giudice che mi condanna alla pena, alla morte, e non più prendi parte alle pene che Tu stesso mi dai. Eppure mi dici: elevati sempre più! Invece io discendo”.

E Gesù, spezzando il mio dire, mi ha detto: “Figlia mia, quanto t’inganni! Questo avviene perché tu hai accettato ed Io ho segnato le pene e le morti che Io subii per ciascuna creatura. Anche la mia Umanità si trovava in queste dolorose condizioni. Essa era inseparabile dalla mia Divinità, eppure, essendo la mia Divinità intangibile nelle pene, né capace di poter soffrire ombra di pena, la mia Umanità si trovava sola nel patire, e la mia Divinità era solo spettatrice delle pene e morti che Io subivo; anzi, mi era giudice inesorabile, che voleva il fio di ogni pena di ciascuna creatura. Oh, come tremava la mia Umanità! Restavo schiacciato innanzi a quella Luce e Maestà suprema, nel vedermi coperto delle colpe di tutti e delle pene e morti che ciascuno meritava. Fu la pena più grande della mia vita, che mentre ero una sola cosa con la Divinità ed inseparabile, nelle pene rimanevo solo e come appartato. Onde, se ti ho chiamata alla mia somiglianza, che meraviglia è che, mentre mi senti in te, mi veda spettatore delle tue pene che Io stesso ti infliggo, e ti senta come separata da Me? Eppure la tua pena non è altro che l’ombra della Mia. E come la mia Umanità non restò mai separata dalla Divinità, così ti assicuro che tu mai resti separata da Me. Sono gli effetti che provi, ma allora, più che mai, formo una sola cosa con te. Perciò, coraggio, fedeltà e non temere”.

(Vol. 14°, 3-10-1922) “...La mia stessa vita nascosta, le mie pene interne e tutto ciò che feci ebbero sempre almeno uno, due spettatori, e questo con ragione, per necessità e per ottenere lo scopo delle stesse mie pene. Quindi, il primo spettatore fu il mio Celeste Padre, al quale nulla poteva sfuggire, essendo Lui stesso Colui che mi infliggeva le pene; era attore e spettatore. Se mio Padre non avesse visto e non avesse saputo nulla, come avrei potuto soddisfarlo, dargli la gloria, piegarlo alla vista delle mie pene a misericordia per il genere umano? Ecco, lo scopo sarebbe andato fallito.

In secondo luogo, di tutte le mie pene della mia vita nascosta fu spetta-trice la mia Mamma, ed era necessario. Se Io ero venuto dal Cielo in terra per patire, non per Me, ma per il bene altrui, dovevo avere almeno una creatura su cui dovevo poggiare quel bene che contenevano le mie pene e quindi muovere la mia cara Mamma a ringraziarmi, a lodarmi, ad amar-mi, a benedirmi, e farle ammirare l’eccesso della mia bontà. Tanto che Lei, presa, rapita, commossa alla vista delle mie pene, mi pregava che in vista del gran bene che le portavano le mie pene, non la facessi esente d’immedesimarla con le mie stesse pene per soffrirle, per darmi il ricambio ed essere mia perfetta imitatrice. Se la mia Mamma nulla avesse visto, non avrei avuto la mia prima imitatrice, nessun grazie, nessuna lode. Le mie pene, il bene che contenevano, sarebbero rimasti senza effetto, perché non conoscendoli nessuno non avrei potuto fare il primo appoggio; sicché lo scopo del gran bene che doveva ricevere la creatura sarebbe andato perduto. Vedi quanto era necessario che almeno una sola fosse a giorno delle mie pene?

(Vol. 15°, 12-3-1923) Mi sentivo morire di pena per la privazione del mio dolce Gesù e, se viene, è come lampo che sfugge; onde non potendone più e avendo di me compassione, è uscito dal mio interno, ed io, appena visto, gli ho detto: “Amor mio, che pena, mi sento morire senza di Te, ma morire senza morire, che è la più dura delle morti. Io non so come la bontà del tuo Cuore può sopportare vedermi, solo per causa tua, in stato di morte continua”.

E Gesù: “Figlia mia, coraggio, non ti abbattere troppo; non sei sola nel soffrire questa pena, ma anch’Io la soffrii, come pure la mia cara Mamma, oh, quanto più dura della tua! Quante volte la mia gemente Umanità, sebbene fosse inseparabile dalla Divinità, pure per dare luogo all’espia-zione, alle pene, essendo queste intangibili per Essa, Io rimanevo solo e la Divinità come appartata da Me. Oh, come sentivo questa privazione! Ma ciò era necessario.

Tu devi sapere che quando la Divinità mise fuori l’opera della Creazione, mise anche fuori tutta la gloria, tutti i beni e la felicità che ciascuna creatura avrebbe dovuto ricevere, non solo in questa vita ma pure nella Patria celeste. Ora, tutta la parte che toccava alle anime perdute rimaneva sospesa, non aveva a chi darsi; ond’Io, dovendo completare tutto ed as-sorbire tutto in Me, mi esibii a soffrire la privazione che gli stessi dannati soffrono nell’inferno. Oh, quanto mi costò questa pena! Mi costò pena d’inferno e morte spietata, ma era necessario. Dovendo assorbire tutto in Me, tutto ciò che uscì da Noi nella Creazione, tutta la gloria, tutti i beni e felicità, per farli uscire da Me di nuovo in campo per tutti quelli che volessero fruirne, dovevo assorbire tutte le pene e la stessa privazione della mia Divinità. Ora, tutti questi beni dell’opera della Creazione tutta [sono] assorbiti in Me, essendo Io il capo da cui ogni bene discende su tutte le generazioni, e vado trovando anime che mi somiglino nelle pene e nelle opere, per poter partecipare tanta gloria e felicità che la mia Umanità contiene, siccome non tutte le anime vogliono fruirne, né tutte sono vuote di loro stesse e delle cose di quaggiù per potermi far conoscere e poi sottrarmi, e in questi vuoti di loro stesse e della mia conoscenza acquistata formare questa pena della mia privazione, e nella privazione che soffrono vengono ad assorbire in loro questa gloria della mia Umanità che altri respingono. Se Io non fossi stato quasi sempre con te, tu non mi avresti conosciuto né amato e questo dolore della mia privazione tu non lo sentiresti né potrebbe formarsi in te; in te mancherebbe il seme e l’alimento di questo dolore. Oh, quante anime sono prive di Me e forse sono anche morte! Quante si dolgono, se sono prive di un piccolo piacere, di una bagattella qualsiasi, ma [se] prive di Me non hanno nessun dolore e neppure un pensiero; sicché questo dolore dovrebbe consolarti, perché ti porta il segno certo che sono venuto da te e che mi hai conosciuto, e che il tuo Gesù vuole mettere in te la gloria, i beni, la felicità che gli altri respin-gono.”

(Vol. 15°, 23-5-1923) “Ah, figlia mia, per prendere pieno possesso della mia Volontà devi accentrare in te tutti gli stati di animo di tutte le creature, e come passi uno stato di animo, così prendi il dominio. Ciò successe nella mia Mamma e nella mia stessa Umanità. Quante pene, quanti stati d’animo erano accentrati in Noi? La mia cara Mamma varie volte rimaneva nello stato di pura fede, e la mia gemente Umanità restava come stritolata sotto il peso enorme di tutti i peccati e pene di tutte le creature, ma mentre soffrivo restavo col dominio di tutti quei beni opposti a quei peccati e pene delle creature, e la mia cara Mamma restava Regina della fede, della speranza e dell’amore, dominatrice della luce, da poter dare fede, speranza, amore e luce a tutti. Per dare è necessario possedere e per possedere è necessario accentrare in sé quelle pene, e con la rassegnazione e con l’amore cambiare in beni le pene, in luce le tenebre, in fuoco le freddezze. La mia Volontà è pienezza e chi deve vivere in Essa deve entrare col dominio di tutti i beni possibili ed immaginabili, per quanto a creatura è possibile. Quanti beni non posso dare a tutti e quanti non ne può dare la mia inseparabile Mamma? E se non diamo di più è perché non c’è chi prende, perché tutto soffrimmo e mentre stavamo sulla terra la nostra dimora fu nella pienezza della Divina Volontà. Ora spetta a te fare la nostra stessa via e dimorare dove Noi dimorammo. Credi tu che sia cosa da nulla o come tutte le altre vite, anche sante, il vivere nel nostro Volere? Ah, no, no; è il tutto, qui conviene abbracciare tutto, e se qualche cosa sfugge non puoi dire che vivi nella pienezza della nostra Volontà. Perciò sii attenta e segui sempre il volo nel mio Eterno Volere.”

(Vol. 16°, 4-1-1924) Stavo pensando alle parole di Gesù nell’Orto, quando disse: Pater, se è possibile passi da Me questo calice, ma però non mea voluntas, sed Tua fiat”. E il mio dolce Gesù, movendosi nel mio interno, mi ha detto:

“Figlia mia, credi tu che fu il calice della mia Passione [quello] per cui dicevo al Padre: Padre, se è possibile passi da Me questo calice? No, no, affatto; era il calice della volontà umana, che conteneva tale amarezza e pienezza di vizi, che la mia volontà umana unita alla Divina provò tale ribrezzo, terrore e spavento, che gridai: Padre, se è possibile, passi da Me questo calice! Come è brutta la volontà umana senza la Volontà Divina, che quasi come dentro un calice si è rinchiusa dentro ciascuna creatura! Non c’è male nelle generazioni, di cui essa non sia l’origine, il seme, la fonte, ed Io, vedendomi coperto di tutti questi mali che ha prodotto l’umana volontà, innanzi alla santità della Mia mi sentivo morire e sarei morto di fatto, se la Divinità non mi avesse sostenuto.

Ma sai tu perché soggiunsi, e per tre volte: «Non mea voluntas, sed Tua fiat»? Io sentivo sopra di Me tutte le volontà delle creature unite insieme, tutti i loro mali, e a nome di tutti gridai al Padre: Non più la volontà umana sia fatta sulla terra, ma la Divina! La volontà umana sia sbandita e la Tua vi regni! Sicché fin d’allora (e lo volli fare sin dal principio della mia passione, perché era la cosa che più m’interessava e la più importante, chiamare sulla terra il «Fiat Voluntas tua, come in Cielo, così in terra») ero Io che a nome di tutti dicevo: «Non mea voluntas, sed Tua fiat».

Da allora Io costituivo l’epoca del «Fiat Voluntas tua» sulla terra, e col dirlo per ben tre volte, nella prima lo impetravo, nella seconda lo facevo scendere e nella terza lo costituivo regnante e dominante. E come dicevo «Non mea voluntas, sed Tua fiat» Io intendevo svuotare le creature della loro volontà e riempirle della Divina.

Prima di morire, perché non mi restavano che ore, Io volli contrattare col mio Padre Celeste il mio primo scopo, per cui venni sulla terra, che la Volontà Divina prendesse il suo primo posto d’onore nella creatura. Era stato questo il primo atto dell’uomo, cioè, sottrarsi dalla Volontà Suprema, e quindi la nostra prima offesa. Tutti gli altri mali di esso entrano nell’ordine secondario, ed Io dovetti prima realizzare lo scopo del «Fiat Voluntas tua, come in Cielo, così in terra», e poi formare con le mie pene la Redenzione, perché la stessa Redenzione entra nell’ordine secondario. È sempre la mia Volontà che tiene il primato in tutte le cose. E sebbene i frutti della Redenzione si videro [prima] degli effetti, fu però in virtù di questo contratto che feci col mio Divin Padre (che il suo «Fiat» doveva venire a regnare sulla terra, realizzando il vero scopo della creazione dell’uomo ed il mio primo scopo per cui venni sulla terra), che potetti ricevere i frutti della Redenzione; altrimenti sarebbe mancato l’ordine alla mia sapienza. Se il principio del male fu la sua volontà, questa dovevo Io ordinare, ristabilire, riunire: Volontà Divina e umana. E sebbene si videro prima i frutti della Redenzione, questo dice nulla; la mia Volontà è qual Re che, sebbene è il primo fra tutti, arriva l’ultimo, precedendolo per suo onore e decoro i suoi popoli, eserciti, ministri, principi e tutta la corte regale. Sicché prima erano necessari i frutti della mia Redenzione per far trovare la corte regale, i popoli, gli eserciti, i ministri all’altezza della maestà della mia Volontà.

Ma sai tu chi fu la prima a gridare insieme con Me «Non mea voluntas, sed Tua fiat»? Fu la mia piccola neonata nella mia Volontà, la mia piccola figlia, che ebbe tale ribrezzo, tale spavento della sua volontà, che tremante si strinse a Me e gridò insieme con Me: «Padre, se è possibile, passi da Me questo calice della mia volontà»; e piangendo soggiungesti insieme con Me: «Non mea voluntas, sed Tua fiat» Ah, sì, fosti tu insieme con Me in quel primo contratto col mio Celeste Padre, perché ci voleva una creatura almeno, che doveva rendere valido questo contratto; altrimenti, a chi donarlo? A chi affidarlo? E per rendere più sicura la custodia del contratto, ti feci dono di tutti i frutti della mia Passione, schierandoli intorno a te come un esercito formidabile, che mentre tiene il suo regale corteggio alla mia Volontà, fa guerra accanita alla tua volontà. Perciò, coraggio nello stato in cui ti trovi; smetti il pensiero che Io possa lasciarti. Andrebbe di sotto il mio Volere, stando che tengo il contratto della mia Volontà deposto in te. Onde stai in pace; è la mia Volontà che ti prova, che vuole non solo purgarti, ma distruggere anche l’ombra della tua volontà. Onde con tutta pace segui il volo nel mio Volere e non ti dar pensiero di nulla. Il tuo Gesù farà in modo che tutto ciò che potrà succedere dentro e fuori di te, sia per far risaltare maggiormente la mia Volontà e allargare in te i confini della Mia nella tua volontà umana. Sono Io che manterrò la battuta nel tuo interno, affinché tutto diriga in te secondo il mio Volere. Io non mi occupai d’altro che della sola Volontà del Padre mio e, siccome tutte le cose stanno in Essa, perciò mi occupai di tutto. E se una preghiera insegnai, non fu altro [se non] che la Volontà Divina si faccia come in Cielo così in terra, ma era la preghiera che racchiudeva tutto, sicché Io non mi aggiravo che intorno alla Volontà Suprema. Le mie parole, le mie pene, le mie opere, i miei palpiti erano pregni di Celeste Volontà. Così voglio che faccia tu: devi tanto girare intorno ad Essa da farti bruciare dall’alito eterno del fuoco della mia Volontà, in modo da perdere qualunque altra conoscenza e null’altro sapere che solo e sempre il mio Volere”.

8° Ora (Dalla mezzanotte all’1)

Cattura di Gesù:

(Vol. 13°, 16-11-1921) Questa mattina, il mio sempre amabile Gesù si faceva vedere tutto legato, legate le mani, i piedi, la vita; dal collo gli scendeva una doppia catena di ferro, ma era legato tanto stretto, da togliere il moto alla sua divina Persona. Che dura posizione, da far piangere anche le pietre!

Ed il mio sommo Bene Gesù mi ha detto: “Figlia mia, nel corso della mia Passione tutte le altre pene facevano a gara, ma si davano il cambio e una dava luogo all’altra; quasi come sentinelle montavano, a farmi il peggio, per darsi il vanto che una era stata più brava dell’altra, ma le funi non me le tolsero mai: dacché fui preso fino al monte Calvario fui sempre legato, anzi aggiungevano sempre funi e catene per timore che potessi fuggire e per farsi più gioco di Me; ma quanti dolori, confusioni, umiliazioni e cadute mi procurarono queste catene! Sappi però che in queste catene c’era gran mistero e grande espiazione. L’uomo, nel cominciare a cadere nel peccato resta legato con le catene del suo stesso peccato e, se è grave, sono catene di ferro, se veniale sono catene di funi. Onde, fa per camminare nel bene e sente l’inceppo delle catene e resta inceppato nel passo; l’inceppo che sente lo snerva, lo debilita e lo porta a nuove cadute. Se opera, sente l’inceppo nelle mani e quasi resta come se non avesse mani per fare il bene. Le passioni, vedendolo così legato, fanno festa e dicono: «Ã¨ nostra la vittoria», e da re qual è, lo rendono schiavo di passioni brutali. Com’è abominevole l’uomo nello stato di colpa! Ed Io, per spezzargli le sue catene, volli essere legato e non volli mai essere senza catene, per tenere sempre pronte le mie per spezzare le sue, e quando i colpi, le spinte mi facevano cadere, Io gli stendevo le mani per snodarlo e renderlo libero di nuovo”.

Ma mentre ciò diceva, io vedevo quasi tutte le genti avvinte da catene, che facevano pietà, e pregavo Gesù che toccasse con le sue catene le loro catene, affinché, dal tocco delle sue, restassero frantumate tutte quelle delle creature.

(Vol. 14°, 18-3-1922) “Figlia mia, la colpa incatena l’anima e la inceppa nel fare il bene. La mente sente la catena della colpa e resta impedita di comprendere il bene; la volontà sente la catena che la avvolge e si sente intorpidita, e invece di volere il bene vuole il male; il desiderio incatenato si sente tarpare le ali per volare a Dio. Oh, come mi fa compassione vedere l’uomo incatenato dalle sue stesse colpe. Ecco perché la prima pena che volli soffrire nella Passione furono le catene. Volli essere legato per sciogliere l’uomo dalle sue catene. Quelle catene che Io soffrii, non appena mi toccarono, si convertirono in catene d’amore, le quali, toccando l’uomo, bruciavano e spezzavano le sue e lo legavano con le mie amorose catene. Il mio amore è operativo; non sa stare se non opera. Perciò, per tutti e per ciascuno preparai ciò che ci vuole per riabilitarli, per sanarli, per abbellirli di nuovo. Tutto feci, affinché se si decide trovi tutto pronto e a sua disposizione. Perciò tengo pronte le mie catene per bruciare le sue, i brandelli delle mie carni per coprire le sue piaghe e fregiarlo di bellezza, il mio sangue per ridargli la vita. Tutto ho pronto; tengo a riserbo per ciascuno ciò che ci vuole, ma il mio amore vuol darsi, vuole operare; sento una smania, una forza irresistibile, che non mi dà quiete se non do. E sai che faccio? Quando vedo che nessuno prende, accentro le mie catene, i brandelli delle mie carni, il mio sangue in chi li vuole e mi ama, e la tempesto di bellezza, inanellandola tutta con le mie catene d’amore, le centuplico la vita di grazia e così il mio amore si sfoga e si quieta”.

Ma mentre ciò diceva, vedevo che le sue catene, i brandelli delle sue

carni, il suo sangue, correvano su di me e Lui si divertiva applicandoli su di me e inanellandomi tutta. Quanto è buono Gesù, sia sempre benedetto!


[1] - “Non separi l’uomo ciò che Dio ha unito” (Mt 19,6), e in primo luogo Gesù Cristo e sua Madre. Certo, nessuna creatura come Maria attinge ogni cosa da Gesù, suo Salvatore; nessuno come Lei ha condiviso e condivide ogni cosa di Gesù. Qui sta la spiegazione della corredenzione di Maria (cfr. Vol. XVII, 1.5.1925: E come mi concepì, prese l’ufficio di Corredentrice e prese parte ed abbracciò insieme con Me tutte le pene, le soddisfazioni, le riparazioni, l’amore materno verso tutti. Sicché nel Cuore della Madre mia c’era una fibra d’amore materno verso ciascuna creatura. Perciò, con verità e con giustizia la dichiarai, quando Io stavo sulla Croce, Madre di tutti. Lei correva insieme con Me nell’amore, nelle pene, in tutto; non mi lasciava mai solo...”)

[2] - “Fiat”, in latino significa “Sia fatto, si faccia”. Negli scritti di Luisa qualche volta esprime un atto di rassegnazione da parte dell’anima, ma di solito indica il Volere Divino. Ne ha già parlato il 20 e 22 Marzo 1919 e il 4 Giugno 1919.

[3] - “Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio…” (Ef 4,30). “Lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili…” (Rom 8,26).

[4] - L’immagine ricorda Mosè in preghiera sul monte, sostenuto da Aronne e Cur (Esodo, 17,12).

[5] - “L’immagine” divina sta nell’essere, “la somiglianza” sta nel vivere. Due concetti inseparabili, ma non sinonimi.

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