Maria Valtorta – L’Evangelo come mi è stato rivelato, ed. CEV.
592. Lunedì santo.
Conforto alla madre di Annalia e incontro con il milite Vitale.
Il fico sterile e la parabola dei vignaioli perfidi.
Le domande sull'autorità di Gesù e sul battesimo di Giovanni.
31 marzo 1947.
1Gesù
esce presto dalla tenda di un galileo, là sul pianoro dell'Uliveto,
dove molti galilei si radunano in occasione delle solennità. Il
campo dorme tutto, sotto il chiarore di una luna che tramonta
lentamente fasciando di candore argenteo tende, alberi e pendici, e
la città dormente là in basso...
Gesù
passa sicuro e senza rumore fra tenda e tenda e, uscito dal campo,
scende velocemente per ripidi sentieri verso il Getsemani, lo
traversa, ne esce, supera il ponticello sul Cedron, nastro d'argento
arpeggiante alla luna, giunge alla porta sorvegliata dai legionari.
Forse una misura precauzionale del Proconsole è questa scolta
notturna alle porte chiuse. I militi, quattro, parlano seduti su
delle grosse pietre, messe a far da sedili contro il muro potente, e
si scaldano ad un fuocherello di sterpi che getta una luce rossastra
sulle loriche lucenti e sugli elmi severi, da sotto i quali emergono
i visi così diversi, nella loro fisionomia italica, da quelli degli
ebrei.
«Chi
va là!», dice il primo, che vede apparire l'alta figura di Gesù da
dietro l'angolo di una casupola vicina alla porta, e imbraccia
l'asta, terminante in lancia puntuta, che teneva appoggiata al muro
lì presso, mettendosi in posizione regolamentare, imitato dagli
altri. E senza dar tempo a Gesù di rispondere, dice: «Non si entra.
Non sai che la seconda vigilia è già al termine?».
«Sono
Gesù di Nazaret. Ho la Madre in città. Vado a Lei».
«Oh!
l'uomo che ha risuscitato il morto di Betania! Per Giove! Lo vedrò
finalmente!». E gli va vicino guardandolo curioso, girandogli
intorno come per sincerarsi che non è qualcosa di irreale, di
strano, ma proprio un uomo come tutti. E lo dice: «Oh! Numi! È
bello come Apollo, ma fatto in tutto come noi! E non ha né bastone,
né berretta, né alcun segno del suo potere!». È perplesso.
Gesù
lo guarda pazientemente, sorridendogli con dolcezza.
Gli
altri, che sono meno curiosi -forse hanno visto già Gesù altre
volte- dicono: «Sarebbe stata buona cosa che fosse stato qui a metà
della prima vigilia, quando fu portata al sepolcro la bella fanciulla
morta al mattino. Avremmo visto risorgere...».
Gesù
dolcemente ripete: «Posso andar da mia Madre?».
I
quattro militi si riscuotono. Il più anziano parla: «Veramente
l'ordine sarebbe di non lasciar passare. Ma Tu passeresti ugualmente.
Colui che forza le porte dell'Ade può ben forzare le porte di una
città chiusa. Né Tu sei uomo da suscitare sommosse. Cade dunque il
divieto per Te. Fa' di non essere scorto dalle ronde interne. Apri,
Marco Grato. E Tu passa senza rumore. Siamo soldati e dobbiamo
ubbidire...».
«Non
temere. La vostra bontà non vi si muterà in castigo».
Un
legionario apre cautamente lo sportello aperto nel portone colossale
e dice: «Passa presto. Fra poco scade la vigilia e noi siamo
cambiati dai sopravvenienti».
«La
pace a voi».
«Siamo
uomini di guerra...».
«Anche
nella guerra la pace che Io do permane, perché è pace dell'anima».
E
Gesù si ingolfa nel buio dell'arco aperto nello spessore delle mura.
Passa silenzioso davanti al corpo di guardia che dall'uscio aperto
lascia uscire la luce tremolante di un lume ad olio, una comune
lucerna, sospeso ad un gancio del basso soffitto, che permette di
vedere dei corpi di militi dormenti su stuoie gettate al suolo, tutti
avvolti nei loro mantelli, le armi al fianco.
2Gesù
è in città ormai... e lo perdo di vista, mentre osservo rientrare
due dei soldati di prima, che osservano se Egli si è allontanato,
prima di entrare a svegliare i dormenti per avere il cambio.
«Non
lo si vede già più... Che avrà voluto dire con quelle parole?
Avrei voluto saperlo», dice il più giovane.
«Dovevi
chiederglielo. Non ci disprezza. L'unico ebreo che non ci disprezzi e
che non ci strozzi in alcun modo», gli risponde l'altro, già nel
pieno della virilità.
«Non
ho osato. Io, contadino beneventano, parlare a uno che dicono dio?».
«Un
dio su un asino? Ah! Ah! Fosse ebbro come Bacco, potrebbe. Ma ebbro
non è. Credo non beva neppure il mulsium. Non vedi come è pallido e
magro?».
«Eppure
gli ebrei...».
«Loro
sì che bevono, benché mostrino di non farlo! Ed ebbri dei forti
vini di queste terre e della loro sicera, hanno visto il dio in un
uomo. Credi a me. Gli dèi sono fole. L'Olimpo è vuoto e la Terra ne
è priva».
«Se
ti sentissero!...».
«Sei
ancora tanto fanciullo da non esser candidato e non sapere che lo
stesso Cesare non crede agli dèi, né vi credono i pontefici, gli
àuguri, gli arùspici, gli arvali, le vestali né alcuno?».
«E
allora perché...».
«Perché
i riti? Perché piacciono al popolo e sono utili ai sacerdoti e
servono a Cesare per farsi ubbidire come fosse un dio terreno tenuto
per mano dagli dèi olimpici. Ma i primi a non credere sono quelli
che noi veneriamo come ministri degli dèi. Io sono pirroniano. Ho
girato l'Orbe. Ho fatto molte esperienze. I miei capelli
biancheggiano alle tempie e si è maturato il mio pensiero. Ho per
codice personale tre sentenze. Amare Roma, unica dèa e unica
certezza, sino al sacrificio della vita. Nulla credere, poiché tutto
è illusione di ciò che ci circonda, eccettuata la Patria sacra e
immortale. Anche di noi stessi dobbiamo dubitare, perché incerto è
anche se noi viviamo. Il senso e la ragione non bastano a dare
certezza di giungere a conoscere il Vero, e il vivere e il morire
hanno lo stesso valore, perché non sappiamo cosa è vivere e non
sappiamo cosa è morire», dice affettando uno scetticismo filosofico
di creatura superiore...
L'altro
lo guarda incerto. Poi dice: «Io invece credo. E mi piacerebbe
sapere... Sapere da quell'uomo che è passato poco fa. Egli certo sa
il Vero. Una cosa strana esce da Lui. È come una luce che entra
dentro!».
«Esculapio
ti salvi! Tu sei malato! Da poco sei salito alla città dalla valle,
e le febbri sorgono facilmente in chi compie questo viaggio né ancor
è acclimatato a questa regione. Tu deliri. Vieni. Non c'è che vin
caldo ed aromi per fare uscire in sudore il veleno della febbre
giordanica...», e lo spinge verso il corpo di guardia.
Ma
l'altro si libera dicendo: «Non sono malato. Non voglio vin caldo
drogato. Voglio vegliare là, fuori le mura (accenna il lato interno
del bastione) e attendere l'uomo che si è detto Gesù».
«Se
l'attendere non ti rincresce... Io vado a svegliare questi per il
cambio. Addio...».
Ed
entra rumorosamente nel corpo di guardia, svegliando i compagni e
gridando: «Già è scoccata l'ora. Su, fannulloni svogliati! Stanco
sono!...». Sbadiglia rumorosamente e impreca perché hanno lasciato
spegnere il fuoco e hanno bevuto tutto il vin caldo, «così
necessario ad asciugare la guazza palestinese...».
L'altro,
il giovane legionario, addossato alla muraglia che la luna sfiora da
ponente, attende che Gesù torni sui suoi passi. Le stelle vegliano
la sua speranza...
3Gesù
intanto è arrivato alla casa di Lazzaro, sul colle di Sion, e bussa.
Levi
gli apre. «Tu, Maestro?! Le padrone dormono. Perché non hai mandato
un servo, se ti occorreva qualche cosa?».
«Non
lo avrebbero lasciato passare».
«Ah!
è vero! Ma Tu come sei passato?».
«Sono
Gesù di Nazaret. E i legionari mi hanno lasciato passare. Ma non va
detto, Levi».
«Non
lo dirò... Meglio loro di molti di noi!».
«Conducimi
dove dorme mia Madre e non destare nessun altro della casa».
«Come
vuoi, Signore. L'ordine di Lazzaro a tutti i suoi ministri di casa è
di ubbidirti in tutto senza discussione e indugio. Era da poco
l'aurora quando lo portò un servo, molti servi, a tutte le case.
Ubbidire
e tacere. Lo
faremo. Ci hai reso il padrone...».
L'uomo
trotterella avanti per i corridoi, vasti come gallerie, dello
splendido palazzo di Lazzaro sul colle di Sion, e il lume che porta
fra le mani illumina fantasticamente le suppellettili e le
tappezzerie che ornano questi larghi corridoi. L'uomo si ferma
davanti ad una porta chiusa: «Lì è tua Madre».
«Va'
pure».
«E
il lume? Non lo vuoi? Io posso tornare al buio. Sono pratico della
casa. Ci sono nato».
«Lascialo.
E non levare la chiave dalla porta. Esco subito».
«Sai
dove trovarmi. Chiuderò per precauzione. Ma sarò pronto ad aprirti
la porta al tuo venire».
4Gesù
resta solo. Bussa leggermente, un tocco così leggero che soltanto
uno che è ben sveglio lo può sentire.
Un
rumore dentro la stanza, come di un sedile che si sposta, e un
leggero fruscio di passi, e una voce sommessa: «Chi bussa?».
«Io,
Mamma. Aprimi».
La
porta si apre subito. Il lume di luna è il solo lume che illumini la
stanza quieta e distende il suo raggio sul letto intatto. Un sedile è
presso la finestra spalancata sul mistero della notte.
«Non
dormivi ancora? È tardi!».
«Pregavo...
Vieni, Figlio mio. Siedi qui dove io ero», e indica il sedile presso
la finestra.
«Non
posso fermarmi. Ti sono venuto a prendere per andare da Elisa in
Ofel. Annalia è morta. Non lo sapevate ancora?».
«No.
Nessuno... Quando, Gesù?».
«Dopo
il mio passaggio».
«Dopo
il tuo
passaggio. Fosti
dunque per lei l'Angelo liberatore?! Le era così prigione questa
Terra! Lei felice! Vorrei essere io al posto suo! Morì...
naturalmente? Voglio dire: non per sventura?».
«Morì
di gioia d'amore. Lo seppi che ero già sulla salita del Tempio.
Vieni con Me, Mamma. Noi non temiamo di profanarci per consolare una
madre che ebbe fra le braccia la figlia morta di soprannaturale
gioia... La nostra
prima
vergine! Quella che venne a Nazaret, a te, per trovare Me e chiedermi
questa gioia... Giorni lontani e sereni».
«Ieri
l'altro cantava come una capinera innamorata e mi baciava dicendo:
"Io sono felice!", ed era avida di sentire tutto di Te.
Come Dio ti formò. Come mi elesse. E i miei primi palpiti di vergine
consacrata... Ora comprendo... 5Sono
pronta, Figlio».
Maria
si è, nel parlare, riappuntate le trecce, che aveva giù per le
spalle e che la facevano parere così fanciulla, e si è messo il
velo e il manto.
Escono
facendo il meno rumore che possono.
Levi
è già presso il portone. Spiega: «Ho preferito... Per mia
moglie... Le donne sono curiose. Mi avrebbe fatto cento domande. Così
non sa...». Apre, fa per chiudere.
Gesù
dice: «Entro questa stessa vigilia ricondurrò mia Madre».
«Veglierò
qui presso. Non temere».
«La
pace a te».
Vanno
per le strade silenziose, vuote, nelle quali la luna si ritira
lentamente persistendo sull'alto delle case alte della collina di
Sion. Più luminoso è il borgo di Ofel, dalle casette più umili e
più basse.
6Ecco
la casa di Annalia. Chiusa. Buia. Silenziosa. Dei fiori appassiti
sono ancora sui due gradini della casa. Forse quelli gettati dalla
vergine prima di morire, o quelli caduti dal suo letto funebre...
Gesù
bussa alla porta. Bussa di nuovo...
Il
rumore di una impannata aperta in alto. Una voce affranta: «Chi
bussa?».
«Maria
e Gesù di Nazaret», risponde Maria.
«Oh!
Vengo!...».
Breve
attesa e poi il rumore dei paletti rimossi. La porta si apre
mostrando il volto disfatto di Elisa, che si regge a fatica allo
stipite e, quando Maria entrando le apre le braccia, si abbatte sul
suo seno con i singulti fiochi di chi ha già tanto pianto da non
aver più voce da dare al suo pianto. Gesù chiude l'uscio e attende
paziente che sua Madre calmi quell'affanno.
Una
stanza è vicina alla porta. Entrano in quella, portando Gesù il
lume posato da Elisa sul pavimento dell'entrata prima di aprire la
porta. Il pianto della madre sembra non possa aver fine. Parla, fra i
singhiozzi rochi, a Maria. Parla la madre alla Madre. Gesù, in piedi
contro una parete, tace...
7Elisa
non può darsi ragione di quella morte, avvenuta così... E nel suo
soffrire fa ricadere la causa di essa a Samuele, il fidanzato
spergiuro: «Le ha spaccato il cuore, quel maledetto! Ella non
diceva. Ma certo soffriva da chissà quanto! E nella gioia, nel
grido, le si è aperto il cuore. Sia maledetto in eterno».
«No,
cara. No. Non maledire. Non è così. Dio l'ha amata tanto da volerla
nella pace. Ma anche fosse morta per causa di Samuele -non è, ma
supponiamolo per un istante- pensa quale morte di gioia ella ebbe, e
di' che l'azione malvagia le procurò morte felice».
«Io
non l'ho più! M'è morta! M'è morta! Tu non sai cosa sia perdere
una figlia! Io due volte ho gustato questo dolore. Perché già la
piangevo morta quando tuo Figlio la guarì. Ma ora... Ma ora... Egli
non è tornato! Non ha avuto pietà... Io l'ho perduta! Perduta! Già
nella tomba è la mia creatura! Sai tu cosa sia veder agonizzare un
figlio? Sapere che deve morire? Vederlo morto quando lo si credeva
risanato e forte? Non sai. Non puoi parlare... Era bella come una
rosa apertasi allora al primo sole mentre si ornava questa mattina.
Si era voluta ornare con la veste che le avevo fatta per le nozze.
Voleva anche coronarsi come sposa. Poi preferì sfare la ghirlanda
già pronta e sfogliare i fiori per gettarli a tuo Figlio, e cantava!
Cantava! La sua voce empiva la casa. Era vaga come la primavera. La
gioia le faceva brillanti come stelle gli occhi, e porporine come
polpa di melagrana le labbra aperte sul candore dei denti, e le
guance le aveva rosee e fresche come rose novelle che la rugiada
decora. E divenne bianca come il giglio appena dischiuso. E mi si
piegò sul petto come uno stelo spezzato... Più una parola! Più un
sospiro! Più colore. Più sguardo. Placida, bella, come un angelo di
Dio, ma senza vita. 8Tu
non sai, tu che godi del trionfo di tuo Figlio e lo hai sano e forte,
cosa è il mio dolore! Perché non è tornato indietro? In che lo
aveva dispiaciuto, e io con lei, per non aver pietà della mia
preghiera?».
«Elisa!
Elisa! Non dire... Il dolore ti fa cieca e sorda... Elisa, tu non sai
il mio soffrire. E non sai il mare profondo che diverrà il mio
soffrire. Tu l'hai vista placida e bella irrigidirsi in pace. Fra le
tue braccia. Io... Io sono più di sei lustri che contemplo la mia
Creatura e, oltre le carni lisce e monde che contemplo e carezzo, io
vedo le piaghe dell'Uomo dei dolori che diverrà la mia Creatura.
Sai, tu che dici che io non so cosa è vedere un figlio andare due
volte alla morte, e una entrarvi e rimanervi in pace, sai cosa è
vedere per tant'anni questa visione, per una madre? Mio Figlio!
Eccolo. È già vestito di rosso come uscisse da un bagno di sangue.
E presto, fra poco, ancor non sarà fatto oscuro il volto della tua
creatura nel sepolcro, che io lo vedrò vestito della porpora del
Sangue suo innocente. Di quel Sangue che gli ho dato. E se tu hai
raccolto sul cuore tua figlia, sai quale sarà il mio dolore vedendo
morire mio Figlio come un malfattore sul legno? Guardalo, il
Salvatore di tutti! Nello spirito e nella carne. Perché la carne dei
salvati da Lui sarà incorrotta e beata nel suo Regno. E guardami!
Guarda questa Madre che ora per ora accompagna e conduce -oh! io non
lo tratterrei di un passo!- suo Figlio al Sacrificio! Io ti posso
capire, povera mamma. Ma tu capisci il mio cuore! Non odiare il
Figlio mio. Annalia non avrebbe sopportato l'agonia del suo Signore.
E il suo Signore la fece beata in un'ora di tripudio».
9Elisa
ha cessato di piangere davanti alla rivelazione. Fissa Maria, dal
pallido volto di martire lavato di lacrime silenziose, guarda Gesù
che la guarda con pietà... e scivola ai piedi di Cristo gemendo: «Ma
ella mi è morta! Mi è morta, Signore! Come un giglio, un giglio
spezzato. Tu sei detto dai poeti che sei colui che si compiace fra i
gigli! Oh! veramente Tu, nato dal giglio-Maria, scendi sovente fra le
aiuole fiorite, e delle rose porpuree ne fai candidi gigli, e li
cogli levandoli al mondo. Perché? Perché, Signore? Non è giusto
che una madre goda della rosa nata da lei? Perché spegnerne il
porporino nel freddo candore di morte del giglio?».
«I
gigli! Saranno il simbolo di quelle che mi ameranno come mia Madre
amò Dio. La candida aiuola del Re divino».
«Ma
noi madri piangeremo. Noi madri abbiamo diritto alle nostre creature.
Perché levarle alla vita?».
«Non
così voglio dire, donna. Resteranno le figlie, ma consacrate al Re
come le vergini nei palazzi di Salomone. Ricordati il Cantico... E
spose saranno, le beneamate, in Terra e in Cielo».
«Ma
la mia creatura è morta! È morta!». Il pianto riprende straziante.
«Io
sono la Risurrezione e la Vita. Chi crede in Me, ancorché venga a
morte, vive, e in verità ti dico che non muore in eterno. Tua figlia
vive.
Vive
in eterno poiché credette nella Vita. La mia Morte le sarà completa
Vita. Ha conosciuto la gioia del vivere in Me prima di conoscere il
dolore di vedere Me strappato alla vita. Il tuo dolore ti fa cieca e
sorda. Bene dice mia Madre. Ma presto dirai ciò che ti ho mandato a
dire stamane: "Veramente la sua morte fu una grazia di Dio".
Credilo, donna. L'orrore attende questo luogo. E verrà giorno in cui
le madri colpite come te diranno: "Lode a Dio che risparmiò ai
nostri figli questi giorni". E le madri non colpite grideranno
al Cielo: "Perché, o Dio, non ci hai ucciso i figli prima di
quest'ora?". Credilo, donna. Credi alle mie parole. Non alzare
fra te e Annalia la vera chiusura che separa, quella della diversità
di fede. Vedi? Io potevo non venire. Tu sai quanto sono odiato. Non
ti illuda il trionfo di un'ora!... Ogni angolo può celare un'insidia
per Me. E sono venuto solo, nella notte, per consolarti e dirti
queste parole. Io compatisco il dolore di una madre. Ma per la pace
della tua anima ti vengo a dire queste parole. Abbi pace! Pace!».
«Dammela
Tu, Signore! Io non posso! Non posso nel mio soffrire darmi pace. Ma
Tu, che rendi la vita ai morti e la salute ai morenti, dai la pace al
cuore di una madre straziata».
«Così
sia, donna. A te la pace». Le impone le mani benedicendola e
pregando in silenzio su lei. Maria si è inginocchiata a sua volta
presso Elisa, cingendola con un braccio.
10«Addio,
Elisa. Io me ne vado...».
«Non
ci vedremo più, Signore? Io non uscirò dalla casa per molti giorni
e Tu te ne andrai dopo le feste pasquali. Tu... sei ancora un poco
parte di mia figlia... perché Annalia... perché Annalia viveva in
Te e per Te». Piange. Più calma, ma quanto piange!
Gesù
la guarda... La carezza sul capo canuto. Le dice: «Mi vedrai
ancora».
«Quando?».
«Fra
otto notti da questa».
«E
mi conforterai ancora? Mi benedirai per darmi forza?».
«Il
mio cuore ti benedirà con tutta la pienezza del mio amore per quelli
che mi amano. Vieni, Madre mia».
«Figlio
mio, se lo concedi vorrei rimanere ancora con questa madre. Il dolore
è un maroso che torna, dopo che si è allontanato Colui che dà
pace... Rientrerò all'ora di prima. Non ho paura ad andare sola. Lo
sai. E sai che passerei per tutto un esercito nemico pur di
confortare un mio fratello in Dio».
«Sia
come tu vuoi. Io vado. Dio sia con voi».
Esce
senza far rumore, chiudendosi dietro le spalle la porta della stanza
e quella della casa.
11Torna
verso le mura, alla porta di Efraim o a quella Stercoraria o del
Letame, perché molte volte ho sentito indicare queste due porte
vicine con questi tre nomi, forse perché una si apre sulla via di
Gerico che è in fondo, via che conduce a Efraim, e l'altra perché
ha prossima la valle di Innon dove vengono arse le immondizie della
città; e sono così uguali che confondo.
Il
cielo appena imbianca al confine d'oriente, pur essendo ancor gremito
di stelle. Le vie sono avvolte in una penombra più penosa del buio
notturno che la luna temperava col suo candore. Ma il milite romano
ha buoni occhi e, come vede Gesù avanzarsi verso la porta, gli va
incontro.
«Salve.
Ti ho atteso...». Si arresta titubante.
«Parla
senza paura. Che vuoi da Me?».
«Sapere.
Tu hai detto: "La pace che Io do permane anche nella guerra,
perché è pace d'anima". Io vorrei sapere che pace è, e cosa è
l'anima. Come può l'uomo che è in guerra essere in pace? Quando si
apre il tempio di Giano si chiude quello della Pace. Non possono le
due cose essere insieme nel mondo». Parla addossato al muretto
verdastro di un orticello, in una vietta stretta come un sentiero fra
i campi, fra povere case, umido, tetro, buio. Tolto un lieve bagliore
che indica l'elmo brunito, non si avverte altro dei due che parlano.
L'ombra annulla i volti e i corpi in un unico nero.
La
voce di Gesù risuona piana e luminosa nella sua gioia di gettare un
seme di luce nel pagano. «Nel mondo, in verità, non possono essere
pace e guerra insieme. Una esclude l'altra. Ma nell'uomo di guerra
può esser pace anche se combatte la guerra comandata. Può essere la
mia
pace.
Perché la mia
pace
viene dal Cielo e non la lede il fragor della guerra e la ferocia
delle stragi. Essa, cosa divina, invade la cosa divina che l'uomo ha
in sé, e che anima
è
detta».
«Divina?
In me? Divo è Cesare. Io sono un figlio di contadini. Ora sono un
legionario senza alcun grado. Se sarò prode, potrò forse divenire
centurione. Ma divo no».
«Vi
è una parte divina in te. È l'anima. Viene da Dio. Dal vero Dio.
Perciò è divina, gemma viva nell'uomo, e di divine cose si alimenta
e vive: la fede, la pace, la verità. Guerra non la turba.
Persecuzione non la lede. Morte non l'uccide. Solo il male, fare ciò
che è brutto, la ferisce o uccide, e anche la priva della pace che
Io dono. Perché il male separa l'uomo da Dio».
12«E
cosa è il male?».
«Essere
nel paganesimo e adorare gli idoli quando la bontà del vero Dio ha
messo a conoscenza che c'è il vero Dio. Non amare il padre, la
madre, i fratelli e il prossimo. Rubare, uccidere, esser ribelli,
aver lussurie, essere falsi. Questo è il male».
«Ah!
allora io non posso avere la tua pace! Sono soldato e comandato ad
uccidere. Per noi allora non c'è salvezza?!».
«Sii
giusto nella guerra come nella pace. Compi il tuo dovere senza
ferocia e senza avidità. Mentre combatti e conquisti, pensa che il
nemico è simile a te e che ogni città ha madri e fanciulle come la
tua madre e le tue sorelle, e sii prode senza essere un bruto. Non
uscirai dalla giustizia e dalla pace, e la mia
pace
resterà in te».
«E
poi?».
«E
poi? Cosa vuoi dire?».
«Dopo
la morte? Che avviene del bene che ho fatto e dell'anima che Tu dici
che non muore se non si fa il male?».
«Vive.
Vive ornata del bene che ha fatto, in una pace gaudiosa, più grande
di quella che si gode in Terra».
«Allora
in Palestina uno solo aveva fatto il bene! Ho capito».
«Chi?».
«Lazzaro
di Betania. Non è morta la sua anima!».
«In
verità egli è un giusto. Però molti sono pari a lui e muoiono
senza risuscitare, ma la loro anima vive nel Dio vero. Perché
l'anima ha un'altra dimora, nel Regno di Dio. E chi crede in Me
entrerà in quel Regno».
«Anche
io, romano?».
«Anche
tu, se crederai alla Verità».
«Cosa
è la Verità?».
«Io
sono la Verità, e la Via per andare alla Verità, e sono la Vita e
do la Vita, perché chi accoglie la Verità accoglie la Vita».
13Il
giovane soldato pensa,... tace... Poi alza il volto. Un volto ancor
puro di giovane, e ha un sorriso limpido, sereno. Dice: «Io cercherò
di ricordare questo e di sapere più ancora. Mi piace...».
«Come
ti chiami?».
«Vitale.
Di Benevento. Delle campagne della città».
«Ricorderò
il tuo nome. Fai veramente vitale il tuo spirito nutrendolo di
Verità. Addio. Si apre la porta. Esco dalla città».
«Ave!».
Gesù
va lesto alla porta e si affretta per la via che conduce al Cedron e
al Getsemani e da lì al campo dei Galilei.
14Fra
gli ulivi del monte raggiunge Giuda di Keriot, che sale anche lui
svelto verso il campo che si desta. Giuda ha un atto quasi di
spavento trovandosi di fronte Gesù. Gesù lo guarda fisso, senza
parlare.
«Sono
stato a portare il cibo ai lebbrosi. Ma... ne ho trovati due a Innon,
cinque a Siloan. Gli altri, guariti. Ancora là, ma guariti, tanto
che mi hanno pregato di avvertire il sacerdote. Ero sceso alla prima
luce per esser libero poi. Farà rumore la cosa. Un così gran numero
di lebbrosi guariti insieme dopo che Tu li hai benedetti al cospetto
di tanti!».
Gesù
non parla. Lo lascia parlare... Non dice né: «Hai fatto bene», né
altra cosa attinente all'azione di Giuda e al miracolo, ma fermandosi
all'improvviso e guardando fissamente l'apostolo gli chiede: «Ebbene?
Che ha mutato l'averti lasciato libertà e denaro?».
«Che
vuoi dire?».
«Questo:
ti chiedo se ti sei santificato da quando ti ho reso libertà e
denaro. E tu mi capisci... Ah! Giuda! Ricordalo! Ricordalo sempre: tu
sei stato quello che ho amato più di ogni altro, avendone meno amore
di quanto tutti gli altri mi hanno dato. Avendone anzi un odio
maggiore, perché odio di uno che trattai da amico, del più feroce
odio del più feroce fariseo. E ricorda ancor questo: che Io neppure
ora ti odio, ma, per quanto sta al Figlio dell'uomo, ti perdono. Va',
ora. Non c'è più nulla da dirsi fra Me e te. Tutto è già
fatto...».
Giuda
vorrebbe dire qualcosa, ma Gesù con un gesto imperioso gli fa cenno
di andare avanti... E Giuda, chino il capo come un vinto, va
avanti...
15Al
limite del campo dei Galilei gli undici apostoli e i due servi di
Lazzaro sono già pronti.
«Dove
sei stato, Maestro? E tu, Giuda? Eravate insieme?».
Gesù
previene la risposta di Giuda: «Io avevo da dire qualcosa a dei
cuori. Giuda andò dai lebbrosi... Ma sono guariti tutti meno sette».
«Oh!
perché sei andato? Volevo venire io pure!», dice lo Zelote.
«Per
essere libero ora di venire con noi. Andiamo. Entreremo in città
dalla porta del Gregge. Facciamo presto», dice ancora Gesù.
16Si
avvia per il primo, passando per gli uliveti che conducono dal Campo,
a quasi mezza via fra Betania e Gerusalemme, all'altro ponticello che
accavalla il Cedron presso la porta del Gregge.
Delle
case di contadini sono sparse per i clivi, e quasi in basso, presso
le acque del torrente, una scapigliata pianta di fichi si penzola sul
rio. Gesù si dirige ad essa e cerca se fra il fogliame largo e
grasso sia qualche fior di fico maturo. Ma il fico è tutto foglie,
molte, inutili, ma non ha un sol frutto sui rami.
«Sei
come molti cuori in Israele. Non hai dolcezze per il Figlio
dell'uomo, e non pietà. Possa da te non nascere mai più alcun
frutto, e alcuno da te non ne mangi in futuro», dice Gesù.
Gli
apostoli si guardano. L'ira di Gesù per la pianta sterile, forse
selvatica, li stupisce. Ma non dicono nulla. Solo più tardi,
valicato il Cedron, Pietro gli chiede: «Dove hai mangiato?».
«In
nessun luogo».
«Oh!
Allora hai fame! Ecco là un pastore con qualche capra pascolante.
Andrò e chiederò latte per Te. Faccio presto», e va a gran passi,
tornando cauto con una vecchia scodella colma di latte.
Gesù
beve e rende con una carezza la tazza al pastorello che ha
accompagnato Pietro...
17Entrano
in città e salgono al Tempio e, adorato il Signore, Gesù torna nel
cortile dove i rabbi tengono le loro lezioni.
La
gente gli si affolla intorno e una madre, venuta da Cintium, presenta
il bambino che un male ha reso cieco, credo. Ha gli occhi bianchi
come chi ha una vasta cateratta sulla pupilla o un'albugine. Gesù lo
guarisce sfiorando le orbite con le sue dita. E poi subito inizia a
parlare:
«Un
uomo comprò un terreno e lo piantò a vigneti, vi edificò la casa
per i coloni, una torre per i sorveglianti, cantine e luoghi per
torchiare le uve, e lo diede a lavorare a dei coloni nei quali aveva
fiducia. Poi se ne andò lontano. Quando venne il tempo che i vigneti
potevano dare del frutto, essendo ormai le viti cresciute sino ad
esser fruttifere, il padrone della vigna mandò i suoi servi dai
coloni per ritirare gli utili del raccolto fatto. Ma i coloni
circondarono quei servi e parte li presero a bastonate, parte li
lapidarono con pietre pesanti ferendoli molto, parte li uccisero del
tutto. Coloro che poterono tornare vivi dal padrone raccontarono ciò
che era loro accaduto. Il padrone li curò e consolò e mandò altri
servi ancor più numerosi. E i coloni trattarono questi come avevano
trattato i primi. Allora il padrone della vigna disse: "Manderò
loro il mio figliuolo. Certo essi avranno riguardo al mio erede".
Ma i coloni, vistolo venire e saputo che era l'erede, si chiamarono
l'un l'altro dicendo: "Venite. Riuniamoci per essere in molti.
Trasciniamolo fuori, in un luogo remoto, e uccidiamolo. La sua
eredità resterà a noi". E, accogliendolo con ipocriti onori,
lo circondarono come per fargli festa, poi lo legarono dopo averlo
baciato e lo picchiarono forte e lo portarono con mille motteggi al
luogo del supplizio e l'uccisero. Ora ditemi voi. Quel padre e
padrone che un giorno si accorgerà che il figlio ed erede del suo
avere non torna, e scopre che i suoi servi-coloni, coloro ai quali
aveva dato la terra ferace perché la coltivassero in suo nome,
godendone per quanto era giusto e dandone quanto era giusto al loro
signore, sono stati gli uccisori del figlio suo, che farà?».
E
Gesù dardeggia le iridi zaffiree, accese come da un sole, sui
convenuti e specie sui gruppi dei più influenti giudei, farisei e
scribi, sparsi fra la folla. Nessuno parla.
«Dite,
dunque? Voi almeno, rabbi di Israele. Dite parola di giustizia che
persuada il popolo a giustizia. Io potrei dire parola non buona,
secondo il vostro pensiero. Dite dunque voi, acciò il popolo non sia
tratto in errore».
Gli
scribi rispondono, costretti, così: «Punirà gli scellerati
facendoli perire in modo atroce e darà la vigna ad altri coloni, che
onestamente gliela coltivino, dandogli il frutto della terra avuta in
consegna».
«Avete
detto bene. Così è scritto nella Scrittura: "La
pietra che i costruttori hanno scartata è divenuta pietra angolare.
Questa è opera fatta dal Signore ed è cosa meravigliosa agli occhi
nostri".
Poiché
dunque così è scritto, e voi lo sapete, e giudicate giusto che
siano puniti atrocemente quei coloni uccisori del figlio erede del
padrone della vigna ed essa sia data ad altri coloni che onestamente
la coltivino, ecco, per questo vi dico: "Vi sarà tolto il Regno
di Dio e sarà dato a gente che ne produca i frutti. E chi cadrà
contro
questa
pietra si sfracellerà, e colui sopra il quale la pietra cadrà sarà
stritolato"».
18I
capi dei sacerdoti, i farisei e scribi, con atto veramente... eroico
non reagiscono. Tanto può la volontà di raggiungere uno scopo! Per
molto meno altre volte lo hanno avversato, e oggi che apertamente il
Signore Gesù dice loro che verrà tolto ad essi il potere non
scattano in improperi, non fanno atti violenti, non minacciano, falsi
agnelli pazienti che sotto un'ipocrita veste di mitezza nascondono
l'immutabile cuore di lupo.
Si
limitano ad accostarsi a Lui, che ha ripreso a camminare avanti e
indietro ascoltando questo e quello dei molti pellegrini che sono
raccolti nell'ampio cortile, e dei quali molti gli chiedono consiglio
per casi d'anima o per circostanze famigliari o sociali, in attesa di
potergli dire qualcosa dopo averlo ascoltato dare un giudizio ad un
uomo su un'intricata questione di eredità, che ha prodotto divisione
e rancore fra i diversi eredi a causa di un figlio del padre, avuto
con una serva della casa ma adottato, che i figli legittimi non
vogliono con loro né coerede nella spartizione delle case e dei
terreni, volendo non avere più nulla in comune col bastardo, e non
sanno come risolvere, perché il padre ha fatto giurare avanti la sua
morte che, come sempre egli aveva fatto spartendo il pane
all'illegittimo come ai legittimi in uguale misura, così essi
dovevano ugualmente spartire l'eredità con lui in egual misura.
Gesù
dice a colui che lo interroga a nome degli altri tre fratelli:
«Sacrificate tutti un pezzo di terra, vendendolo, di modo da
radunare il valore di denaro equivalente al quinto della sostanza
totale, e datelo all'illegittimo dicendo: "Ecco la tua parte.
Non sei defraudato del tuo, né si è fatto torto al volere di nostro
padre. Va' e Dio sia con te". E siate abbondanti nel dare, anche
più dello stretto valore della sua parte. Fatelo con testimoni che
giusti siano, e nessuno potrà in Terra, e oltre la Terra, alzare
voci di rimprovero e scandalo. E avrete pace fra voi e in voi, non
avendo il rimorso di aver disubbidito al padre vostro, e non avendo
fra voi colui che, veramente innocente, vi è causa di turbamento più
che se fosse un ladrone messo fra voi».
L'uomo
dice: «Il bastardo ha rubato in verità pace alla nostra famiglia,
salute alla madre nostra che morì di dolore, e un posto non suo».
«Non
è lui il colpevole, uomo. Ma colui che lo ha generato. Egli non
chiese di nascere per portare il marchio del bastardo. Fu la brama di
vostro padre che lo generò per darlo al dolore e per darvi dolore.
Siate dunque giusti verso l'innocente che sconta già duramente la
colpa non sua. Né abbiate anatema per lo spirito del padre vostro.
Dio lo ha giudicato. Non occorrono i fulmini delle vostre
maledizioni. Onorate il padre, sempre, anche se colpevole, non per se
stesso, ma perché rappresentò in Terra il Dio vostro, avendovi
creato per decreto di Dio ed essendo il signore della vostra casa. I
genitori sono immediatamente dopo Dio. Ricorda il Decalogo. E non
peccare. Va' in pace».
19I
sacerdoti e scribi gli si accostano allora per interrogarlo: «Ti
abbiamo sentito. Hai detto giusto. Un consiglio che più saggio non
lo poteva dare Salomone. Ma ora di' a noi, Tu che operi prodigi e dai
sentenze quali solo il sapiente re poteva dare, con quale autorità
fai queste cose? Donde ti viene tale potere?».
Gesù
li guarda fisso. Non è né aggressivo né sprezzante, ma molto
imponente. Dice: «Anche Io ho da farvi una domanda, e se mi
risponderete Io vi dirò con quale autorità Io, uomo senza autorità
di cariche e povero -perché ciò è questo che volete dire- faccio
queste cose. Dite: il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal Cielo
o dall'uomo che lo impartiva? Rispondetemi. Con quale autorità
Giovanni lo dava come rito purificatore per prepararvi alla venuta
del Messia, se Giovanni era ancor più povero, indotto di Me e senza
cariche di sorta, essendo vivente nel deserto dalla sua
fanciullezza?».
Gli
scribi e i sacerdoti si consultano fra loro. La gente, con occhi
spalancati e orecchie ben aperte, pronta alla protesta e
all'acclamazione, se gli scribi squalificano il Battista e offendono
il Maestro o se appaiono sconfitti dalla domanda del Rabbi di
Nazaret, divinamente sapiente, si stringe intorno. Colpisce il
silenzio assoluto di questa folla in attesa della risposta. È così
profondo che si sentono le aspirazioni e i bisbigli dei sacerdoti o
scribi, che parlano fra loro senza quasi usar la voce e occhieggiano
intanto il popolo, del quale intuiscono i sentimenti pronti ad
esplodere.
Infine
si decidono a rispondere. Si volgono al Cristo che, appoggiato ad una
colonna, le braccia conserte sul petto, li scruta senza mai perderli
d'occhio, e dicono: «Maestro, noi non sappiamo per quale autorità
Giovanni faceva questo né donde veniva il suo battesimo. Nessuno ha
pensato a chiederlo al Battista mentre era vivo ed egli,
spontaneamente, mai lo ha detto».
«E
nemmeno Io vi dirò con quale autorità faccio tali cose». E volge
loro le spalle chiamando a Sé i dodici e, fendendo la folla che
acclama, esce dal Tempio.
20Quando
già sono fuori, oltre la Probatica, essendo usciti da quella parte,
Bartolomeo gli dice: «Sono divenuti molto prudenti i tuoi avversari.
Forse stanno convertendosi al Signore che ti ha mandato e a
riconoscerti per Messia santo».
«È
vero. Non hanno discusso la tua domanda né la tua risposta...»,
dice Matteo.
«Così
sia. È bello che Gerusalemme si converta al Signore Dio suo», dice
ancora Bartolomeo.
«Non
vi illudete! Quella porzione di Gerusalemme non si convertirà mai.
Non
hanno risposto in altro modo perché hanno temuto la folla. Io
leggevo i loro pensieri anche se non sentivo le loro parole
sommesse».
«E
che dicevano?», domanda Pietro.
«Questo
dicevano. Ho desiderio che voi lo sappiate per conoscerli a fondo e
possiate dare ai futuri un'esatta descrizione dei cuori degli uomini
al mio tempo. Essi non mi hanno risposto non per conversione al
Signore. Ma perché fra loro hanno detto: "Se noi rispondiamo:
'Il battesimo di Giovanni veniva dal Cielo', il Rabbi ci risponderà:
'E allora perché non avete creduto a ciò che veniva dal Cielo e
indicava preparazione al tempo messianico?'; e se diremo:
'Dall'uomo', allora sarà la folla che si ribellerà dicendo: 'E
allora perché non credete a ciò che Giovanni, nostro profeta, disse
di Gesù di Nazaret?'. È dunque meglio dire: 'Non sappiamo'".
Ecco cosa dicevano. Non per conversione a Dio, ma per calcolo vile e
per non avere a confessare con le loro bocche che Io sono il Cristo e
faccio queste cose che faccio perché sono l'Agnello di Dio del quale
parlò il Precursore. E neppure Io ho voluto dire con quale autorità
faccio queste cose che faccio. Già molte volte l'ho detto fra quelle
mura e in tutta la Palestina, e i miei prodigi parlano ancor più
delle mie parole. Ora non lo dirò più con le mie parole. Lascerò
che parlino i profeti e il Padre mio, e i segni del Cielo. Perché il
tempo è venuto in cui tutti i segni verranno dati. Quelli detti dai
profeti e segnati dai simboli della nostra storia, e quelli che Io ho
detto: il segno di Giona; vi ricordate di quel giorno a Cedes? E il
segno che attende Gamaliele. Tu Stefano, tu Erma e tu Barnaba che hai
lasciato i compagni, oggi, per seguirmi, certo molte volte avete
sentito il rabbi parlare di quel segno. Ebbene, presto il segno sarà
dato».
Si
allontana su per gli uliveti del monte, seguito dai suoi e da molti
discepoli (dei settantadue) oltre altri, come Giuseppe Barnaba, che
lo segue per sentirlo parlare ancora.
21Dice
Gesù: «Qui metterai la seconda parte del lunedì, ossia i
discorsi fatti nella notte ai miei apostoli (visione
del 6-3-45)».
593. Lunedì notte al Getsemani con gli apostoli.
6 marzo 1945.
Gesù è ancora, a sera,
nell'uliveto. Ed è coi suoi apostoli. E di nuovo parla.
«E
ancora un altro giorno è passato. Ora la notte e poi domani, e poi
un altro domani, e poi la cena pasquale».
«Dove la terremo, Signor
mio? Quest'anno vi sono anche le donne», chiede Filippo.
«E
non abbiamo ancora provveduto a nulla e la città è piena oltre
misura. Sembra che quest'anno tutto Israele, fino al più lontano
proselite, sia accorso al rito», dice Bartolomeo.
Gesù
lo guarda e, come se recitasse un salmo, dice: "Radunatevi,
affrettatevi, accorrete da ogni parte alla mia vittima che immolo per
voi, alla grande
Vittima immolata
sui monti d'Israele, a mangiare la sua Carne, a bere il suo Sangue".
«Ma quale vittima? Quale?
Tu sembri uno che sia preso da una follia fissa. Non parli che di
morte... e ci addolori», dice veemente Bartolomeo.
Gesù
lo guarda ancora, lasciando con lo sguardo Simone che si curva su
Giacomo di Alfeo e su Pietro e confabula con loro, e dice: «Come? Tu
me lo chiedi? Tu non sei uno di questi piccoli che per esser dotti
devono ricevere il settiforme lume. Tu eri già dotto nella Scrittura
prima che Io ti chiamassi, attraverso a Filippo, in quel dolce
mattino di primavera. Della mia
primavera.
E tu mi chiedi ancora quale è la vittima immolata sui monti, quella
a cui verranno tutti per pascersi? E mi dici folle di una fissa
follia perché parlo di morte? Oh! Bartolmai! Come il grido delle
scolte, Io nella vostra tenebra, che mai si aprì alla luce, ho
lanciato una volta, due volte, tre volte il grido annunziatore. Ma
voi non l'avete mai voluto capire. Ne avete sofferto al momento, e
poi... Come bambini avete dimenticato presto le parole di morte e
siete tornati festosi al vostro lavoro, certi di voi e pieni di
speranza che le mie e le vostre parole persuadessero sempre più il
mondo a seguire ed amare il suo Redentore.
No.
Solo dopo che questa Terra avrà peccato contro di Me -e ricordate
che sono parole del Signore al suo profeta- solo
dopo, il
popolo, e non solo questo,
singolo,
ma il grande
popolo di Adamo, comincerà
a gemere: "Andiamo
al Signore. Lui che ci ha feriti ci guarirà".
E dirà il mondo dei redenti: "Dopo due giorni, ossia due
tempi dell'eternità,
durante i quali ci avrà lasciati in balia del Nemico, che con ogni
arma ci avrà percossi e uccisi come noi percotemmo il Santo e lo
uccidemmo -e lo percotiamo e lo uccidiamo, perché sempre vi sarà la
razza dei Caini che uccideranno con la bestemmia e le male opere il
Figlio di Dio, il Redentore, scagliando frecce mortali non sulla sua
eterna glorificata Persona, ma sulla loro anima da Lui riscattata,
uccidendola, e uccidendo perciò Lui attraverso le loro anime- solo
dopo questi due tempi verrà il terzo
giorno, e
risusciteremo al suo cospetto nel Regno di Cristo sulla Terra e
vivremo dinanzi a Lui nel trionfo dello spirito. Lo conosceremo,
impareremo a conoscere il Signore per essere pronti a sostenere,
mediante questa conoscenza vera
di Dio,
l'estrema battaglia che Lucifero darà all'Uomo prima dello squillo
dell'angelo dalla settima tromba, che aprirà il coro beato dei santi
di Dio, dal numero perfetto in eterno -né il più piccolo pargolo,
né il più vecchio vegliardo potrà mai più essere aggiunto al
numero- il coro che canterà: 'Finito è il povero regno della Terra.
Il mondo è passato con tutti i suoi abitanti davanti alla rassegna
del Giudice vittorioso. E gli eletti sono ora nelle mani del Signor
nostro e del suo Cristo, ed Egli è il nostro Re in eterno. Lode al
Signore Iddio onnipotente che è, che era e che sarà, perché ha
assunto il suo gran potere ed è entrato nel possesso del suo Regno.
Oh! chi fra voi saprà
ricordare le parole di questa profezia, già suonante nelle parole di
Daniele, con velato suono, ed ora squillata dalla voce del Sapiente
davanti al mondo attonito e a voi, più attoniti del mondo?!
"La
venuta del Re -continuerà il mondo, gemente nelle sue ferite e
chiuso nel sepolcro, mal vivo e mal morto, chiuso dal suo settemplice
vizio e dalle sue infinite eresie, l'agonizzante spirito del mondo
chiuso, coi suoi estremi conati, dentro l'organismo, morto lebbroso
per tutti i suoi errori- la venuta del Re è preparata come quella
dell'aurora e verrà a noi come la pioggia di primavera e di
autunno".
L'aurora
è preceduta e preparata dalla notte. Questa è la notte. Questa
di ora. E
che devo farti, Efraim? Che devo farti, o Giuda?... Simone,
Bartolmai, Giuda, e cugini, voi più dotti nel Libro, riconoscete
queste parole? Non da uno spirito folle, ma da uno che possiede la
Sapienza e la Scienza esse vengono. Come un re che apra sicuro i suoi
forzieri, perché sa dove è la data gemma che cerca, avendola messa
di sua mano là dentro, Io cito i profeti. Io
sono la Parola. Per
secoli ho parlato attraverso labbra umane. E per secoli parlerò
attraverso labbra umane. Ma tutto quanto è detto di soprannaturale è
mia parola. Non potrebbe l'uomo, anche il più dotto e santo, salire,
aquila d'anima, oltre i limiti del cieco mondo per carpire e dire i
misteri eterni.
Il
futuro non è "presente" che nella Mente divina. Stoltezza
è in coloro che, non sollevati dal nostro Volere, pretendono fare
profezie e rivelazioni. E Dio presto li smentisce e colpisce, perché
solo Uno può dire: "Io sono", e dire: "Io vedo",
e dire: "Io so". Ma quando una Volontà che non si misura,
che non si giudica, che va accettata a capo chino dicendo: "Eccomi",
senza discussione, dice: "Vieni, sali, odi, vedi, ripeti",
allora, tuffata nell'eterno presente del suo Dio, l'anima, chiamata
dal Signore ad essere "voce", vede e trema, vede e piange,
vede e giubila; allora l’anima, chiamata dal Signore ad esser
"parola", ode e, giungendo a estasi o ad agonico sudore,
dice le tremende parole del Dio eterno. Perché ogni parola di Dio è
tremenda, essendo veniente da Colui il cui verdetto è immutabile e
la Giustizia inesorabile, ed essendo rivolta agli uomini di cui
troppo pochi meritano amore e benedizione e non fulmine e condanna.
Ora questa parola, che vien detta e vilipesa, non è causa di
tremenda colpa e punizione per coloro che, avendola udita, la
respingono? Lo è.
E
che ancora dovevo farvi, o Efraim, o Giuda, o mondo, che Io non ti
abbia fatto? Sono venuto amandoti, o Terra mia, e la mia parola ti fu
spada che ti uccide perché tu l'hai aborrita. Oh! Mondo che uccidi
il tuo Salvatore credendo di fare cosa giusta, tanto sei
insatanassato da non comprendere neppure più quale è il sacrificio
che Dio esige, sacrificio del proprio peccato e non di una bestia
immolata e consumata con l'anima sozza! Ma che dunque ti ho detto in
questi tre anni? Che ho predicato? Ho detto: "Conoscete Dio
nelle sue leggi e nella sua natura". E mi sono seccato, come
vaso d'argilla porosa messo al sole, nello spargervi la conoscenza
vitale della Legge e di Dio. E tu hai continuato a compiere olocausti
senza mai compiere l'unico necessario: l'immolazione
al Dio vero della tua mala volontà!
Ora
Dio eterno ti dice, città di peccato, popolo fedifrago -e nell'ora
del Giudizio su te sarà usata la sferza che non sarà usata per Roma
ed Atene, che èbeti sono e non conoscono parola e sapere, ma che
quando, da eterni infanti mal curati dalla loro nutrice e rimasti
bestiali nelle loro capacità, passeranno alle braccia sante della
mia Chiesa, la mia unica sublime Sposa da cui mi verranno partoriti
innumerevoli figli degni del Cristo, diverranno adulte e capaci, e mi
daranno regge e milizie, templi e santi da popolarne il Cielo come di
stelle- ora Dio eterno ti dice: "Non mi piacete più e non
accetterò più dono dalla vostra mano. Esso mi è pari a sterco, ed
Io ve lo ributto in faccia e vi resterà attaccato. Le vostre
solennità, tutte esteriori, schifo mi fanno. Levo il patto con la
stirpe d'Aronne e lo passo ai figli di Levi perché, ecco, questo
è il mio Levi, e
con Lui in eterno ho fatto un patto di vita e di pace, ed Egli mi fu
fedele nei secoli dei secoli, sino al sacrificio. Ebbe il santo
timore del Padre e tremò per il suo corruccio di offeso, al solo
suono del mio Nome offeso. La legge della verità fu sulla sua bocca,
e sulle sue labbra non fu iniquità, camminò con Me nella pace e
nell'equità, e molti ritrasse dal peccato. Il tempo è venuto in cui
in ogni luogo, e non più sull'unico altare di Sionne, immeritevoli
essendo voi di offrirlo, sarà sacrificata e offerta al mio Nome
l'Ostia pura, immacolata, accettevole al Signore". Le
riconoscete le eterne parole?».
«Le riconosciamo, o Signor
nostro. E, credi, siamo abbattuti come da percossa. Ma non è
possibile deviare il destino?».
«Destino lo chiami,
Bartolmai?».
«Non saprei quale altro
nome...».
«Riparazione.
Ecco il
nome. Non si offende, senza che l'offesa vada riparata, il Signore. E
Dio Creatore fu offeso dal Primo creato. Da allora sempre si è
aumentata l'offesa. E non servì la grande acqua del diluvio, né il
fuoco piovuto su Sodoma e Gomorra, a far santo l'uomo. Non l'acqua e
non il fuoco. La Terra è una sconfinata Sodoma in cui passeggia
libero e re Lucifero. Allora venga una trinità a lavarla: il fuoco
dell'amore, l'acqua del dolore, il sangue della Vittima. Ecco, o
Terra, il mio dono. Sono venuto per dartelo. Ed ora fuggirei al
compimento? É Pasqua. Non si può fuggire».
«Perché non vai da
Lazzaro? Non sarebbe fuggire. Ma da lui non saresti toccato».
«Simone dice bene. Te ne
supplico, Signore, fallo!», grida Giuda Iscariota gettandosi ai
piedi di Gesù.
Al suo atto risponde un
grande pianto di Giovanni e, benché più composti nel loro dolore,
piangono i cugini e Giacomo e Andrea.
«Tu
mi credi il "Signore"? Guardami!», e Gesù trivella con i
suoi occhi il volto angosciato dell'Iscariota. Perché è realmente
angosciato, non finge. Forse è l'ultima lotta della sua anima con
Satana, e non la sa vincere. Gesù lo studia e ne segue la lotta come
uno scienziato potrebbe studiare una crisi di un malato. Poi si alza
di scatto e così veementemente che Giuda, appoggiato alle sue
ginocchia, ne viene respinto e ricade seduto per terra. Gesù arretra
persino, col volto sconvolto, e dice: «Per fare arrestare anche
Lazzaro? Doppia preda e doppia gioia, perciò. No. Lazzaro si serba
al Cristo futuro, al
trionfante Cristo. Solo
uno sarà gettato oltre la vita e non
tornerà. Io
tornerò. Ma egli non tornerà. Ma Lazzaro resta. Tu, tu
che sai tante cose, sai
anche questa. Ma coloro che sperano di avere doppio guadagno per
catturare l'aquila con l'aquilotto, nel nido e senza fatica, possono
esser sicuri che l'aquila
ha occhio per tutti e
che per amore del suo piccolo andrà lungi dal nido, per esser presa
lei sola, salvando lui. Vengo ucciso dall'odio e pure continuo ad
amare. Andate. Io resto a pregare. Mai, come nell'ora che vivo, ho
avuto bisogno di portare l'anima in Cielo».
«Lasciami restare con Te,
Signore», supplica Giovanni.
«No. Avete tutti bisogno
di riposo. Vai».
«Resti solo? E se ti fanno
del male? Sembri sofferente anche... io resto», dice Pietro.
«Tu
vai con gli altri. Lasciatemi dimenticare per un'ora gli uomini!
Lasciatemi in contatto con gli angeli del Padre mio! Mi suppliranno
la Madre, che si macera di pianto e preghiera e che Io non posso
aggravare del mio desolato dolore. Andate».
«Non ci dài la pace?»,
chiede il cugino Giuda.
«Hai
ragione. La pace del Signore posi su coloro che non sono obbrobrio ai
suoi occhi. Addio», e Gesù si interna salendo un balzo nel folto
degli ulivi.
«Eppure... quel che dice
c'è proprio nella Scrittura! E udito da Lui si capisce perché e per
chi è detto», mormora Bartolomeo.
«Io l'ho detto a Pietro
nell'autunno del primo anno...», dice Simone.
«E’ vero... Ma... No! Io
vivo non lo lascerò prendere. Domani... », dice Pietro.
«Che farai domani?»,
chiede l'Iscariota.
«Che farò? Parlo con me
stesso. É tempo di congiura. Neppure all'aria confiderò il mio
pensiero. E tu che sei potente, lo hai detto tante volte, perché non
cerchi protezione per Gesù?».
«Lo farò, Pietro. Lo
farò. Non ve ne stupite se sarò assente qualche volta. Lavoro per
Lui. Non glielo dite, però».
«Sta' sicuro. E che tu sia
benedetto. Qualche volta ho diffidato di te, ma te ne chiedo scusa.
Vedo che sei migliore di noi al momento buono. Tu fai... io non so
che parlare a vuoto», dice Pietro, umile e sincero.
E Giuda ride come lieto
della lode. Si avviano fuor del Getsemani, verso la via che va a
Gerusalemme.
settimana santa con Maria Valtorta....
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